Iside germanica

Sull’identità della Iside “navale” menzionata da Tacito nella «Germania» si è aperta una vera e propria querelle tra chi la considera un’importazione romana –– che avrebbe il suo riflesso nella pratica del “Navigium Isidis” — e chi, come Georges Dumézil, la ritiene connessa ad una originaria dea germanica, Freyja o Nerthus. Ma, al di là delle denominazioni, la categoria a cui la dea può essere ascritta è quella più ampia delle Grandi Dee del periodo arcaico, comprese anche Rea e Cibele.


di Federica Zigarelli

Della religione delle tribù germaniche non abbiamo molte notizie e le poche tramandateci confluiscono per lo più nella Germania di Tacito. Lo storico ricorda quattro divinità oggetto di culto presso i Germani: Mercurio, Ercole, Marte e Iside [1]. È evidente l’operazione di romanizzazione in virtù della quale Tacito traduce divinità autoctone con figure già note al pantheon romano [2]: in particolare l’assimilazione riguarda Mercurio-Odhinn, Ercole-Thorr e Marte-Tyr. Sulla divinità che Tacito identifica in Iside ci sono però molti più dubbi.

Secondo un filone di studi il culto di Iside sarebbe stato importato dagli stessi Romani [3] nei territori germanici a seguito dei contatti tra le due popolazioni (Tacito definisce il culto isiaco una ‹‹advecta religio››), mentre un altro – a cui si ascrive Georges Dumézil – sostiene che si tratti di una divinità femminile autoctona, dal momento che ‹‹per una dea della fecondità vista da un Romano, l’etichetta lunare non sarebbe più bizzarra che per tante dee madri o nutrici del mondo mediterraneo che la ricevono, a partire dalle orientali Iside e Semele››. Il primo ad accennare alla religione germanica fu Cesare, il quale ricorda come principali divinità il Sole, Vulcano e la Luna [4]; mentre ci sono maggiori incertezze sulla divinità solare, è plausibile la corrispondenza tra Vulcano e Thorr e ancora una volta si menziona una dea lunare: sembra insomma che i Romani abbiano testimoniato fin dall’inizio dei loro contatti con i Germani l’esistenza nella loro sfera religiosa di una divinità lunare, o meglio da essi connotata in questi termini. 

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È significativo il fatto che ci siano delle analogie tra Iside e la germanica Freyja. Innanzitutto entrambe sono ricordate come dee dai molti nomi: come Iside, ‹‹i cui attributi e i cui epiteti erano così numerosi che nei geroglifici viene chiamata ‘la dea dai molti nomi’, ‘la dea dai mille nomi’ [5] e nelle iscrizioni greche ‘la dea dalle miriadi di nomi’››, così anche ‹‹Freyja ha parecchi nomi, e la ragione sta nel fatto che lei stessa si fa chiamare in modi diversi quando viaggia presso genti sconosciute alla ricerca di Ódhr[6] Si chiama Mardöll e Hörn, Gefn e Sýr›› [7]. In quest’ultimo estratto si riscontra un’altra emblematica corrispondenza: come Iside nella religione egizia, anche Freyja in quella germanico-norrena è nota per aver percorso il mondo alla ricerca del marito perduto, Ódhr, il quale ‹‹compie lunghi viaggi e Freyia piange nell’attesa di lui e le sue lagrime son fulvo oro›› [8].

Il pianto sembra insito nel nome stesso di Iside, che deriverebbe dall’espressione onomatopeica Iš-Iš, ‹‹‘colei che piange’ perché si riteneva che la luna spargesse la rugiada e perché Iside piangeva Osiride ucciso da Set›› [9]. Ulteriore punto di convergenza tra le due dee potrebbe essere un animale ‘lunare’, il gatto. Di Freyja infatti si racconta anche che ‹‹quando viaggia ella guida il suo carro tirato da due gatti›› [10] e uno dei nomi attribuiti alla dea germanica, Sýr, è stato collegato per ragioni morfologiche a ‹‹‘dea Syria’ [11] con implicita allusione ai gatti della dea›› [12]: infatti ‹‹per la sua qualità di animale lascivo e ritenuto dotato di poteri magici, è sacro a Freyja, dea dell’amore e della magia […] Più che per la sua qualità lussuriosa, il gatto tuttavia è ricordato per le sue supposte doti magiche (dovute forse alle abitudini notturne e alla forza interiore, talvolta pericolosa, celata sotto un’apparenza sorniona)›› [13].

