Metafisica del Sangue

Il sangue è sempre stato considerato, nella storia delle idee, vettore di una potente forza magica e veicolo di un simbolismo complesso e variegato, a cominciare dalle pitture rupestri risalenti al Paleolitico per giungere fino alle tre religioni “del libro” (cristianesimo, islam, ebraismo), passando per i miti cosmogonici delle tradizioni antiche (babilonese, induista, norrena, ecc.), senza ovviamente tralasciare il suo utilizzo nella medicina tradizionale orientale e la sua valenza sacrificale all’interno delle pratiche cerimoniali.


di Roberto Eusebio
(revisione: Marco Maculotti)

copertina: Toru Kamei

« Sento odore di sangue… Sarà il tempo dell’insana pazzia. »

— Wystan Hugh Auden

Il sangue, nascosto e racchiuso nel corpo di ogni animale è vita, movimento e istinto. Rosso, liquido, dal sapore ferroso quando fuoriesce, di là dall’aspetto medico è qualcosa che imbratta e segna il mondo in maniera traumatica. Diviene rapporto fatale quando esso cessa di essere motivo di vita per trasformarsi secco e scuro alla fine del suo scorrere, con la morte. La frase in epigrafe del poeta Wystan Hugh Auden che apre questo studio, secondo noi, indica con molta approssimazione ciò che il sangue rappresenta e comporta simbolicamente in modo devastante e travolgente quando — e lo sottolineiamo — è profanato, ovvero non è rispettato nella sua essenza di matrice vitale.

In letteratura, sarà William Shakespeare, nel Macbeth, a descrivere la cruda follia dell’omicidio del re Duncan e la conseguente vendetta finale con la morte di Macbeth e la follia allucinata di cui sarà preda Lady Macbeth [1]:

« Perché sangue, chiama sangue! »

Lasceremo per un attimo in sospeso quest’aspetto drammatico per rivolgere inizialmente la nostra attenzione al modo in cui il sangue, come elemento corporeo, era anticamente considerato, per giungere alla fine dell’articolo all’intima prospettiva tradizionale dei significati simbolici e ai precetti dottrinali.

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Thomas Barker of Bath, “Macbeth and the Witches”, 1830

Il sangue ha da sempre, molto prima di ogni indagine fisiologica, rivestito un particolare interesse speculativo, poiché si era intuito che esso influiva sugli atteggiamenti umani, e perché da sempre costituisce per sua natura un legame sia fisico che simbolico. Sarà Diocle di Caristo [2] nell’opera Pathos aitia therapeia a rinvenire corrispondenze di patologia psichica legata al sangue, in particolare la mania che attraverso i suoi scritti, verrà presentata come la perdita del senno dovuto al ribollire del sangue nel cuore.

Non fu il solo; secondo la medicina tradizionale cinese, quando un paziente è in forte stato di ansia o facilmente irritabile, ciò costituisce la manifestazione esteriore di uno stato di “deficit” del sangue. Il sangue per i cinesi non è semplicemente un liquido rosso che circola nei vasi sanguigni e trasporta le sostanze nutritive agli organi all’interno del nostro corpo, bensì è considerato un tutt’uno con il qi, il soffio vitale, il quale scorre simultaneamente all’interno dell’organismo insieme al sangue. Il qi rappresenta la sua forza motrice, insita secondo la tradizione cinese in ogni individuo.

In tutte le tradizioni conosciute e probabilmente anche quelle di cui non conosciamo le strutture antropologiche per la distanza epocale che ci separa da loro, se non per alcune incisioni rupestri o graffiti, il sangue ha avuto da sempre una valenza simbolica e una potente forza magica e per tale motivo è stato impiegato in ambito rituale, sia in forma materiale che nei mitologemi come elemento archetipale che si rifà ad un qualche mito primordiale.

