Maria, conduttrice degli eserciti (parte I)

Un approccio alternativo al tema mariano, nato da un’analisi ragionata della dicotomia guerra-pace nella tradizione cristiana.

di Antonio Bonifacio

Parte I di II — CONTINUA ALLA PARTE II

Santo, santo, santo è il signore degli eserciti
Tutta la terra è piena della sua gloria.

Isaia 6,5

Presso i rivi di Ruben grandi furono le risoluzioni del cuore!
Perché tu sei rimasto tra gli ovili ad ascoltare il flauto dei pastori?
Dai cieli si combatté. Combatterono le stelle dai cerchi loro. 
Maledite Meroz, dice l’angelo dell’Eterno; 
perché non vennero in soccorso dell’eterno,
in soccorso dell’Eterno insieme coi prodi.

Canto di Deboràh

Di recente hanno suscitato un certo sgomento le immagini, proposte in mondovisione, che colgono l’attuale pontefice Francesco I mentre si getta ai piedi dei tre capi politici riuniti in sede di trattative per la risoluzione dei problemi determinati dalla endemica conflittualità nel Sud Sudan, invocando egli, con questo suo gesto estremo e plateale, la fine di ogni ostilità. Estraiamo da un giornale l’inizio della cronaca dell’evento:

In ginocchio Papa Francesco ha baciato i piedi al presidente della Repubblica del Sud Sudan, Salva Kiir Mayardit, e ai vice presidenti designati presenti, tra cui Riek Machar e Rebecca Nyandeng De Mabio. Un gesto inatteso e commovente per chiedere la pace nel Paese al termine dei due giorni di ritiro spirituale per le autorità civili ed ecclesiastiche.

Qualunque cosa si pensi del sorprendente comportamento del vicario di Pietro o di Cristo — sorprendente perché nel corso della storia è accaduto che fossero i regnanti a buttarsi ai piedi del papa e non il contrario — l’impressione che ne ricava è che il cristianesimo sia una religione non solo pacifica (il che potrebbe essere ovvio) ma pacifica a tal punto da potersi definire pacifista, contrariamente all’Islam, ad esempio, in cui all’uomo che muore in battaglia per il suo ideale di fede spetta di diritto lo status di martire.

Questo supposto pacifismo concepito quasi come se esso fosse coessenziale al cristianesimo praticamente non è mai esistito: la pace di Cristo è ontologicamente diversa dalla pace tra gli uomini e non sono solo episodi di belligeranza stranoti, quali la riconquista del Santo Sepolcro, a dar conto dello stato di (quasi) permanente conflitto dell’armata terrena di Dio, specchio riflesso di quella angelica, identicamente intransigentemente combattiva. Si tratta di una tradizione dispiegata in diverse epoche che conferiva allo scontro armato un ruolo speciale nel processo di salvezza, identificando la morte sul campo di battaglia con il martirio e quindi come una via privilegiata per raggiungere la vita eterna. 

Tutta l’emblematica vicenda delle crociate è, infatti, piuttosto malvista dall’attuale orientamento ecclesiale, come dimostra la stessa dichiarazione del pontefice richiamata in prosieguo nel testo. Infatti la Chiesa contemporanea, quella post-conciliare, vorrebbe costruire ponti per ogni dove in nome del nuovo dogma della “non divisività” e vorrebbe d’altronde risolvere le feroci dispute d’allora riducendo le stesse a mere contingenze temporali, a una sorta di malattia infantile del cristianesimoGià da tempo si è introdotta come elemento di mitigazione storica la felice definizione di pellegrinaggi armati per “mimetizzare” le crociate, definizione tra l’altro coerentemente applicabile solo alla liberazione del Santo Sepolcro. 

Per controvertire tale generalizzazione sembra che basti pensare alla ferocia manifestata dalle truppe assedianti nelle crociate albigesi e in quelle baltiche, o, ancora, lo spaventoso massacro e saccheggio perpetrato a Costantinopoli nel 1204 contro i cristiani d’Oriente, una crociata che pressoché distrusse Costantinopoli. Tutti questi episodi, citati alla rinfusa, sono tutt’altro che secondari rispetto alla Storia, anzi ne hanno determinato il corso e non appaiono affatto inquadrabili nell’astratta categoria dei “pellegrinaggi”, ancorché armati, e quindi non sono eventi da archiviare solertemente, quasi fossero errori di una gioventù definitivamente tramontata. 