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È noto che in Egitto il gatto fosse un animale sacro, rappresentazione terrena della dea Bastet. Quest’ultima era considerata in origine figlia di Ra, quindi una dea solare, ma nel corso dell’evoluzione teologica venne in un secondo momento descritta come figlia di Iside. La trasformazione da dea solare a dea lunare [14] è provata anche dal fatto che nell’interpretatio graeca Bastet fosse associata ad Artemide, anzi sembra che in tempi più recenti si tendesse persino ad un’assimilazione iconografica tra Bastet e Iside.

Una peculiarità dell’Iside germanica è invece l’associazione tacitiana tra la dea e il simbolo della nave. Freyja non sembra essere solitamente connotata da questo tipo di raffigurazione né avere una particolare valenza marina, ma il padre Njördhr sì. Come i figli Freyr (dio della pace, della prosperità e della fertilità) e Freyja (dea dell’amore e del piacere), anche Njördhr è un dio germanico della Terza funzione, ma il suo ambito di pertinenza è nello specifico il mare in quanto dio della pesca e protettore dei naviganti. La figura divina associata alla nave è tuttavia femminile, una ‘Iside germanica’.

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Nella Germania è menzionato il culto di una dea nota come Nerthus, legata ad una cerimonia in cui appare un carro votivo – manifestazione della dea stessa – trainato da mucche e adornato di stoffe sacre. Esso veniva guidato dal sacerdote della divinità presso la popolazione, poi ricondotto nel santuario di Nerthus, situato presso un bosco sacro, in un luogo insulare non meglio precisato a Nord; infine il cocchio era immerso in un lago nascosto per un lavacro rituale. Quest’ultima operazione era affidata ad alcuni partecipanti del rito (servi della dea) destinati alla morte e inghiottiti dal lago stesso [15].

Si ritiene che esista un nesso tra Njördhr e Nerthus. Un’ipotesi – verso cui Dumézil e Chiesa Isnardi si mostrano propensi – identifica Njördhr e Nerthus nella medesima divinità. Tale idea non sembrerebbe infondata: in primis l’etimologia riconduce Njördhr alla radice proto-scandinava *Nerthu- [16] ‹‹in cui è inteso un concetto di forza vivificante e procreatrice›› [17]; entrambe sono divinità dell’acqua, che può assumere aspetti terrorifici e inghiottire gli uomini (che siano i servi uccisi in un lago nel corso di una cerimonia rituale o i marinai annegati nelle acque del mare nel corso delle navigazioni); entrambe le figure sono correlate alla fecondità e alla Terza funzione: Nerthus è definita da Tacito ‹‹Terra Mater›› e solo mentre la dea si trova presso gli uomini questi ultimi conoscerebbero la pace e la prosperità.

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Njördhr e Nerthus

La diversificazione del genere sessuale secondo Dumézil è insita nel folklore marino della Scandinavia: ‹‹la maggior parte delle storie che si raccontano riguardo a un genio del mare sono conosciute sia nelle varianti in cui tale genio è maschile sia in quelle dove è femminile›› [18]. Secondo un’altra prospettiva Njördhr e Nerthus costituirebbero la stessa divinità lato sensu, ovvero una coppia di sposi o di gemelli, ‹‹di cui Freyr e Freyja sarebbero in origine solo epiteti (lett. signore e signora)›› [19]. Dumézil effettivamente nota che nelle religioni indoeuropee un archetipo ricorrente associato alla Terza funzione è la coppia gemellare, spesso specificamente connessa alla navigazione [20].

