Terence McKenna e il “cibo degli dèi”

Esattamente 20 anni fa, il 3 aprile del 2000, Terence McKenna spiccava il volo verso l’Iperspazio: per l’occasione recensiamo il suo libro “Food of the Gods”, ripubblicato di recente nella traduzione italiana da Piano B edizioni, incentrato sul rapporto dell’umanità attraverso i millenni con le cosiddette «piante maestro», ma che si sofferma anche, criticamente, sul rapporto di dipendenza dell’uomo moderno con varie droghe, legali e illegali, tra cui McKenna annovera pure la televisione.


di Marco Maculotti

« L’oscurità confortevole e silenziosa è per lo sciamano l’ambiente migliore per avviarsi verso ciò che il mistico neoplatonico Plotino chiamò “il volo del solitario verso il Solitario”. »

— Terence McKenna, Il cibo degli dei, p. 319

Il nome di Terence McKenna non sarà nuovo ai nostri lettori: infatti ne abbiamo già parlato diffusamente qualche tempo fa, con un saggio incentrato sulla sua escatologia psichedelica in cui abbiamo tentato di dare un’immagine coerente della “visione del mondo” dell’autore che tenesse conto delle idee-chiave principali della sua opera — dal TimeWave Zero all’«ecologia delle anime», dalla stoned-ape al Revival Arcaico. A tal fine avevamo analizzato alcuni dei libri più noti di McKenna, da DMT a The Archaic Revival fino a Vere allucinazioni e il “trialogo” con Sheldrake e Fox La mente evolutiva.

A questi titoli va aggiunto Il cibo degli dei (Food of the Gods), fuori catalogo da anni, la cui recentissima ri-pubblicazione ad opera di Piano B edizioni, con una prefazione di Federico di Vita, non può che essere applaudita. In questo libro, uscito negli U.S.A. nel 1992, l’autore prosegue il discorso sulla storia dell’umanità e sul suo rapporto sacro con i “maestri vegetali”, vale a dire le piante enteogene, dal Paleolitico ai giorni nostri. Particolarità di questo scritto è che, oltre a indagare l’utilizzo sacrale di queste droghe nelle società tradizionali, McKenna in questa sede analizza anche il rapporto dell’uomo moderno con le sostanze stupefacenti, sia illegali (cocaina, eroina, oppio) che legali (zucchero, tè, caffè, cioccolato) per giungere a quella che a suo parere si configura come una droga sui generis dei nostri giorni… la televisione!

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Come abbiamo già ampiamente riportato nello studio precedente, la concezione mckenniana di «Altro trascendente» prende da storici delle religioni come Rudolf Otto (il Sacro come Mysterium tremendum e «Totalmente Altro») e Mircea Eliade, ma al tempo stesso riecheggia le tradizioni orientali e le visioni mistiche dei poeti più immaginifici. Nel Cibo degli dèi precisa [p. 79]:

« Da un lato l’Altro trascendente è la natura, correttamente percepita come vivente e intelligente; dall’altro è l’unione straordinariamente inconsueta di tutti i sensi con la memoria del passato e l’anticipazione del futuro. L’Altro trascendente è […] il crogiolo del Mistero del nostro essere, sia come specie che in quanto individui. L’Altro trascendente è la Natura privata dalla sua maschera rassicurante fatta di spazio, tempo e causalità ordinari. »

Com’è risaputo, McKenna iniziò la sua carriera come antropologo ed etnobotanico, ed ebbe le prime intuizioni studiando le tradizioni dei popoli indigeni della foresta amazzonica: fu proprio in quel periodo, agli inizi degli anni Settanta, in cui si rese conto che il mondo dello sciamanesimo «è di gran lunga più reale di quanto non possano mai essere i costrutti della scienza» e che «i popoli al di fuori della storia occidentale, gli uomini ancora immersi nell’era dei sogni del pre-alfabetismo, hanno tenuto accesa la fiamma di un mistero straordinario» [p. 43].

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Centrali furono per la sua formazione anche gli studi gnostici ed ermetici: come gli antichi alchimisti e seguaci dell’Ars ermetica anche McKenna riteneva che si possano operare, tenendo conto anche dell’esempio fornitoci dalle culture sciamaniche, modifiche in “questo mondo” agendo a livello sottile, tenendo conto di «simpatie, risonanze, intenzione e volontà personale».