Durante la seconda guerra mondiale Stalin si chiedeva ironicamente quante divisioni avesse il papa, facendo finta di ignorare, lui che poi avrebbe fatto portare in giro per tutta la Russia assediata dai nazisti l’icona miracolosa della Theotokos del Kazan, che nella storia della cristianità non era stato il solo elemento umano a partecipare alla battaglia, a dirigerla, a guidarla, ma erano le stesse forze sovrannaturali a intervenire con lo scopo, non di dividere miracolosamente le parti, manifestandosi ai belligeranti nella loro potenza, quanto piuttosto a partecipare, parteggiando, alle ferocissime pugne schierandosi apertamente con i cristiani fino al punto di sovvertire la sorte di battaglie che parevano segnate o comunque compromesse.

Icona della Vergine del Kazan

Vittorio Messori in un suo articolo ricostruisce uno straordinario scenario delle vicende belliche durante l’assalto nazista alla Russia e del ruolo assunto dall’intervento, supposto divino, della Vergine del Kazan. Tutta la storia russa è intersecata dall’intercessione mariana nei campi di battaglia. Riproduciamo a tale scopo un brano di Nuccio d’Anna:

Quasi un secolo dopo, nel 1709, in occasione dell’invasione svedese che minacciava di cancellare la tradizione ortodossa russa a favore del protestantesimo rivoluzionario, la zar Pietro il Grande vinse gli occupanti svedesi nella memorabile battaglia di Poltava il cui successo fu unanimemente attribuito alla presenza nel campo di battaglia dell’icona della Madonna di Kazan che ormai i Russi consideravano la custode dell’identità spirituale della Nazione. Così l’icona fu portata nella cattedrale di San Pietroburgo e ancora un secolo dopo, durante la terribile invasione napoleonica condotta all’insegna del nichilismo rivoluzionario che minacciava di distruggere le basi della loro tradizione spirituale, i Russi continuarono ad attribuire la loro vittoria sugli invasori alla speciale protezione divina mediata dall’icona della Madonna di Kazan.

N. D’Anna, La straordinaria vicenda dell’icona della Madonna di Kazan

Se si dice, come si dice, che è Dio a guidare la Storia – ciò è in sostanza il fondamento della cosiddetta “Teologia della Storia” – si deve parimenti accettare che, al di là di fatti più o meno leggendari o comunque enfatizzati, che la storia umana occidentale è d’impronta inequivocabilmente espansiva e colonialista ed è cosparsa di eventi sanguinari generato dall’impulso “religioso”. In questa cornice “suprematista” in mille circostanze furono coinvolte in modo massiccio le popolazioni civili in ogni continente e tutto ciò, secondo la sopraevocata teologia, dovrebbe corrispondere a un preordinato piano di salvezza di Dio che giustificherebbe l’esistenza di questo scorrere degli eventi, traendosi infine da essi il bene dal male.

Questa “milizia in terra” del resto costituirebbe, come accennato, una sorta di riflesso nello specchio di vicende celesti. L’angelologia è improntata alla più intransigente belligeranza. Il capo delle armate celesti è quel San Michele arcangelo, appena prima presentato, che schiaccia il demonio sotto il suo piede ed egli stesso è ritenuto partecipare su un altro piano a un combattimento escatologico che si compie da tempo immemorabile tra i “figli della luce” e i “figli delle tenebre”, in conformità a paralleli riscontrabili in molteplici tradizioni, di cui quella qumranica (vedi infra) è l’antecedente “parentale” più evidente. 

Se esiste, come verosimilmente esiste, un ecumenismo contemplativo, non è meno vero che esiste (o è esistito) un ecumenismo cavalleresco di cui la narrazione del Parsifal di Wolfram von Echembach può rappresentare lo specimen più evidente. Tale testo però riguarderebbe il comportamento esemplare di pochi individui (in sintesi degli iniziati che partecipano a una cavalleria trasversalmente iniziatica) mentre gli eventi pugnaci sopra accennati (i c.d. “pellegrinaggi armati”) coinvolsero drammaticamente soprattutto gli inermi che furono oggetto di infiniti supplizi da parte di orde inferocite che di “cavalleresco” e di “spirituale” non avevano un bel nulla.  

La convocazione belligerante coinvolgerebbe più piani di cui quello angelico è solo quello intermedio e, tuttavia, detti piani sono ritenuti come intercomunicanti, tanto che vi sono molti passaggi dell’Antico Testamento in cui nel testo si narra dell’intervento diretto delle schiere angeliche, armate di tutto punto, che, dal piano sottile nel quale risiedono, intervengono in favore del popolo eletto in situazioni per esso critiche.