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In ogni caso Nerthus appare chiaramente nella veste di Magna Mater, che può manifestarsi come dispensatrice di prosperità, di fecondità e di armonia, ma anche come portatrice di morte [21]: in cambio della sua benevolenza verso gli uomini ella pretenderebbe un sacrificio umano. Questo duplice – e apparentemente opposto – valore di vita e morte è insito non solo nella natura delle Grandi Madri, ma anche nell’elemento dell’acqua che Tacito associa a Nerthus: l’acqua richiama tanto la rigenerazione e la vita quanto l’incombere della morte.

In diversi popoli guardare il proprio riflesso in uno specchio d’acqua era sinonimo di sventura o addirittura morte imminente: il riflesso è l’esteriorizzazione della propria anima, la quale uscendo dal corpo diventa particolarmente vulnerabile; gli antichi ‹‹temevano che gli spiriti dell’acqua trascinassero sott’acqua il riflesso o l’anima della persona facendola in tal modo morire. È questa probabilmente l’origine della classica storia del bel Narciso che languì e morì per aver visto il suo riflesso nell’acqua›› [22].

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Freya nella caverna sotterranea dei nani

Nella tradizione manoscritta c’è tuttavia una significativa variante: alcuni codici hanno, in luogo di Nerthus, Herthum. In questo caso la sfera di competenza della dea rimanderebbe esplicitamente al mondo della terra (inglese Earth, tedesco Erde). Pur accettando questa lezione, la funzione primigenia della divinità non cambierebbe, anzi: la terra è l’elemento complementare dell’acqua e la figura della Grande Madre – a cui è assimilata Nerthus/Herthum – è venerata in quanto protettrice della natura in tutte le sue manifestazioni. Non a caso l’espressione Terra Mater sembra una variazione tacitiana di Magna Mater, sintagma notoriamente attribuito a Cibele e alle divinità femminili che hanno prerogative procreatrici. Secondo Chiesa Isnardi il culto di Nerthus testimonierebbe l’antichità nella religione germanica della venerazione per la Terra, intesa come madre feconda: la madre di Thorr e sposa di Odhinn è appunto Jörd, la ‹‹terra››.

Potrebbe suscitare perplessità il termine con cui è menzionata la nave dell’Iside germanica nell’iconografia tacitiana: ‹‹liburna››, una veloce nave da guerra che i Romani mutuarono dalla popolazione dei Liburni, stanziati nel territorio della Dalmazia; questo tipo di nave si diffuse nella marina romana a partire dalla seconda metà del I secolo a.C. e sembra che abbia avuto un ruolo decisivo per la vittoria di Augusto nella battaglia di Azio. Potrebbe sembrare strano che lo storico latino accenni specificamente ad una liburna, ma in età imperiale – a causa della diffusione di questa imbarcazione – il termine aveva perso il significato specifico che aveva in origine, assumendo una valenza molto più generale: probabilmente ‹‹liburna›› all’epoca di Tacito poteva indicare qualsiasi tipo di nave. Un termine invece emblematico sembra essere ‹‹vehiculum››, con cui Tacito definisce il carro di Nerthus. Tale sostantivo letteralmente allude ad un mezzo di trasporto di natura generica, ovvero potrebbe tradursi tanto con ‹‹carro››, quanto con ‹‹nave››.