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Pitture rupestri risalenti al Paleolitico nella grotta di Altamira, in Spagna

In base a questa originaria convinzione, peraltro universalmente riconosciuta, nelle pratiche rituali di molte culture il sangue assume senz’ombra di dubbio un ruolo di transfer su cui o per mezzo del quale è agito l’atto magico, sia esso impiegato materialmente, sia che la sua presenza venga indicata da elementi sostitutivi, ma pur sempre riconducibili, nella sua potenzialità, ai suoi due aspetti di vita e di morte. Pratica, questa, che risalirebbe, come ci riportano gli studiosi, a un’epoca preistorica. Esempio ne siano, secondo teorie che pensiamo di condividere, le pitture rupestri primitive il cui scopo magico-simbolico sarebbe legato a riti di tipo sciamanico, mentre l’uso, nell’impasto della pittura, di sangue rappresenterebbe un modo di fissare alla figura dipinta, attraverso una sorta di simulazione rituale, lo spirito dell’animale [3].

Nei miti eroici della cultura greca, il sangue sembra essere stato confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti, tra l’ordine e il caos e il suo fatale sgorgare rappresentava un aspetto simbolicamente nefasto. Intendiamoci: il sangue è uno di quei simboli archetipali in cui coesistono più livelli d’interpretazione. Nella stessa mitologia greca, il sangue degli immortali, chiamato Icore (ἰχώρ, ichór), non rosso ma di un bianco evanescente, se sgorgava da una ferita diventava letale per i mortali. Nei racconti mitici greci, il sangue inoltre sembra sottolineare simbolicamente le fasi di passaggio che l’uomo attraversava dal momento della sua nascita, alla sua maturazione sino alla sua morte.

La crescita e il cambiamento evolutivo, non solo corporeo dell’essere, non può che essere una continua sequenza di morte e rinascita, tra il passato e il futuro. In generale, il mito greco rincorre simbolicamente nella sua epica una legge di natura, Eros e Thanatos rappresentano le due alterne forze in cui si muove e si manifesta la vita umana in un continuo processo di evoluzione. Senza Thanatos non c’è Eros; senza morte non c’è vita [4]. Questa alternanza nel mondo greco sembra ricollegarsi al tempo delle origini dove gli dei hanno manifestato tutte le cose e l’uomo mortale dal caos primigenio all’ordine [5].

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Samuel Araya, “Capricorno e Marte”

Risalendo nella oscura e complicata tradizione norrena il mito di Ymir, ucciso da Odino nella mitologia nordica ci racconta come attraverso il suo sangue e lo smembramento del suo corpo verranno plasmati la terra e il cielo.

« Dalla carne di Ymir fu fatta la terra,
dal suo sangue il mare, gli alberi dalla chioma,
Dalle sue sopracciglia fecero gli dèi benedetti
Miðgarðr per i figli degli uomini
dalle ossa le montagne; dal cranio il cielo.
dal suo cervello furono create tutte le tempestose nuvole. »

Non sarà l’unica cosmogonia di questo tipo: l’atto sacrificale cruento è un motivo dominante di svariati miti cosmogonici. Il creato è il frutto, quasi sempre, di una crisi violenta con lo spargimento di sangue che feconda la materia in una lotta che risulterà favorevole e alla fine buona. Ne sono esempi la lotta o la morte tra forze personali o impersonali, come lo smembramento di Prajapati, narrato nei Veda indù, o come nel mito babilonese in cui attraverso il corpo fatto a pezzi di Tiamat verranno creati il cielo e la terra e dal sangue di Kingu tutti gli uomini.

La manifestazione del mondo dunque è sempre fatta attraverso un atto sacrificale indotto o volontario, che ha sua ragione d’essere nell’atto superiore creativo. Di diverso segno allegorico è il sangue che cruentemente sgorga al di fuori di una ritualità sacra, in cui sarebbe disciplinato e avrebbe la sua ragione d’essere, mentre nella proiezione nel mondo degli umani mortali esso spalanca pericolosamente varchi e inarrestabili forze inferiori difficilmente controllabili.

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Giovanni Caselli, “Il sacrificio di Ymir”, 1978

Nell’evoluzione dello spirito religioso attraverso le epoche preistoriche e più avanti in periodi storici, il sangue assumerà via via una diversa e più strutturata valenza. I culti legati alla Dea Madre, che risalirebbero, secondo gli studi sui ritrovamenti, addirittura a circa 300.000–35.000 anni fa (Paleolitico medio) sembrerebbero legati al ciclo di vita-morte-rinascita. Tale culto rappresenterebbe quindi un’importante ed estesa testimonianza di una corrente misterica che si protrasse nel corso di millenni, in cui l’immagine femminile fu assunta come ierofania dalla valenza sacra. Quest’aspetto è legato alla fertilità e al ciclo mestruale, ciò risultando congruente al sacrificio primordiale di molte tradizioni, allegoricamente collegato all’universale mitologia creazionistica [6]. È lo stesso mediatore, rappresentante l’elemento catalitico tra Principio e materia, a essere come abbiamo visto nucleo del cosmo che si manifesterà attraverso il suo simbolico sacrificio.