Dosso Dossi, San Michele con il demonio e l’Assunta tra gli Angeli

In questo quadro di Dosso Dossi, ambientato in quello che sembra un paesaggio terrestre, si mostra la relazione tra il combattimento di San Michele con Satana mentre in alto è raffigurata tra la Vergine regina degli angeli. L’intervento dell’armata di Dio comunque è solo un aspetto di questo combattimento totale perché, se san Michele è un archistratega, “il Generale”, così nominato in molte circostanze nelle cronache di queste lontane epoche, è proprio quella Regina Pacis, che sembra possedere una caratteristica tra tutte dominanti, ovvero quella del furore bellico e della risolutezza dell’azione.

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La Theotokos – lo si vedrà – era descritta come addirittura presente fisicamente nei combattimenti e si comportava come una dea pagana che infervorava le schiere e rovesciava di sua mano i nemici, tanto da meritarsi sul campo l’appellativo – che oggi può apparire non solo insolito ma addirittura blasfemo – di “crudele”, appellativo attribuitole da un pio cronista cattolico.    

Una parte preponderante di queste riflessioni sarà dedicata al rapporto stabilitosi tra la Theotokos e il potere imperiale a Bisanzio dove l’imperatore, in qualità di rappresentante di Cristo in terra, era considerato persona sovraumana e le sue immagini partecipavano di questa sacralità, presentandolo nelle varie regioni dell’impero come persona sacra. L’imperatore d’Oriente era un “uomo” che partecipava di una particolare elezione che lo distingueva e a cui si riconosceva l’omaggio di quella proscinesi — interdetta ai cristiani d’occidente ma in cui in realtà si faceva omaggio al genio e non all’uomo — come se egli fosse una quasi deità. In tal modo l’imperatore entrava in uno strettissimo rapporto di sudditanza gerarchica con il suo “generale”, ovvero Maria stessa. 

La Vergine gode, rispetto alle schiere angeliche, di un status privilegiato che la pone al di sopra degli stessi angeli e arcangeli, che invece sono maggiormente protagonisti nella sfera occidentale dell’influenza celeste sulle battaglie terrestri, un’impostazione che trova scaturigine nel qumranico Rotolo della guerra e che può essere collocato all’inizio di questa lunga tradizione di angeli guerrieri almeno nell’ambito delle “religioni del Libro”.

La Vergine, la Theotokos, non verrà mai rappresentata in armi, perché la sua arma è la verginità, anzi di più, è la sua prodigiosa maternità virginale che le conferisce una potenza d’irresistibile efficacia. Singolarmente, infatti, come Athena, come le Amazzoni, come le Vestali, la verginità è connessa a un potere sovrannaturale che si dispiega efficacemente in battaglia, una sorta di “virilità femminile”. Con ciò si rende possibile un confronto con la stessa Giovanna d’Arco, apparentemente una semplice “contadinotta” che si trova infusa di questo potere pressoché soprannaturale che la farà sempre trionfare in battaglia mantenendo Ella la sua illibatezza.        

Ci fermiamo qui e attenendoci al nostro titolo affronteremo il delicato tema che ci siamo proposti di trattare in un’ottica piuttosto discorsiva e il più possibile equilibrata, consci che sarebbe necessaria piuttosto una più vasta pubblicazione per sviscerare adeguatamente l’argomento nelle sue numerose sfaccettature e nelle sue complesse implicazioni. 

Ambrogio Lorenzetti, Madonna con il bambino in trono, santi e angeli, 1335 ca. 

Il combattimento celeste

La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. 

Efesini 6,12

Vi è un punto dal quale è necessario principiare e che si sostanzia nella riflessione che segue: il primo dei combattimenti fra schiere di contrapposta costituzione si svolge in cielo e coinvolge le brulicanti compagini angeliche che si fronteggiano con quelle demoniache in un conflitto, venuto in essere all’origine del tempo e che solo alla fine del tempo si concluderà. Un conflitto che, detto guénonianamente, coinvolge più piani della manifestazione compreso quello umano che è chiamato in causa ed è invitato a offrire il suo contributo, anche attraverso il martirio, al fine di condurre a conclusione vittoriosa l’epica lotta contro i figli delle tenebre.