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Carrus Navalis di Iside, affresco romano, Pompei

A questo proposito potrebbe essere pertinente il ‹‹carrus navalis›› del Navigium Isidis [23], una festa romana di origine orientale tenuta nel giorno della prima luna piena dopo l’equinozio. Si celebrava in questa circostanza il viaggio di Iside – nella veste di dea della navigazione – alla ricerca dello sposo Osiride, attraverso una processione mascherata [24] che seguiva una imbarcazione di legno – rappresentazione della dea stessa – trasportata dalle acque del Tevere o una vera e propria nave a ruote [25]. È stato dimostrato che [26]

‹‹la Chiesa, dopo il 391, quando il cattolicesimo venne ufficializzato da Teodosio come religione dell’Impero Romano, avesse diviso in due parti il contenuto della festa del Navigium Isidis, confluendo la resurrezione del corpo smembrato di Osiride [= Cristo] nella Pasqua, quindi dopo l’equinozio di primavera, e la processione del carro navale, con le maschere, nel Carnevale, spostato indietro di quaranta giorni››.

È possibile che le navi volute da Caligola e collocate nel lago di Nemi siano state realizzate in funzione di questa cerimonia rituale ed è interessante constatare che in questo luogo Diana fosse venerata proprio come una dea delle nascite e della fertilità.

La categoria a cui dunque sono ascritte Iside e Nerthus è il mondo delle Grandi Madri, dee Signore e garanti della fertilità, di frequente legate nelle iconografie all’abluzione sacra e al carro, di cui si servono per viaggiare tra gli uomini: si ricordi il sopracitato carro di Freyja trainato da due gatti, il carro di Rhea trainato da leoni [27] e soprattutto le numerose rappresentazioni di Cibele su un carro [28] (esplicativa la corrispondenza tra i versi virgiliani riferiti a Cibele ‹‹qualis Berecyntia mater invehitur curru Phrygias turrita per urbes›› [29] e l’espressione tacitiana riferita a Nerthus: ‹‹Terram matrem […] invehi populis arbitrantur››).

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Statuetta di bronzo raffigurante il carro di Cibele, epoca romana

Come per tutte le Grandi Madri anche la pratica cultuale in onore di Nerthus è contraddistinta dal carro, trainato non a caso da mucche; questo animale ‹‹è l’incarnazione del principio femminile nutritore, la madre primordiale che cibandosi dell’erba assume le forze vitali della terra e le trasforma in cibo. È perciò in un certo senso la terra stessa che alimenta i suoi figli›› [30]. Nel mondo antico tali iconografie si traducevano in cerimonie cultuali contraddistinte dal trasporto di un simulacro divino (spesso in legno – ξόανον trasportato su un carro), che poteva divenire successivamente oggetto di un rito di purificazione mediante un bagno sacro [31].

Nei territori scandinavi è attestata l’esistenza di pratiche che anticamente prevedevano navi e carri cultuali seguiti da vere e proprie processioni di fedeli: ci sono notizie di processioni rituali connesse a culti della vegetazione e per estensione al dio Freyr, ‹‹il carro con l’effigie del quale veniva portato in giro per il Paese per dispensare pace e fecondità›› (medesima circostanza tramandata da Tacito, con Nerthus al posto di Freyr); archeologicamente queste dinamiche rituali sono sostenute dal ritrovamento di carri di epoca preromana e incisioni rupestri di navi cultuali dell’età del bronzo:

‹‹il viaggio per mare sarebbe una sorta di processione, il transito nel mondo infero da cui si trae nuova forza vitale››.

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Bernardo Daddi, Carro di Cibele, circa 1530-1560

Sia il carro che la nave sono non solo manifestazioni della divinità sulla terra, ma hanno anche un forte valore funerario: ‹‹sono veicoli di un’anima che debba fare esperienza di un nuovo mondo›› e rappresentano metaforicamente il passaggio, l’attraversamento dalla vita alla morte; in questo senso è forse emblematico che la purificazione del carro di Nerthus portasse alla morte coloro che avessero partecipato al rito.