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Detto ciò, in molti racconti mitici il sangue è motivo di vendetta, di prova, d’iniziazione, di cambiamento e, come tale, nella cultura sociale che ne è derivata, è stato disciplinato attraverso leggi e prescrizioni proprie di ogni tradizione. Il cristianesimo, se partiamo dalla tradizione a noi vicina, ma anche l’ebraismo, dal quale il cristianesimo deriva, vedono il sangue come sede della vita e mezzo di espiazione:

« Poiché la vita della carne è nel sangue. Per questo vi ho ordinato di porlo sull’altare per fare l’espiazione per le vostre persone; perché il sangue è quello che fa l’espiazione, per mezzo della vita. » (Levitico 17:11)

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Giulio Aristide Sartorio, “Diana di Efeso e i suoi schiavi”, 1899

Un passo dell’Esodo (24, 3-8) racconta come Mosè asperse il popolo con una parte del sangue dei sacrifici, a significare l’alleanza con Dio. Sarà proprio la legge biblica a precisare che il sangue degli animali non potrà essere mangiato ma sparso, mentre il sangue dell’uomo non dovrà essere né mangiato né sparso perché sede della vita [7].

Solo il sacrificio di Cristo trasformerà, con lo spargimento del suo sangue, la sua immolazione nello strumento simbolico garante del nuovo patto col divino, ripristinando in tal maniera l’eterna alleanza. Il mito ci racconterà come quel sangue sgorgato dal costato ferito, sarà raccolto nella sacra coppa del Graal che sarà la base su cui verrà fondata la cerca dei cavalieri medievali. Quel sangue sarà il pegno della nuova alleanza che sarà perennemente rinnovata nell’eucarestia dove il divieto di “mangiare” sangue non si applicherà al sangue di Gesù Cristo poiché «chi mangia la sua carne e beve il suo sangue ha la vita eterna» (Giovanni 6,54). Da un certo punto di vista è l’intenzione che contraddistingue la qualificazione e lo scopo, al punto di racchiudere nel sangue un potente intermediario come motivazione dottrinale per cui, secondo Tertulliano, il sangue dei martiri è il seme della Chiesa, dove si allude chiaramente alla morte come portatrice di accettabile generante vitalità cristiana [8].

Ad un grado superiore da un punto di vista metafisico, il sangue costituisce uno dei legami dell’organismo corporeo con lo stato sottile dell’individuo, che rappresenterebbe in buona sostanza l’anima, vale a dire, nel significato etimologico il principio animatore o vivificatore dell’essere. È tuttavia un dato di fatto che il sangue assuma in ogni forma culturale, come abbiamo già accennato, una doppia valenza: funesta o propizia. Secondo tale visione, il sangue è sacro poiché rappresenta il principio della vita nei limiti corporei e intoccabile nel momento in cui, cruentemente violato, fuoriesce da essi. Chi lo profana o ne viene contaminato è un uomo impuro e compie un atto sacrilego, e tale è per l’appunto l’uccisione di un altro uomo e lo spargimento del suo sangue [9].

