Sul “su nénniri” sardo che lega e che cura: la rinascita del grano e la connessione con Tammuz/Adone

L’uso del su nénniri in Sardegna sopravvive nonostante le sue cicatrici e, sia che si tratti di una forma di cultura vitale o di un residuo, esso merita la nostra attenzione perché ci troviamo davanti ad un uso antico come il genere umano: uno di quei gesti che la donna e l’uomo di ieri si erano convinti potessero riportare ciclicamente l’ordine sottraendo il mondo al Caos.

di Claudia Zedda

Articolo originariamente pubblicato sul blog dell’Autrice.
Revisione di Marco Maculotti.

La cultura e le sue espressioni sono adattive. Il concetto è piuttosto banale, ma in sé ha qualcosa di entusiasmante: tutte sono frutto di una selezione. L’obiettivo è la tua crescita in qualità di individuo ma soprattutto il potenziamento del gruppo. Portando consapevolezza ai gesti tuoi e della tua comunità potresti rendertene conto e iniziare a selezionare con cognizione le espressioni culturali che più ti si addicono.

I fenomeni culturali che non servono alla comunità per la sua sopravvivenza, semplicemente scompaiono. In rari casi rimangono in forma di fossili (relitti culturali). Non evolvono più perché sono usi morti, ma ugualmente hanno una funzione: regalare sicurezza offrendo un’effimera idea di identità.

L’uso del su nénniri (nènneri, nènneres, nènnari, nìnniri, èrme, sipùlkru) in Sardegna sopravvive nonostante le sue cicatrici e, sia che si tratti di una forma di cultura vitale o di un residuo, esso merita la nostra attenzione perché ci troviamo davanti ad un uso antico come il genere umano: uno di quei gesti che la donna e l’uomo di ieri si erano convinti potessero riportare ciclicamente l’ordine sottraendo il mondo al Caos.


Il su nénniri sardo

Su nénniri era un il vaso ornato con nastri e fiori colorati, contenente piantine fatte crescere al buio quindi clorotiche, cioè giallicce e malaticce. Si preparava in due periodi diversi: per il Sepolcro del Giovedì Santo e/o per la festa di S. Giovanni BattistaI semi che si mettevano a germinare al buio potevano essere ceci, lenticchie, grano, lino e in base alle località lo si preparava sette, quindici, venti o quaranta giorni prima dell’occasione. Lo si teneva al buio e al caldo e la terra in uso doveva essere grassa o bambagia da tenersi sempre umida. Risulta che in alcuni casi si utilizzasse stoppa di lino non filato e terra.

Suggestionati dalla tradizione cristiana le sarde tenevano su nénniri sotto il letto, dentro una cassa chiusa, sotto un cestino o dentro un armadio. Il contenitore invece poteva avere varia natura: risultano fra i più comuni il piatto e la zucca spaccata. Il piccolo giardinetto decorato di fiori (rose, garofani, cinerarie e altro), fiocchi (rossi e/o blu) e panni (rossi) poteva essere portato in chiesa per essere benedetto o donato (qualora preparato in occasione del San Giovanni). In entrambi i casi lo scopo era di stringere legami con la divinità e all’interno della comunità.

L’usanza si ricollega ad antichi riti agrari pagani volti al culto della Terra intesa come Madre: la pratica simboleggia rigenerazione, morte e rinascita, resurrezione. La cosa interessante è che su nénniri spiega questi concetti per immagini, sfruttando il pensiero mitico. La rinascita: infatti il grano e la vegetazione in genere, incapace di morire, vista la sua rinascita ciclica, ben si presta a rappresentare il ritorno della vita. Ma non è l’unico significato esplicato dal nénniri.

I legami: il giardino ritualizza i rapporti tra l’uomo e il divino (a cui su nénniri è rivolto) e con la comunità attraverso il comaratico e di comparatico. Si tratta di legami di supporto che vanno oltre l’amicizia e oltre il matrimonio. Rapporti indissolubili, che si stringono con il dono e accettazione del nénniri e successivo salto nel fuoco. Il comparatico ricorda gli antichi e potenti matrimoni fra clan che ancora oggi caratterizzano le società matrilineari e gilaniche.

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La connessione con Tammuz/Dumuzi, Adone e Osiride

Non ho calcato la mano. Siamo davvero in presenza di un uso originario che ha dato vita a un vero e proprio mitologema: quello della Dea o del Dio che personifica il grano e che ogni anno muore, condizione sine qua non per la successiva rinascita. Dumuzi/Tammuz come pure Osiride sono paredri di “brillanti Madri Oscure. Periodicamente muoiono e le loro Dee, Inanna/Ishtar e Iside periodicamente li fanno rinascere. E visto che giocano il gioco del grano, che muore ma poi se una Dea lo mette a dimora rinasce, è finito che l’uno e l’altro siano stati associati al grano.