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Appaiono chiare le analogie tra Iside, Freyja e Nerthus (l’uso del carro, la ricerca dello sposo, la Terza funzione, la connotazione lunare), che avrebbero potuto contribuire a creare delle sovrapposizioni in Tacito: il forte sincretismo religioso di cui è pregna l’epoca romana rende molto difficile delineare perfettamente le dinamiche cultuali di queste dee. È possibile che la descrizione tacitiana dell’abluzione sacra del carro di Nerthus sia in parte influenzata dal Navigium Isidis e non è da escludere che l’Iside germanica sia una figura creata grazie a una compresenza di elementi romani (culto di Cibele, Navigium Isidis) ed elementi germanici (il carro di Freyja, l’esistenza locale di una Grande Madre della fertilità, forse da identificare in un’antica forma femminile di Njördhr), sovrapposizione dovuta probabilmente anche al rimpasto realizzato dallo storico latino.

Un ostacolo grave per l’indagine odierna è infatti la problematicità delle fonti a nostra disposizione: Nerthus è citata esclusivamente nella Germania, opera notoriamente tendenziosa nella misura in cui Tacito proietta modelli romani nella società germanica oppure si serve dell’espediente del contrasto, sottolineando il rovesciamento presso i Germani delle consuete norme romane. In questo senso sembra abbastanza sospetta la corrispondenza tra Diana Nemorensis e Nerthus: in entrambi i casi si ha un luogo costituito da un lago e un bosco consacrati a una dea della Terza funzione, in entrambi i riti spicca la figura di un sommo sacerdote [32] (il rex nemorensis da un lato e il sacerdote che conduce il carro di Nerthus dall’altro).

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Offerte votive a Diana Nemorensis, Lago di Nemi

Si potrebbe addirittura ipotizzare che il carro in legno di Nerthus corrisponda all’albero di Diana Nemorensis: entrambi personificano la dea e diventano lo strumento mediante il quale il sommo sacerdote riesce a stabilire un intimo legame con essa [33] (Tacito dice che solo il sacerdote di Nerthus avrebbe avuto il privilegio di toccare le bende sacre della dea); inoltre in ambedue i culti si distingue la figura del servo, che a Nemi è l’unico a poter recidere un ramo dell’albero sacro e a sfidare il sacerdote massimo, mentre presso i Germani spetta ai servi della dea purificare le sue vesti. Sia il culto di Diana Nemorensis che quello di Nerthus hanno come atto conclusivo la celebrazione di un sacrificio umano, dal momento che la dea richiederebbe un tributo di sangue in cambio del suo favore, un costume che ‹‹ha tutto il sapore di un’età barbara›› [34]. Alla luce di questi parallelismi non sarebbe forse infondato sostenere la possibile sovrapposizione tra le due divinità.

Inoltre non esiste alcun’altra fonte contemporanea o poco successiva a Tacito – soprattutto non romana – che possa confermare o smentire le notizie da lui tramandateci. Le informazioni tacitiane sul mondo dei Germani continentali sono state lette quindi in base alle fonti molto più ricche sulla religione norrena, che discende direttamente da quella germanica. Emerge tuttavia anche qui una difficoltà, in quanto i documenti relativi al mondo norreno sono recenziori e tardi: le principali opere sulla mitologia/religione norrena sono l’Edda poetica e l’Edda in prosa, il cui contenuto – pur rifacendosi alla cultura scandinava precristiana – fu redatto solo nel XIII secolo, quando il Cristianesimo si era ormai già affermato a Nord. È quindi probabile che anche le notizie sul mondo scandinavo siano state in parte manipolate e già influenzate dalla cultura latina o comunque da elementi estranei alla più antica religione germanica [35].

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Note:

[1] Tacito, Germania, IX.

[2] ‹‹L’importazione a Roma di culti stranieri è controbilanciata dallo spostamento dei culti romani verso i territori conquistati. […] A questo processo di “import/export” degli dèi non è estraneo il fenomeno che vede il sovrapporsi di divinità di origini differenti: dèi e dee romane danno il loro nome a divinità straniere. Questo fenomeno di “traduzione” viene chiamato interpretatio. Tacito (Germania XLIII, 4-5) è il primo autore che utilizza l’espressione interpretatio romana, nel tentativo di stabilire una corrispondenza tra una coppia di divinità dei Germani e le divinità greco-romane Castore e Polluce››, cfr. P. Borgeaud, F. Prescendi, D. Bonanno, G. Pironti, p. 32.