Il mondo arcangelico e angelico è fortemente gerarchico ed il suo “capo” è, come detto, l’archistratega Michele. Dei sette arcangeli riconosciuti dalla tradizione biblica il cristianesimo ne ha confermati solo tre (Michele, Gabriele e Raffaele) e malgrado un quarto, Uriele, goda di una sorta di status particolare, essendo posto quasi in un limbo che sta tra ortodossia e eterodossia, questi è tuttora escluso dal novero degli arcangeli come parimenti lo sono Sealtiele, Geudiele e Barachiele e ciò nonostante gli sforzi di molti competenti studiosi che si sono spesi per rivitalizzare la tradizione dei “sette spiriti” inspiegabilmente accantonata.

Michele e Gabriele sono arcangeli e congiuntamente santi provvisti di un armamentario da combattimento, la spada l’archistratega Michele, la lancia Gabriele. Uriele a propria volta è dotato di una spada fiammeggiante ed è riconosciuto da diverse tradizioni come l’arcangelo che protegge l’accesso al Paradiso terrestre ormai precluso alla coppia primordiale e alla sua discendenza. La spada di fuoco, secondo alcune leggende ebraiche raccolte da Arturo Graf sul tema, è fatta girare vorticosamente dall’arcangelo davanti l’ingresso al Paradiso, un tema che richiama strettamente quello delle simplegadi, perché esiste comunque una fessura intemporale in grado di permettere il passaggio “all’eletto” dal “quadrato” al “cerchio”. In ogni caso, precisa lo studioso Dalmazio Frau,

I sette grandi arcangeli che abbiamo avuto modo di osservare sono tutti guerrieri e combattenti, ma alcuni di loro come MikaEl, GabriEl, e UriEl,  lo sono in misura ancora maggiore.   

D. Frau 2014, 108

Discendendo di piani non bisogna dimenticare che anche la gerarchia angelica è formata da schiere combattenti, variamente conformate, ma non è negli intendimenti questo lavoro procedere a un’indagine particolareggiata su questo esercito celeste: su ciò si consulti il citato testo del Frau in cui l’autore ha preso in esame le schiere degli angeli combattenti (l’armata di Dio), che propone l’emblematica immagine di una classe angelica (i Principati) schierati come pronti al combattimento, tratta da un dipinto di Guariento di Arpo che qui riproduciamo.

Guariento di Arpo, I Principati in schieramento da battaglia

Come in cielo così in terra

Non c’è legge che vieti al cristiano di colpire con la spada. Il Vangelo raccomanda ai soldati la moderazione e la giustizia. Ma non dice affatto loro: gettate le armi e rinunciate alla milizia.

San Bernardo, Epistole

A specchio del cielo qui sulla terra anche il cristiano si trova quindi a sostenere, in primis per dovere, la personale battaglia spirituale interiore contro le tentazioni diaboliche, e quindi contro il peccato che scaturisce dall’assecondare le inclinazioni perverse che dalle tentazioni scaturiscono. Oltre a questa lotta interiore e quotidiana il male si mostra anche personificato e quindi fisicamente presente nel mondo (di cui il demonio è il principe) e quintessenziato da compagini di avversari di Cristo contro le quali, alla fine, è necessario confrontarsi sul piano del combattimento materiale, quando la possibilità della rettificazione e/o conversione spirituale è fallita. 

Per questo nei secoli si rese necessaria la creazione di vere e proprie milizie di “monaci guerrieri” che si opponessero alle schiere avversarie come gli angeli si oppongono ai demoni. Andando in ordine sparso e in via assolutamente descrittiva e non esaustiva, richiameremo in questa circostanza l’istituzionalizzazione di alcuni di tali ordini cavallereschi improntati a questo spirito: gli Ospitalieri di San Giovanni (cavalieri di Rodi e di Malta); i Cavalieri Teutonici voluti dal Gran Maestro Alberto di Hoenzollern e, per ultimo, sebbene sia cronologicamente intermedio ai due appena citati, il celeberrimo Ordine dei Templari che ha fatto scorrere, come banalmente si dice, i classici fiumi d’inchiostro.

Il sigillo del gran Maestro dei Cavalieri Teutonici rappresenta la Vergine con il bambino in braccio, esprimendo così fortemente la saldezza del tema mariano della maternità verginale unito all’intransigente comportamento bellico. Maria accetta il sacrificio di Suo figlio per la salvezza del mondo, come la madre del soldato deve accettare la morte del figlio che conduce la sua lotta contro le tenebre su questo piano di esistenza. Si tratta di un ordine fortemente voluto da San Bernardo e ben delineato nei suoi intendimenti e nei suoi scopi nello scritto bernardiano De Laude Novae Militiae. Qui si prescrive la più rude disciplina e un’arditezza persino superiore a quella richiesta al comune cavaliere. Si impone, infatti, di attaccare il nemico quand’anche si sia in palese inferiorità numerica: «vivi e morti siamo del Signore; gloriosi i vincitori beati i martiri». La strategia, come si vede, è sottomessa alla fede.