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Mark Jennings, “Corpo e Sangue”

Il concetto di sacro, nello sviluppo spirituale e nella maturazione cosciente dell’essere nelle varie tradizioni storiche, ha trasferito attraverso aspetti rigidamente tecnici il presupposto e le qualità necessarie al fine che il sangue sparso nel momento rituale del sacrificio possa aprire e rimanere a configurare un legame tra il mondo umano e il divino. Nella Torah è detto:

« Soltanto sii fermamente risoluto a non mangiare il sangue, perché il sangue è l’anima e tu non devi mangiare l’anima con la carne. Non lo devi mangiare. Devi versarlo sul suolo come acqua. Non lo devi mangiare, affinché vada bene a te e ai tuoi figli dopo di te, perché farai ciò che è retto agli occhi del Signore tuo Dio. » (Deuteronomio 12:23-12:25)

Tuttavia nella Torah è ulteriormente specificato che il sangue essendo l’anima, questa ha cinque gradi: Nefesh, Ruach, Neshamah, Haya, e Yechidà. Il sangue rappresenta la parte più bassa nei livelli spirituali, per l’appunto Nefesh [10] come soffio vitale (anima inferiore) che anima il corpo fisico. Solo attraverso il rito sacrificale, il sangue sparso che bagna l’altare, è accettabile e gradito agli dei, dove per altro ciò che viene sacrificato viene purificato elevandosi dalla condizione profana a quella sacra. Dunque la parola sacrificio fin dalla sua etimologia ha il significato di fare qualcosa di sacro al fine di mettere in relazione il sacrificato e il sacrificatore con la divinità.

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Hippolyte Flandrin, “Il sacrificio di Isacco”, 1860

Ma perché la divinità adopera il sangue di una vittima sacrificale sparso sull’altare per relazionarsi con l’uomo? Perché il dio chiede il sangue di una vittima per manifestarsi? Nell’Antico Testamento è detto: «Poiché la vita della carne è nel sangue. Per questo vi ho ordinato di porlo sull’altare per fare l’espiazione per le vostre persone; perché il sangue è quello che fa espiazione, per mezzo della vita» (Levitico 17:11). Dal che si deduce che il sacrificio inteso come versamento del sangue, sede della vita, è l’oblazione che cancella e annulla il peccato e permette il ritorno nella condizione di grazia e nello stesso tempo mette tecnicamente in relazione il fedele con Dio.

È il sacerdote in unione con il Dio e per sua mano che, attraverso l’atto sacro, pone confini precisi alla forza del sangue incanalando la sua potenzialità. Quale operazione dunque si mette in atto? Non pensiamo di azzardare troppo dicendo che tali pratiche rientrano in quella che è chiamata “magia cerimoniale” [11] che è stata alla base dei riti di tutte le tradizioni le cui origini si perdono nella notte dei tempi e che comporta tra l’altro la conoscenza della magia della parola, in particolare quando la lingua della recitazione e delle formule rituali si appoggia a una lingua sacra [12]. Sono comprensibili a questo punto, riprendendo il discorso all’inizio di questo articolo e in base a queste teorie, le varie prescrizioni tradizionali di astenersi dal sangue che sembrano essere quindi tutte legittime.

Ma è necessario prendere in ulteriore considerazione alcuni altri principi visti attraverso l’indagine di miti e leggende su cui si fondano le radici della concettualità della negazione del suo spargimento e del suo eventuale abuso. In italiano la radice “emo” indica la parola sangue, la quale deriva direttamente dal Greco “Aima”, che, per l’appunto significa sangue. Proprio per il suo aspetto di veicolo animico il sangue dunque racchiuderebbe l’aspetto più sensibile dell’individuo comprese le sue emozioni positive o negative che siano.

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Kuraokami, dio-drago e divinità della pioggia e della neve nello Shintoismo giapponese (conosciuto anche come Okami)

Nella cultura giapponese, nello Shintoismo, tradizione nativa che si forma nel periodo Jōmon (10.000-3000 a.C.), il sangue assume una notevole valenza negativa, assurgendo a segno angoscioso [13]. «Nei riti dello Shinto, la purezza, ben più della fede, è la condizione essenziale per entrare in contatto col Dio e solo l’uomo oggettivamente puro che ottempera alle prescrizioni sacre in tutti i momenti della vita quotidiana, è in armonia con se stesso e con la natura degli dei. L’impurità invece lo rende odioso alle divinità. La sua contaminazione diffonde il male in tutto il gruppo sociale. E così il sangue è circondato da un senso di orrore, di repulsione» [14]. Tuttavia in queste prescrizioni non vi è orrore morale o peccato illecito.