[3] Il culto di Iside era ampiamente diffuso a Roma all’inizio del I secolo d.C. se già Ovidio sostituisce in un aition mitologico Leto con Iside, evidentemente entrambe intese come dee della fertilità.

[4] De bello gallico VI 21, 2

[5] Frazer, Il ramo d’oro, p. 459.

[6] Personaggio di cui non è ricordato alcun culto, ciononostante la radice di Ódhr è chiaramente la stessa di Ódhinn ‹‹ed esprime un concetto di invasamento, eccitazione e furore divino››. Sembrerebbe plausibile una vicinanza, se non una vera e propria identificazione tra i due dèi, anche in virtù della corrispondenza delle loro spose, Freyja e Frigg, entrambe dee della fertilità: ma ‹‹sono due diversi aspetti di una medesima figura o piuttosto due incarnazioni successive di un’unica divinità?››, cfr. Chiesa Isnardi p. 286.

[7] Snorri, Edda in prosa, cap. 35.

[8] Ivi.

[9] Graves, La dea bianca, p. 387.

[10] Snorri, Edda in prosa, cap. 24.

[11] Atargatis, dea siriaca assimilata a Rhea e Cibele e nota per la natura orgiastica del suo culto.

[12] Snorri, Edda in prosa, commento Adelphi, p. 174

[13] ‹‹Esso ha perciò un particolare rapporto con le streghe e i maghi››, Chiesa Isnardi p. 572.

[14] Edward Topsell, Topsell’s Histories of Beasts: “Gli Egizi hanno osservato negli occhi di una gatta le varie fasi lunari perché con la sua luna piena splendono di più mentre la loro luminosità diminuisce con la luna calante”.

[15] Germania XL. Il lago era visto anticamente come luogo di contatto tra il mondo umano e quello soprannaturale degli spiriti, allo stesso modo il bosco sacro. Un dato registrato già da Tacito è il forte carattere naturalistico della religione germanica: gli dèi sarebbero stati venerati non in sedi artificiali come i templi, ma in luoghi naturali e sacri. Il bosco sembrerebbe inteso a volte non solo come dimora degli dèi e degli spiriti, ma proprio come entità sacra: ‹‹nelle leggi cristiane dell’Uppland svedese è espressa chiaramente la proibizione di credere nei boschi››, Chiesa Isnardi p. 483.

[16] Chiesa Isnardi collega etimologicamente tale radice ad altre lingue indoeuropee: irlandese antico nàer ‹‹forza››, all’indiano antico nàr-, armeno air, greco ἀνήρ ‹‹uomo››, latino neriosus ‹‹forte››. Dumézil invece nota che ‹‹gli Indoeuropei avevano una parola comune per denominare la ‘nave’ (sanscrito nauh, latino nauis), ed è proprio questa parola che si ritrova nel nome della dimora mitica di Njördhr, Noâtûn, ‘il Recinto delle Navi’››.

[17] Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 277.

[18] Si pensi alla differenza tra Poseidone e le Nereidi, figlie di Nereo, il cui nome potrebbe avere una affinità con Nerthus/Njördhr.

[19] Oniga, Tacito. Opera omnia.

[20] Nella religione germanica si distinguono Freyr e Freyja o Njordhr e Freyr, forse in origine intesi proprio come gemelli: ‹‹diverse indicazioni inducono a pensare che altri Germani e anche certi Scandinavi avessero conservato la formula gemellare››; ‹‹di Freyr è detto anche che possiede una nave magica, che egli può piegare e mettere in tasca e che va più veloce di ogni altra: Njordhr e Freyr sono strettamente uniti, hanno la medesima azione fecondante, lo stesso amore per la pace, e le formule li associano volentieri, indistintamente››. In quella greca i Dioscuri ‹‹che, nonostante differenze notevoli, conservano molte caratteristiche dei gemelli indoeuropei e sono i protettori dei marinai››, nella religione vedica i Nasatya ‹‹una coppia di dei gemelli appena distinguibili››, ‹‹una buona azione dei quali è l’aver salvato un uomo dal naufragio››.