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Con Bernardo (e con Maometto) s’introduce quindi il concetto di “guerra santa”, intesa come rito di purificazione congiuntamente esteriore ed interiore; il santo propone il terminemalicidio come scopo finale di questa lotta, inteso come opera di eliminazione dei malfattori, portatori del male stesso; difatti il cavaliere se uccide “lavora per Cristo” mentre se muore lavora “per sé” e quindi per la propria salvezza.

Qualcuno ha voluto, forse troppo disinvoltamente, accostare il testo del De Laude alla Bhagavad Gita. Personalmente pensiamo che tale avvicinamento sia errato nella sua principialità. L’avversario di Arjuna, descritto nella Bhagavad, non reca nessun tratto malefico, anzi tutt’altro, egli è un nobile di vasta sapienza, la cui individualità però deve essere percepita come se fosse pressoché “fantasmica”, e per questo, finalisticamente, la battaglia della Bhagavad costituisce un mezzo per conoscere la Realtà ultima. L’individualità genera attaccamento al “nome-forma” e questi legami stringono emotivamente Arjuna al suo avversario impedendogli di compiere quello che si prospetta come suo “dovere”, ovvero procedere e avanzare oltre i limiti insostanziali del predetto “nome-forma”.   

Se si è spesa qualche parola in più per san Bernardo e per i Templari ciò è stato fatto per rimarcare come, conformemente al carattere intransigente del “santo di Dante”, parimenti di questi è nota la devozione alla Vergine, tanto che Dante attribuì a san Bernardo una preghiera alla madre di Dio, i cui versi sono davvero da considerarsi tra i più noti, toccanti e sapienti scritti su di Lei. Così infatti esordisce il Canto XXXIII del paradiso:

Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio.

Non diversamente, per conseguenza necessaria, l’Ordine dei Templari fu votato direttamente alla Vergine. Così veniva appellata infatti Maria nella liturgia: Regina Militum, Regina Fratrum Templi, Regina Conventi ab albis stolis, Regina Sancti Ordinis Templi, Auxilium Templariorum, come d’altronde si riconnetteva a Maria l’inizio stesso dell’ordine nella storia:

Nostra Signora è stata l’inizio del nostro Ordine, e in Lei e in Suo onore sarà, a Dio piacendo, la fine della nostra vita, quando Dio vorrà che ciò accada. 

La sacralità attribuita ai cavalieri templari (si è parlato di “gnosi templare”) e al carattere della loro particolare investitura trova quasi un corrispettivo nella sacralità delle loro armi che, come narra Henry Corbin, quando questi primi cavalieri si acquartierarono nel Tempio di Salomone, furono deposte sui suoi altari quasi fossero oggetti liturgici.

 Pietro Lorenzetti, San Giovanni Battista presenta un cavaliere alla Madonna col Bambino benedicente, affresco, Basilica di San Domenico a Siena.

Inciso

Se tu vai con la tua fede come una bandiera, come le crociate, e vai a fare proselitismo, quello non va. (Papa Francesco)

Nel corso del perenne confronto tra Cristianesimo e Islam accadde che le due fedi si sono scontrate più volte in maniera oltremodo pugnace, segnando un percorso piuttosto sanguinoso di rapporti che tuttora perdura (almeno da parte di un “certo” Islam). L’Islam è stato in diverse circostanze in condizione di invadere l’Occidente e la storiografia cristiana annovera tre tappe fondamentali e topiche del baluardo bellico che appose il cristianesimo a tale invasione: la battaglia di Poitier, la battaglia navale di Lepanto e quella di Vienna. In tutti e tre i casi i maomettani, secondo la tradizione storiografica propria della teologia della storia, furono valorosamente fermati con le armi e, congiuntamente, con l’intervento d’un fattore soprannaturale che determinò l’esito dello scontro. 