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In realtà il sangue nelle vene scorre come l’acqua contenuta nell’alveo dei fiumi. Il sangue che si sparge è dunque come l’acqua che tracima in maniera disordinata dai suoi argini divenendo caos. L’impurità che proviene dal cedere alle passioni o di imporre il proprio io corrompendo l’armonia dell’essere è sempre accompagnata dal sangue. Nella stessa tradizione, tutti coloro che avevano a che fare con il sangue: macellai, conciatori di pelli, boia e simili erano considerati impuri, prescrizione questa simile in molte tradizioni. Questi aspetti così conseguenti ci dovrebbero far pensare, come accennavamo prima, che il sangue nelle sue varie possibilità è un elemento instabile e come tale andrebbe trattato.

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Raffigurazione tradizionale cinese di un Drago

Secondo la medicina tradizionale cinese quando un paziente è in forte stato di ansia o facilmente irritabile, ciò costituisce la manifestazione esteriore di uno stato di deficit del sangue, durante il quale cedono le fondamenta dello shen, il quale racchiuso nel sangue diventa infelice e inquieto. Tuttavia nel mondo orientale e nei miti dell’Asia Orientale è presente il mito del drago, il cui sangue ha un preciso riferimento all’immortalità, assurgendo a bevanda d’immortalità che permetteva di capire il linguaggio degli uccelli o la “lingua angelica”, poiché gli uccelli sono spesso simbolo degli angeli o di stati superiori di coscienza.

Ma in Cina, area geografica ricca di contraddizioni, era anche conosciuta la vendita, per ragioni economiche, del proprio sangue come rimedio medico usato dalle classi meno abbienti, nonostante tradizionalmente il sangue fosse sinonimo di identità familiare, al punto che chi vendeva il proprio sangue non veniva più considerato degno di far parte della sua famiglia. Nell’antico Egitto il rosso, colore del sangue, aveva valenze prevalentemente negative essendo legato a Seth, uccisore di Osiride, che aveva occhi e capelli rossi; e se da una parte il rosso è il colore del sentimento, dell’espansività, della vivacità, del sangue inteso come vita, dall’altra è il colore dell’azione violenta, dell’ira, dell’aggressività, dello spargimento di sangue.

Sono innumerevoli i miti che trattano delle facoltà ambivalenti del sangue: uno di questi è quello greco di Medusa e della sua uccisione da parte di Perseo: una volta tagliata la testa del mostro, il sangue che sgorgò dalla vena sinistra si dimostrò magicamente capace di uccidere, mentre quello che fuoriuscì dalla vena destra ridava la vita ai morti. Nella tradizione norrena possiamo citare, tratto dall’Edda scandinava, il racconto di Sigfrido che combatte il drago. Tralasciando le diverse fasi della leggenda, ciò che ci interessa in questa sede è che, una volta ucciso il drago, Sigfrido si bagnò nel suo sangue che lo rese invulnerabile, mentre bagnandosi le labbra ottenne la capacità di intendere la lingua degli uccelli e conoscere i segreti del cielo, similmente alla credenza della tradizione racconto cinese. Anche in questo caso il sangue di drago, secondo il mito, rappresenta la conoscenza di cui il drago è custode. La bevanda d’immortalità ovvero la conoscenza è tale tuttavia soltanto per l’eroe predestinato: in alternativa si tramuta in veleno.

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Vasily Alexandrovich Kotarbinsky, “Medusa”, 1903

Nell’Islam, secondo il Corano [15], è proibito cibarsi di animali se non sono stati macellati secondo il rito Dhabiha, vale a dire macellati da un musulmano, tramite il taglio netto della gola, che recide con un solo colpo la trachea e le vene giugulari, dopo aver pronunciato sulla bestia il nome di Allah. Dopo la macellazione, il sangue deve essere completamente eliminato. La Festa del Sacrificio (Aid al-Adha) viene celebrata ogni anno nel mese lunare di Dhu l-Hijja, ultimo mese lunare del calendario islamico che ricorda l’obbedienza di Abramo alla richiesta di Dio di immolare suo figlio.