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[21] In generale Nerthus/Herthum è collegata a figure femminili di prosperità, ma anche di morte: Frigg, sposa di Odhinn, la Dama Holla, ‹‹servita da un sacerdote cui spettava approntare il suo carro a vela, affinché potesse riapparire tra gli uomini per diffondere i suoi benefici››, la dea Holda ‹‹che si aggira per i paesi […] per distribuire benedizioni e maledizioni. È una divinità agraria, dea della terra, responsabile della fertilità del suolo. La processione che le rende omaggio è sempre seguita da un buon raccolto. Come Nerthus […] si bagna nei laghi. La dea benigna si sdoppia in una dea temibile. È una divinità della morte che rapisce le anime dei bambini››, cfr. Bulteau, Le figlie delle acque, pp. 106-107.

[22] Frazer, Il ramo d’oro.

[23] Da cui il nostro Carnevale, nonostante la tradizione cristiana abbia cercato di modificare l’etimologia in ‘carnem levare’ per deformare il significato della festa e trasformarla in una sorta di preparazione alla Quaresima.

[24] Apollodoro, Met. XI

[25] ‹‹E nelle città marittime o fluviali del mondo antico il carro, dopo esser stato custodito nel tempio della dea Iside durante l’inverno, veniva trasportato in mare, o sul fiume, per festeggiare la dea, appunto in quanto protettrice dei navigatori, ed inaugurare così la nuova stagione per la navigazione. Proprio come si fa ancora oggi, nelle città di mare o fluviali, con la Vergine Maria Stella Maris. E non a caso i più famosi Carnevali, con i loro “carri navali” allegorici, sono quelli che si festeggiano, o si festeggiavano, in città sul mare, come Viareggio, Venezia e Rio de Janeiro, o su grandi fiumi, come Colonia e Basilea sul Reno, e Roma sul Tevere››, cfr. Alinei, Carnevale: dal carro navale di Iside a Maria Stella Maris.

[26] Alinei. Il navigium Isidis ha lasciato ancora oggi tracce evidenti in feste nelle quali la dea di origine egizia è stata sostituita dalla Vergine Maria: ‹‹a Brindisi, nel sabato dedicato alla sua festa, la statua della Vergine Maria Stella Maris, dopo essere stata adorata nella nicchia del villaggio dei pescatori, dove tra addobbi, palloncini, bandiere e coperte preziose era stata riposta, viene prima accompagnata verso l’imbarcazione dagli sbandieratori di Oria, fra rulli di tamburi e trombe, e poi collocata su un’imbarcazione e portata in processione per mare. Moltissimi fedeli seguono poi la scia della barca con la statua a bordo delle proprie imbarcazioni, e per tutto il tragitto cantano e inneggiano la Stella del mare loro protettrice››.

[27] Nonn. Dyonis. IX 160-161.

[28] La simmetria tra carro e nave, già presente nel Navigium Isidis, potrebbe essere sottesa anche nel racconto che descrive l’arrivo del culto di Cibele presso i Romani: dopo la consultazione dei Libri Sibillini si decise di trasportare via mare una pietra sacra – rappresentazione della dea – dalla Frigia a Roma. ‹‹Attorno a questo viaggio storicamente avvenuto, fu elaborato un racconto. La nave che trasportava la “statua” giunta alla foce del Tevere, si arenò sul fondo. Tutti gli sforzi degli uomini per continuare il viaggio risultarono vani. Claudia, una giovane donna romana ingiustamente accusata di comportamenti libertini, chiese alla dea di accordarle un privilegio: se la dea avesse ritenuto infondate le accuse a suo carico, le avrebbe allora permesso di portare la nave fino a Roma. La dea acconsentì e la giovane donna portò la nave fino a Roma, trascinandola con una corda››. Successivamente la pietra sarebbe stata spostata su un carro trainato da buoi ornati di fiori e condotta con una processione fino alla sua nuova sede, il tempio della Vittoria sul Palatino: come il resoconto tacitiano riguardo Nerthus, anche questa storia rimanda a pratiche cultuali fondate sul trasporto di un simulacro divino mediante l’uso del carro/nave e su una processione.