Più interessante per i nostri fini è quanto accade a Lepanto, battaglia la cui vittoria la storiografia cristiana ascrive al diretto intervento della Vergine schieratasi invisibilmente sul campo di battaglia in favore di uno dei contendenti (ancorché Ella venga tributata di onori soprannaturali da entrambe le parti, essendo i musulmani devotissimi alla Vergine). In effetti le cronache riportano l’accadere di alcuni eventi cui è stato attribuito carattere di soprannaturalità come il verificarsi di un improvviso cambio di vento che favorì la coalizione cristiana portandola alla vittoria. L’annuncio dell’evento giungerà a Roma ventitré giorni dopo, portato da messaggeri del principe Colonna, ma si narra che il giorno stesso della battaglia san Pio V ne ebbe in visione la percezione proprio nell’ora di mezzogiorno e glorificò la circostanza con questa disposizione, dando così congedo agli astanti:

Sono le 12, suonate le campane, abbiamo vinto a Lepanto per intercessione della Vergine Santissima

S’instaurò allora la tradizione cattolica di sciogliere le campane di tutte le chiese alle 12 in punto. Papa Pio V, proprio per effetto di tale intercessione, decise significativamente di dedicare il giorno 7 ottobre a Nostra Signora della Vittoria aggiungendo il titolo Auxilium Christianorum (“Aiuto dei cristiani”) alle Litanie Lauretane, successivamente la festa fu trasformata da Gregorio XIII in Nostra Signora del Rosario, sempre con la motivazione di celebrare l’anniversario della vittoria ottenuta per intercessione dell’augusta Madre del Salvatore, Maria.  

D’altronde a ciò si può aggiungere che chi è di Roma o conosce Roma sa dell’esistenza di una chiesa denominata Santa Maria della Vittoria, ovvero di quell’edificio che ospita, tra le altre cose, la stupefacente statua dell’estasi (transverberazione) di Santa Teresa del Bernini. Tale dedicazione è successiva a quella originale, conferita a san Paolo, ed è stata mutata proprio per celebrare un’altra vittoria militare ottenuta dalle truppe cristiane nella battaglia della montagna bianca (presso Praga) nella Guerra dei Trent’anni che vide appunto una temporanea vittoria delle truppe cattoliche su quelle protestanti. 


Prodromi 

Io non conosco altro compagno di battaglia sulla terra, o protezione nei pericoli, o guerriero invincibile nelle insidie, che te, Theotokos tutta pura! Per questo cado sulle mie ginocchia e grido a te, Signora del mondo: sii sempre la mia custode.

Bissera V. Pentcheva, Icone e potere

Com’è noto nella battaglia che segnò praticamente il declino del paganesimo a Ponte Milvio, Costantino ebbe la precisa manifestazione del favore divino di questo nuovo credo venuto dal Medio Oriente con il sogno-visione che precedette la battaglia. Qui vide un segno, ossia il segno della croce che fu interpretato come comunicazione dell’elargizione del favore divino nell’imminente scontro. Questo evento, ancorché presuntivamente agiografico, segnerà la coincidenza della croce come strumento del supplizio di Cristo e insieme come strumento di lotta al male che comporta anzi impone anche il supremo sacrificio del milite.


Le crociate baltiche
(Maria sovrana di tutte le terre) 

…imperversò la nemica disumanità al di sopra di ogni misura e senza limitazioni in modo tale che, dimentichi di ogni cristiano ritegno macellarono uomini come bestiame.

Cronaca di Lamperto della battaglia di Homburg

L’argomento delle crociate baltiche è molto meno noto di quello delle crociate in Terrasanta, eppure, oltre a costituire studio appassionate in sé per la densità degli eventi che contrassegnarono la circostanza, è l’ambito nel quale, forse con maggiore evidenza, s’intreccia  il tema che ci si propone di mettere in mostra, ossia la profonda relazione che lega Maria all’azione militare e il suo merito per la vittoria ottenuta su quei popoli europei ancora “pagani” che, alla fine, furono forzatamente costretti a convertirsi. 

Asciuttamente si dirà che tali impegni militari non scaturirono affatto da esigenze difensive ma da una precisa volontà aggressiva, all’epoca perfettamente giustificata per esigenze di propagazione della fede in tutta Europa, come lo sarà successivamente in altri continenti, certamente non disgiunta da inevitabili e conseguenti risvolti “economici” sicuramente non ignoti ai belligeranti, come ha ben mostrato lo storico Eric Christiansen nel suo classico testo dedicato a questa invasione dell’estremo nord  dell’Europa. 