Ragionavamo per immagini e per immagini le storie si raccontavano. La storia del grano che rinasce, ad esempio, era messa in scena con i letti di Osiride. Si trattava di sagome seminate a grano, poste sulle tombe di giovani donne e uomini. Il grano, germinando avrebbe aiutato magicamente i defunti nella resurrezione. Statuette che riproducevano Osiride, composte di argilla, incenso e grano, venivano sepolte durante la semina nel campo con un rituale variamente elaborato: avrebbe stimolato la “rinascita” del grano.

Tammuz è ancora il decimo mese del calendario ebraico (giugno/luglio) ed il mese di luglio del calendario Gregoriano in lingua araba. Per intenderci ancora oggi Tammuz rappresenta il grano.

Che io viva o muoia, io sono Osiride, io penetro in te e riappaio attraverso la tua persona. In te deperisco e in te cresco.
Gli dèi vivono in me perché io vivo e cresco nel grano che li sostenta.

Tammuz poi diventerà Adone che caduto nelle grinfie culturali dei Greci verrà mutato in un giovinetto conteso fra due Dee un po’ meno oscure ma incredibilmente brillanti: Persefone e Afrodite. Le Adonie, celebrazioni private festeggiate dagli amanti e dalle cortigiane, diventeranno così virali. Le si festeggiava creando e donando piccoli giardinetti che esposti ai raggi del sole morivano rapidamente (come il suddetto Adone) che venivano poi gettati in mare per celebrare la rinascita del piccolo Dio.  

E visto che i fenomeni virali piacciono, i Cristiani — che i propri competitor li osservano da sempre e con grande interesse — rubacchiano qua e là informazioni, creando anche loro piccoli giardini con due differenze: si preparavano durante il periodo pasquale, quello di rinascita del loro Dio, Cristo, e non si sarebbero più dovuti lasciare al sole, ma li si sarebbe dovuti far germinare in penombra, a rappresentare il buio del sepolcro.

Anche il suo nome è curioso. Secondo Aldo Domenico Atzei il termine sarebbe da ricollegare alla luna, che in Siria, Libano e Palestina era chiamata NenneruIl giro in tondo riporta sempre alla luna. Segnalo anche che in sardo nennéria/innennériu è una cosetta piccola, da niente, una quisquiglia, e che nennerìa è una sciocchezza.

Interessante anche il più raro erma/erme. Il termine erma si traduce in italiano come adonide, il fiore di Adone. Plinio il Vecchio raccontava che i magi raccoglievano il primo dell’anno per chiuderlo in un sacchetto di tela rossa in modo da scongiurare ogni febbre e malocchio. Il sacchetto, alla maniera delle nostre pungas, si sarebbe portato indosso o legato al collo.

Morte di Adone del Domenichino (Domenico Zampieri, 1581-1641)

Una tradizione femminile

Mi è stato impossibile reperire casi di uomini che preparavano nénniri. Questo mi porta a pensare che fosse un uso squisitamente femminile, come per altro tradizione più antica suggerisce. A tal proposito riporto l’uso che se ne faceva a Ozieri.

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Qui la semina del grano veniva fatta il giorno del Corpus Domini (o qualche settimana prima della festa) e avveniva in un recipiente di sughero o genericamente vaso. Alla vigilia di San Giovanni l’èrma/e, vestito di un panno rosso e celeste, veniva messo alla finestra su un tappeto di seta; sopra vi si posizionava una bambola con sembianze femminili fatta di farina impastata.

La notte si accendeva un grande fuoco e le coppie che intendevano diventare compare e comare si mettevano uno da una parte e uno dall’altra, tenendosi per la destra mediante un lungo bastone (o fazzoletto) per saltare il fuoco. L’uso, che ricorda molto da vicino quello legato al culto di Osiride, stringe ancor di più la donna a su nénniri visto che nella società tradizionale sarda la panificazione è di esclusiva competenza femminile. È interessante peraltro che a rinascere in questo caso sia una donna (figurino femminile) e non un uomo.

Usi del su nénniri

Su nénniri , di per sé un piccolo miracolo di rinascita raccontata senza la necessità di usare nemmeno una parola, veniva esposto al tempio/chiesa (sia quello pasquale sia quello preparato in occasione di San Giovanni). Una volta consacrato lo si poteva usare per moltissimi scopi, tra i quali:

  • propiziare un buon raccolto e preservare dalle malattie: in quel caso veniva disperso nei campi o fra i recinti del bestiame;
  • simulare sposalizi;
  • praticare cure rituali: quelli in grano, usati per ornare il Sepolcro di Cristo il Giovedì Santo, dopo la festa venivano portati a casa e usati per fumigazioni che avevano scopo religioso, terapeutico e magico. Erano impiegati nella cura di svariati mali;
  • praticare rituali: a Bolotana dopo essere stato deposto a terra davanti alla chiesa, i giovani a cavallo lo aggiravano per tre volte. Veniva poi rovesciato a terra. Non sfugga il simbolismo del cerchio, della rotazione e dell’offerta della terra alla Terra;
  • trarre auspici: specie quelli preparati in occasione di San Giovanni consentivano di creare un dialogo con il divino. Se la donna che lo aveva preparato otteneva una germinazione abbondante poteva desumere d’avere il favore del Santo, con tutto quello che questo favore poteva implicare;
  • stringere rapporti di comaratico e comparatico: in occasione del ciclo di San Giovanni su nénniri ornato di garofani poteva essere offerto alla persona con la quale si voleva creare questo legame. Nel caso in cui la proposta venisse accettata, da su nénniri si sarebbe prelevato un garofano. Si veda ad esempio il caso di Quartu S. Elena dove il comparatico è rimasto in vigore fino a pochi anni prima dell’inizio della II Guerra Mondiale. Aveva luogo esclusivamente fra donne, che diventavano comàri de fròrisColei che prendeva l’iniziativa inviava su nénniri all’amica prescelta, la quale, in caso di accettazione, doveva affrettarsi a restituirlo ponendovi un fiore, di solito un garofano. Risulta anche che su nénniri utilizzato per stringere legami di questo tipo venisse infine portato in chiesa e davanti al portone frantumato a terra.  Solo a quel punto ci si dichiarava compare e comare. Il salto del fuoco perfezionava la nascita del nuovo legame.

A Barisardo, in vicinanza con la festa di S. Giovanni Battista si svolge la sagra del su nénnirinénniri di grano e legumi, infiocchettati, vengono lanciati a mare così come in uso per le Adonie. Qui su nénniri si prepara in una pentola di terracotta, ed è sormontato da una croce di canna su cui si legano un pane a corona e grappoli di frutta, arricchita da tante crocette di fieno intrecciato. Il giardinetto viene portato in corteo verso il mare sul capo di una fanciulla, affiancata da altre due ciascuna delle quali reca una canna verde recisa di fresco: le due canne sono collegate per le sommità da un nastro, a formare una sorta di baldacchino; giunti al mare, su nénniri viene portato in processione dalle barche, privato degli ornamenti e offerto al mare con intento propiziatorio.

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A Oliena, per la processione della SS. Vergine che aveva luogo a Ferragosto, si esponevano alle finestre, abbelliti con nastri multicolori, nénniri di grano e legumi (da semi messi a germinare il 1 agosto) onde propiziare la pioggia, oppure essi venivano portati in chiesa ai piedi del simulacro della Madonna.

Elementi simbolici del su nénniri

Gli elementi ricorrenti sono la terra, il grano, il nodo e sono simboli potenti. Se della terra e del grano si è parlato abbondantemente, merita ora qualche approfondimento l’elemento nodo che simbolicamente rappresenta un legame o il blocco delle energie e delle forze. Il nodo è lo strumento magico che ferma le energie e cristallizza le situazioni, usato in accezione positiva (fermare lo stato di salute di una persona sana, rendere stabili i rapporti di amicizia o di amore), ma anche in accezione negativa (bloccare le energie sessuali e non solo di chi riceve, a sua insaputa, il nodo). Nel caso di su nénniri il nodo è suggerito:

  • dalla presenza di fiocchi che adornano il contenitore, dai fili colorati che a Barisardo legano le canne;
  • dal nodo che in alcuni casi le comari e compari fanno al fazzoletto: tenuto da entrambi per un lembo congiunge i due mentre saltano il fuoco per sancire il legame;
  • il nodo è suggerito anche e soprattutto dalla funzione di su nénniri che una volta donato e accettato crea un legame indissolubile con il divino (se donato in chiesa) o con l’umano (se donato per creare comaratico o comparatico). Il legame creatosi fra comari e compari non ha niente a che vedere con la creazione di un rapporto amoroso/matrimoniale: comari e compari possono essere di egual sesso o di sesso differente. La cosa rilevante è che si tratta di un legame che sancisce l’unione profonda e di sostegno fra due persone e le famiglie. Insomma, come già detto sopra, un vero e proprio matrimonio fra quelli che un tempo dovevano essere clan nei quali la comunità era suddivisa;
  • il rito è degno di attenzione: racconta di una società in grado di creare rapporti stabili per la sopravvivenza. Mette in luce inoltre l’emancipazione femminile sarda: le donne che possedevano un compare potevano senza dubbio avere anche uno sposo. I due legami non potevano e non dovevano entrare in conflitto.

Che su nénniri stringa un vero e proprio legame di sostegno reciproco che somigli al matrimonio odierno lo dimostra la sua rottura sulla porta della chiesa. Qualcosa di molto simile avviene nella celebrazione del rituale matrimonio. La madre della sposa, prima e dopo la celebrazione del matrimonio ecclesiastico, rompe un piatto pieno di fiori, grano (non germinato), monete, sale ed altro. Il gesto e gli elementi simboleggiano i buoni auspici rivolti alla giovane coppia. Il rito in questione è noto come Sa Ditia. Una Ditia speciale è celebrata in occasione della morte precoce di una giovane donna e/o uomo. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia.


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