Il rituale prevede la recita del Takbīr da parte di un uomo e il successivo sgozzamento dell’animale. Dal che si deve dedurre che il sangue versato è contemplato come effetto all’interno del rito necessario e legittimo. Di diversa e non facile interpretazione la norma che afferma, per ciò che riguarda la dissezione dei cadaveri e la sua proibizione che porta a testimonianza gli scritti del medico e giurista Ibn al-Nafīs (m. 687/1288). Egli scrive nello Šarḥ tašrīḥ al-Qānūn (Commentario all’anatomia del Canone) [16], di essersi attenuto, per quanto riguarda la pratica della dissezione, alle prescrizioni delle leggi religiose.

D’altra parte fu lo stesso Profeta a dire: «Il musulmano è fratello al musulmano, non lo tradisce e non gli mente; ogni musulmano è sacro (harâm) per il musulmano nel suo onore, nel suo denaro e nel suo sangue» [17]. È ancora lo stesso profeta a formulare la proibizione di profanare i corpi dei nemici caduti poiché ci si macchierebbe di grave colpa [18]. Tuttavia ai medici arabi sono state attribuite alcune scoperte autonome nel campo dell’anatomia, il che fa pensare che tali medici abbiano operato al di fuori dei precetti Coranici o più in generale al di fuori della Sunna.

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Edvard Munch, “Il Vampiro” (o “Amore e dolore”), 1894

Detto ciò rimane un aspetto che abbiamo tenuto per ultimo e che prendiamo dal folklore ma che è profondamente insito nel substrato superstizioso di molte popolazioni: si tratta dei vampiri. La superstizione popolare li considera esseri mitologici che sopravvivono grazie alla possibilità di cibarsi del sangue delle loro vittime. Le credenze e le storie riguardanti tali esseri (vampiri, lupi mannari e streghe) risalgono a periodi molto antichi. Nella cultura celtica vengono citati il deard-dulg e la lamia irlandese mentre in quella scandinava è presente il draugr. Nella antica Roma alcune lapidi e più ancora gli scritti di Ovidio, Virgilio e Petronio e altri, testimoniano il timore e lo sgomento per tali esseri inquietanti.

In Grecia e in Macedonia tali credenze si svilupperanno importate dalla superstizione slava, senza dimenticare la Germania con le tre varietà di vampiri: l’alp, il Blutsauger e il Nachzehrer. In Russia con l’upyr. Mentre il tradizionale vampiro portoghese è il bruxa, dalle sembianze animalesche e particolarmente ghiotto di bambini. La popolarità di tali esseri è sempre sopravvissuta strisciante nelle pieghe più profonde della superstizione popolare. Sarà il romanzo Il vampiro di John Polidori (1819) a rinverdire tali credenze e ad aprire una corrente letteraria che sembra, secondo gli storici, abbia dato voce ad un’ansia caratteristica dell’epoca vittoriana. Ma le credenze vampiresche sono patrimonio di quasi tutte le culture: Cina, Malesia, India, Giappone sino all’America nativa hanno una nutrita tradizione di racconti di vampiri.

Ancora una volta nell’immaginario popolare sarà il sangue nel suo duplice aspetto — morte o maledizione della vittima e vita del vampiro — a caratterizzare il sangue nella sua substantia misterica. Qui il sangue non poteva che legarsi ad un altro duplice mistero inerente ai non morti. Il vampiro, in ogni caso, s’identifica nel male e nell’immagine sessuale negativa, saziandosi della virginea vitalità dell’altro. È una sorta di transfer inconscio dove non riconoscendo il male al fondo della propria anima lo s’identifica nel mostro succhia sangue, dopo tutto è l’eterna paura della morte e di ciò che vi è oltre. È l’eterno combattimento interiore per non cedere alla morte dell’anima, fatta di paura, tormento, angoscia e depressione e per questo il proprio sangue diviene mezzo di vita di qualcun altro, di un non-morto che infetta e trasforma le sue vittime in altrettanti vampiri. Il sangue è ancora una volta l’elemento legante, dove viene ad essere mezzo malefico di sussistenza del male.

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Locandina di “Nosferatu”, film di Werner Herzog del 1979

Note:

[1] A questo proposito ci vengono in mente le numerose frasi e modi di dire che si riferiscono ad una situazione di alterazione: fare andare il sangue alla testa; farsi sangue amaro; scritto a caratteri di sangue; lavare nel sangue, ecc.

[2] Diocle di Caristo (375 aC – 295 aC) è stato un medico greco antico, vissuto nel IV secolo a.C.