[29] Verg. Aen. VI 783-784.

[30] Chiesa Isnardi, p. 566.

[31] Ad esempio in Beozia esisteva la festa panbeotica dei Daidala Megala in onore di Era, durante la quale simulacri in legno ‹‹vengono condotti sulle rive dell’Asopo, dove saranno presumibilmente lavati, e poi collocati su carri (ciascuno con una nympheutria accanto), che formeranno la pompe che deve condurli sulla cima del Citerone, dove si svolgerà il sacrificio conclusivo››, cfr. La Guardia. ‹‹Anche il simbolo di Cibele veniva portato processionalmente fino all’Almone su un carro tirato da iunctae boves (Ovid. Fasti IV, 346), per essere poi ‘lavato’ nelle acque del piccolo affluente del Tevere durante la festa detta lavatio, al 27 marzo, nella cornice calendariale dei rituali che preparavano i Megalesia, la festa della Magna Mater››, cfr. Germania, Rizzoli. Il lavacro è un elemento che spesso accompagna alla morte: si pensi ad Agamennone ucciso in una vasca da bagno da Clitemnestra (Graves, p. 364). Nella tradizione greca ad un certo punto i significati di ‘tomba’ e ‘vasca’ si confondono: δροίτη è usato nell’Orestea con il significato di ‘vasca da bagno’, ma dato che nel contesto eschileo la vasca rappresenta anche il luogo della morte di Agamennone, sembrerebbe che nella tradizione letteraria successiva il medesimo termine sia stato usato anche nell’accezione pura di ‘bara’ (Parth. Fr. 44 Martini). Si pensi anche a Osiride, persuaso da Seth a distendersi in una tomba-vasca e poi gettato nel Nilo. Il bagno quindi rimanda nelle pratiche iniziatiche ad una morte rituale, che demarcherebbe l’allontanamento da uno status originario.

[32] Tacito, Germania XL, 2: ‹‹Est in insula Oceani castum nemus, dicatumque in eo vehiculum, veste contectum; attingere uni sacerdoti concessum››.

[33] ‹‹Se l’albero sacro da cui dipendeva la sua vita era creduto, com’è probabile, una specie di personificazione di lei, il sacerdote può averlo non soltanto venerato come una dea, ma abbracciato come una moglie››, Frazer p. 17.

[34] Frazer, p. 11.

[35] Testimonianze più antiche e precristiane sono di natura archeologica, soprattutto iscrizioni runiche redatte in un alfabeto precedente all’importazione di quello latino; cfr. Chiesa Isnardi pp. 29, 677-685.


Bibliografia:

  • Tacito, La vita di Agricola e Germania, Rizzoli 2017
  • P. BorgeaudF. Prescendi, D. Bonanno, G. Pironti, Religioni antiche. Un’introduzione comparata, Carocci 2017
  • J. Frazer, Il ramo d’oro, Bollati Boringhieri 2012
  • G. Chiesa Isnardi, I miti nordici, Longanesi 2008
  • R. Graves, La dea bianca, Adelphi 2009
  • R. Oniga, Tacito. Opera omnia, Einaudi 2003
  • M. Alinei, Carnevale: dal carro navale di Iside a Maria Stella Maris
  • G. Dumézil, Gli dèi dei Germani, Adelphi 1974
  • F. La Guardia, Un aition per due feste, ‘Kernos. Revue internationale et pluridisciplinaire de religion grecque antique’ XXVII 2014

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