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Nel 1147 papa Eugenio III, emanando la bolla Divina dispensazione, autorizzò la “guerra santa” nei confronti dei popoli slavi che abitavano le parti nord ed est della Germania, equiparando questa crociata, nei meriti e nei benefici, a quella che nello stesso periodo si combatteva in Terrasanta contro i musulmani per la liberazione del Santo Sepolcro e a quella che si combatterà nella stessa Costantinopoli nel 1204. Tali interventi militari, vista la manifesta riottosità delle locali popolazioni a convertirsi, furono denominati “crociate del nord” o “crociate baltiche” o, altrimenti, “crociate livoniane”. Esse naturalmente non sono state affatto “pellegrinaggi armati” per il semplice ed evidente motivo che non c’erano luoghi santi da proteggere. La Livonia è una regione geografica che comprende gli attuali stati di Lettonia, Estonia, e Lituania ed altri territori ancora, una superficie tutt’altro che trascurabile dell’Europa continentale nordica. 

Queste invasioni durarono diversi decenni, in quanto organizzate tra lo spirare del dodicesimo secolo e l’inizio del tredicesimo coinvolgendo pesantemente, con razzie, decimazioni e deportazioni forzate, le popolazioni che occupavano i territori affacciantisi sul mar Baltico, azioni di estrema crudezza che furono puntualmente annotate, a loro vanto, dai vincitori. Come si diceva nelle decorse pagine, diversamente a quanto avvenuto in quelle di Terra Santa, queste crociate si proposero fin da subito l’obiettivo della conversione coattiva dei conquistati, che vennero quindi battezzati  successivamente alla sconfitta militare dei loro eserciti da parte di questi crociati, che erano principalmente tedeschi, danesi e svedesi. 

Artefici del successo e protagonisti di queste cruentissimi episodi furono i Cavalieri Portaspada che appartenevano a un ordine appositamente creato nella circostanza a specchio di quello templare. L’Ordine dei Cavalieri Portaspada — conosciuto in latino sotto il nome di Fratres Militiae Christi ed in tedesco come Schwertbrüder — venne infatti fondato nell’anno 1202 dal vescovo Alberto di Riga, ovvero dal fondatore stesso della città.

Questa miniatura riproduce l’abbigliamento bellico del vescovi guerrieri che ebbero grande influenza nelle vicissitudini guerresche dell’epoca.

Non è quindi solo una frase ad effetto quella con cui si afferma che i Portaspada siano stati i Templari del Nord. Tale ordine monastico-cavalleresco si ispirava apertamente ed esplicitamente a quello dei Templari, sia per la simbologia, sia per le regole interne, ed era nato al solo fine di promuovere e proteggere l’opera di cristianizzazione nell’area pagana del mar Baltico. I Portaspada adottarono come distintivo, cucito sopra il loro mantello bianco, una spada rossa sotto una croce rossa. A soli due anni di distanza dalla sua fondazione, ovvero nel 1204, papa Innocenzo III riconobbe ufficialmente lo statuto dell’Ordine. 

Sigillo dei Portaspada. Come si vede, spada e croce sono emblematicamente unite in modo tale che l’una (la spada) sembra quasi il riflesso allungato della sovrastante croce.

Si può affermare che la spada è la croce che portano i cavalieri nella loro lotta contro il male, la via attiva del combattimento spirituale, complementare alla via contemplativa con frequenti travasi da una dimensione all’altra, basti pensare alla nota vicenda di San Galgano e della ormai famosissima spada confitta nella roccia. La via sufica, per sconfinare in un ambito prossimo, accosta, con ulteriore forza le due vie, l’attiva e la contemplativa, che possono ben essere praticate congiuntamente, così come ci si può riferire a certe linee del buddismo cinese (shaolin). Proprio l’investitura cavalleresca mostra il carattere di suggello ricevuto dal miles Christi che veniva toccato dal dorso della spada dal suo investitore mentre questi pronunciava queste parole:

Sei creato cavaliere in nome di Dio, San Michele e San Giorgio

Come si vede l’investitura avveniva invocando tre piani: Dio stesso, San Michele quale capo della milizia celeste e, ulteriormente, da S. Giorgio santo militare per eccellenza, dopo ciò «seguiva una messa che consacrava il nuovo membro della cavalleria umana». Dalmazio Frau richiama un passaggio di uno scritto di Raimondo Lullo in cui l’equipollenza tra spada e croce è pienamente confermata da queste parole:

Al cavaliere si da la spada, che nella forma è simile alla croce, per significare che, come Gesù Cristo vinse sulla croce la morte nella quale eravamo incorsi per il peccato di nostro padre Adamo, così il cavaliere dovrà con la spada sterminare i nemici della croce. E poiché la spada ha due tagli e la cavalleria è fatta per mantenere la giustizia, che consiste nel dare a ciascuno il suo, per questo la spada vuole dire che, per mezzo di essa, il cavaliere deve mantenere la Cavalleria e la Giustizia.     