[3] L’uso del sangue nell’impasto pittorico non sembra da riconnettere alla sua caratteristica colorimetrica, poiché la naturale ossidazione l’avrebbe modificato in poco tempo. In effetti, la colorazione rossa, quando fu necessaria, proviene da ossidi ferrosi molto più duraturi nel loro processo di fissaggio. L’analisi spettrochimica ha accertato l’uso di impasti di terre rosse e gialle, grasso animale e sangue.

[4] Uno dei simboli legati al continuo divenire è l’uroboros, il serpente che si morde la coda: il potere che divora e rigenera se stesso, l’energia universale che si consuma e si rinnova di continuo. Noi non siamo più quelli di ieri intanto che diveniamo quelli che saremo domani.

[5] Mito di Crono evirato da Urano. Dal suo membro gettato in mare nacque Afrodite, mentre le gocce del suo sangue che caddero sul suolo fecondarono la terra, dando vita alle Erinni, ai Giganti ed alle Ninfe Meli. Lo stesso mito di Ercole ci riporta come il suo sacrificio sulla pira del monte Eta, dopo le dodici fatiche, lo renderà immortale tra gli immortali.

[6] La donna, al di là del suo ruolo, nei nuclei famigliari preistorici, sembra sia stata considerata, attraverso l’immaginario simbolico pittografico, figura mistica legata simbolicamente non solo alla procreazione ma identificata come simbolo cosmologico ovvero alla gestazione e alla nascita del mondo. Inoltre, su questo piano di ragionamento e azzardando una ipotesi anche alla ri-nascita e al divenire dell’essere umano attraverso un’azione di trasmissione sacro-iniziatica.

[7] Genesi 9:4. Dopo il Diluvio Dio diede a Noè e alla sua famiglia il permesso di includere carne animale nella loro alimentazione ma comandò di non mangiare sangue. Disse a Noè: “Solo non dovete mangiare la carne con la sua anima, il suo sangue”; Levitico 17:14. “Non dovete mangiare il sangue di nessuna sorta di carne, perché l’anima di ogni sorta di carne è il suo sangue. Chiunque lo mangi sarà stroncato”.

[8] Tale idea tuttavia verrà condannata in vari scritti poiché il sacrificio non è ciò che Dio desidera dall’uomo: Vangelo di Matteo IX, 13; Libro di Osea VI,6; Agostino d’Ippona. Ecc.

[9] La stessa caccia per l’uomo primordiale doveva avvenire nel rispetto di alcune pratiche rituali; azioni e di riti essenziali alla buona riuscita della caccia vera e propria senza provocare oltraggio e offesa al dio della natura ma anche all’animale. Dove il rito prevedeva la mediazione tra l’uomo e l’animale che nel contesto assumeva un valore sacrificale come dono volontario. L’animale era quindi una vittima volontaria, che offriva la sua carne e il suo sangue agli uomini per cibarsene (secondo una leggenda dei Blackfoot).

[10] In ebraico la parola Nefesh non indica l’anima ma come è scritto nella Genesi, “l’essere vivente” con tutte le sue caratteristiche individuali ovvero con l’insieme complessivo di ciò che caratterizza l’essere umano.

[11] I termini che abbiamo usato (Magia cerimoniale) non ci soddisfano perché innescano una serie di illazioni che non condividiamo, ma non abbiamo trovato altri termini per indicare tali azioni.

[12] Alle lingue sacre sono tutt’ora attribuite virtù che il volgare non ha, esse conservano delle caratteristiche che in genere sono state abbandonate purtroppo nella perdita di coscienza del sacro. Nell’antico Egitto i geroglifici hanno rappresentato con la scrittura ieratica la scrittura sacra. Gli stessi egiziani li chiamavano “medw nether”, “parole potenti” o “parole divine”. Erano convinti che alcune formule fossero in grado di rendere vive perfino le immagini inanimate. Per la mistica ebraica, la lingua israelitica sarebbe composta da quegli stessi suoni attraverso i quali Dio avrebbe creato l’Universo, cristallizzati nei corrispondenti segni grafici. Il pensiero cabalistico amplificò le nozioni bibliche e midrashiche secondo cui Dio ha attuato la Creazione mediante la lingua ebraica e tramite la Torah, in un misticismo linguistico completo. Il nome ebraico delle cose è il canale della loro forza vitale, parallela alle Sefirot, così concetti come “santità” e “mitzvot” incarnano l’immanenza divina ontologica. Il concetto si avvicina molto a quello dello “Strepitus Verborum” della retorica latina. È un dato di fatto che il rapporto armonico, la vibrazione armonica, anche quella della parola, influenzano profondamente il nostro corpo, in particolare la nostra psiche, essa rappresenterebbe una sorta d’incantazione, dove la vibrazione porta a una concentrazione molto profonda. Due grandi filosofi greci come Pitagora e Platone la definirono come scienza che doveva arricchire l’animo. Essi attribuivano all’armonia una funzione educativa, come la matematica perché sottostava alla scienza del ritmo.

[13] In ambito psicoanalitico, l’angoscia è vista come una situazione catastrofica, tale da mettere in crisi la capacità dell’Io di controllare e gestire le pressioni del mondo attorno e dentro di noi.

[14] Massimo Raveri. “Sangue e purezza nello Shinto

[15] Corano, Sura 2-173

[16] L’esercizio pratico dell’anatomia ci è stato vietato dalle prescrizioni della legge religiosa [al-šarī῾a] e dalla pietà umana insita nel nostro carattere. Pertanto per la conoscenza delle forme degli organi interni ci atterremo alle osservazioni di coloro che prima di noi hanno esercitato l’anatomia pratica; ci riferiamo in particolare a Galeno, poiché i suoi scritti sono quanto di meglio ci sia giunto su quest’arte e poiché oltre a ciò egli ci dà notizia di numerose parti del corpo che in precedenza erano sfuggite all’osservazione. Di conseguenza per la conoscenza delle forme degli organi interni, della loro posizione, ecc. ci baseremo principalmente sulle teorie di Galeno, fatta eccezione per alcuni punti, per i quali si può assumere che si tratti di errori del copista, o che le conclusioni di Galeno non si fondino su un’osservazione sufficientemente attenta. Per quanto però concerne l’utilità dei singoli organi, ci atterremo a quanto esige un’indagine approfondita e uno studio accurato, senza curarci se ciò concordi o meno con l’opinione dei nostri predecessori.” Šarḥ tašrīḥ al-Qānūn.

[17] Cfr. al-Tirmidhî (m. 279/892), Jâmiʿ, kitâb al-birr wa-l-sîla, no. 1846.

[18] Viene spontanea la domanda: a quale obbedienza sono soggetti coloro che nella cosiddetta attuale guerra santa profanano il corpo sia dei loro nemici nonostante l’appartenenza alla stessa religione ma di altra discendenza, sia dei cosiddetti miscredenti, con il taglio della testa?


Bibliografia:

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GIUSEPPE FERRARI e TORELLO MONSAGRATI. La malattia psichiatrica tra Oriente e Occidente, Edizioni FS, 1997

JAN N. BREMMER. Modi di comunicazione con il divino: la preghiera, la divinazione e il sacrificio nella civiltà greca, Deutsches Archäologisches Institut Meldungen. Berlino, 1996

MARIO BARZAGHI. Il mito del vampiro, Rubbettino Editore, 2010

MASSIMO INTROVIGNE. La stirpe di Dracula: Indagine sul vampirismo dall’antichità ai nostri giorni, in Antropologia. Mondadori, Milano 1997

GIAN MARIO MOLLAR. I misteri del Far West: Storie insolite, macabre e curiose dalla frontiera americana. Edizioni Il Punto d’Incontro, 2019

JOHANN CHAPOUTOT.  La legge del sangue. Einaudi Editore, 2016

PAOLO LOMBARDI E GIANLUCA NESI. Sangue e suolo. Le radici esoteriche del Nuovo Ordine Europeo nazista. All’Insegna del Giglio Editore, 2016

GIACOMO SARTORI. Sacrificio, monografia, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Pe quod, 2008

LA BIBBIA. Ed Paoline. Roma, 1974

LA TŌRĀH. I cinque libri della Torá, http://www.torah.itPublished. 2017

IL CORANO. Edizioni Ulrico Hoepli, 1972


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