D. Frau: 2014, 79

Abbandoniamo le interessanti vicende storiche di questi cavalieri per concentrarci sul punto essenziale del discorso. Dopo la sottomissione di queste popolazioni alla fine delle ostilità, e per precisione il 2 febbraio 1207, nei territori conquistati venne istituito uno “stato ecclesiastico” detto Terra Mariana che fu assimilato a un principato del Sacro Romano Impero. Tale principato nel 1205 era stato proclamato possedimento della Santa Sede da papa Innocenzo III. La classe politica precedente fu sostituita da nobili invasori e dalle loro corti, stranieri che nulla avevano a che fare con quegli ampi territori e per conseguenza, de facto, le popolazioni locali furono colonizzate e persero ogni autonomia. Un caso di “quasi” sostituzione etnica.

A questo punto ci si può domandare: perché “Terra Mariana”? La risposta può essere semplice e si trova nelle cronache dell’epoca tra cui la principale testimonianza è offerta dal cronista ecclesiastico Enrico di Lettonia autore del Cronicon Livoniae. Questo scritto raccoglie la testimonianza diretta degli eventi descritti e quindi è di particolare valore per la conoscenza del tema mariano che stiamo esaminando, in quanto proprio l’atteggiamento intransigente di Maria, in quei lidi, costituì, contribuendo in primis alla vittoria il suo presunto diretto intervento, uno strumento assai persuasivo di propaganda per la conversione dei locali e, ulteriormente, per ottenere la sottomissione ai nuovi signori stranieri che li avrebbero dominati in futuro.

Enrico, infatti nei suoi scritti, la invoca come «la Maria Stella» e la prega affinché «vegli sempre sulla sua Livonia» e descrive come essa sia «la signora del mondo e sovrana di tutte le terre», e per questo sollecita la Vergine affinché protegga «costantemente il suo paese»: d’altronde questa è l’investitura che ha la Regina del Cielo. Ad essa spetta il compito di dominare su tutti i re della terra. Il commentatore fa notare come soprattutto la Vergine abbia «punito tanti re che hanno combattuto contro la Livonia». Secondo le brutali osservazioni di questo cronista ecclesiastico, Maria uccide e massacra coloro che non piegano il ginocchio e si sottomettono al giogo di Cristo e per meglio esaltarne le caratteristiche scrive:

Vedi la madre di Dio com’è mite verso i suoi, che in Livonia l’hanno servita con fedeltà e come protegge sempre da tutti i nemici, e come è crudele verso coloro che invadono il suo paese, o coloro che in questo paese cercano di ostacolare la fede e l’onore di suo figlio. Vedi quanti potenti re ha punito. Vedi quanti principi e anziani dei popoli infedeli ha cancellato dalla terra, quanto spesso ha concesso ai suoi la vittoria suo nemici ! […] Guardate e ricordate voi principi russi, pagani danesi, e voi anziani di qualunque popolo, temetela, la mite madre misericordiosa, onorate la Madre di Dio, riconciliatevi con lei che si vendica in modo così crudele dei suoi nemici, non attaccate più il suo paese, affinché sia per voi una madre colei che finora è stata sempre la nemica dei suoi nemici e ha sempre recato  a coloro che danneggiano i suoi in Livonia un danno ancor più grande.  

K. Deschner: 2006, 126

Come ognuno può constatare dalle parole di Padre Enrico, risulta evidente come Maria Fnon si limiti semplicemente a sostenere le sue truppe infondendo a esse un coraggio e un valore superiore al comune, quanto piuttosto intervenga direttamente nell’azione bellica risultando determinante per l’esito positivo dello scontro. Questi spunti, in estrema sintesi, mostrano che tipo di legame affettivo stringe il cristiano in armi, alias il crociato, con la Regina del Cielo, di cui egli è figlio più d’ogni altro, in quanto il crociato è disposto al sacrificio in similitudine con il sacrificio del Cristo.

Nella seconda parte di questo studio — di prossima uscita su queste pagine — si esaminerà come viene vissuta la figura mariana nell’oriente cristiano in rapporto al tema bellico. 

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