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Nondimeno, nel corso della sua vita, gli furono d’ispirazione anche grandi poeti come William Blake, la cui concezione di «Immaginazione Divina» e la cui visione escatologica incentrata sull’anelito al ritorno alla Fonte Originaria riecheggiano a più riprese in questo libro come nella sua intera opera. Viene qui spontaneo andare con la mente agli studi di Benozzo e Alinei dedicati alla concezione primordiale di «sciamano-poeta-sognatore-cantore-guaritore», essendo tutti questi concetti derivanti da una medesima radice nelle culture dell’antica Eurasia (e probabilmente anche altrove). In questo Altro trascendente cui accede lo sciamano e il sognatore, identico al Mondo dell’Immaginazione blakiano [p. 35]:

« la causalità del mondo ordinario viene sostituita dal fondamento logico della magia naturale. Linguaggio, idee e significato esercitano in questo regno un potere maggiore delle leggi di causa ed effetto. Simpatie, risonanze, intenzioni e volontà personale sono amplificate linguisticamente tramite la retorica poetica. Viene invocata l’immaginazione, e talvolta se ne percepiscono visivamente le forme. »

Di contro, scrive Aldous Huxley citato da McKenna, «ciò che nel linguaggio religioso è chiamato “questo mondo”, è l’universo della consapevolezza ridotta, espressa, e per così dire pietrificata, dal linguaggio. I vari “altri mondi” con i quali gli esseri umani entrano in contatto occasionale e casuale, sono altrettanti elementi appartenenti alla totalità di quella consapevolezza che è il dominio dell’Intelletto in genere» [p. 89].

A parere di McKenna l’accesso periodico a questo mondo invisibile da lui denominato «Altro trascendente» o «Iperspazio» è sempre stato di primaria importanza nella storia dell’umanità, la nostra età oscura derivando proprio dal progressivo abbandono della sua esplorazione e quindi dalla perdita del senso dell’immaginazione creativa stessa [pp. 93 e 315]:

« Se l’ego non viene regolarmente e ripetutamente dissolto nell’iperspazio illimitato dell’Altro trascendente, si verificherà sempre una lenta separazione della coscienza di essere parte dell’insieme più grande che è la natura. La conseguenza ultima di questa separazione è il fatale tedio che oggi permea la civiltà occidentale. »

« L’interrotta simbiosi psicologica tra noi e le piante visionarie è la causa non riconosciuta dell’alienazione della modernità e della forma mentis culturale della civiltà planetaria. » 

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In Food of the Gods McKenna analizza la storia dell’umanità in 4 fasi-capitoli, che intitola rispettivamente “Paradiso”, “Paradiso perduto”, “Inferno” e “Paradiso riconquistato?”. Nel primo capitolo egli espone le proprie concezioni riguardo alla nascita della coscienza e all’utilizzo delle tecniche dell’estasi all’interno delle antiche culture sciamaniche del Paleolitico; nel secondo si analizzano le trasformazioni cultuali avvenute con il passaggio alle ère più recenti, dal Neolitico all’epoca classica, con menzioni al Soma vedico e al possibile utilizzo di funghi psicotropi ed oppio all’interno dei Misteri Eleusini (Demetra, d’altronde, era rappresentata con una spiga di grano in una mano e un papavero nell’altra) [p. 171]:

« I grandi culti del Mistero che coesistevano nel mondo greco antico del quarto secolo a.C. — che noi chiamiamo dionisiaco ed eleusino — furono gli ultimi, fragili avamposti occidentali di una tradizione che si rifaceva all’uso di piante psicoattive per sciogliere i confini personali e accedere alla gnosi, alla vera conoscenza della natura delle cose, a una tradizione antica migliaia di anni. »

Nel terzo capitolo si analizza il rapporto dell’uomo occidentale degli ultimi secoli (dalla scoperta dell’America in poi) con le sostanze stupefacenti, legali o illegali che siano. È da questa prospettiva che McKenna inquadra la cosiddetta «Guerra alla droga» del mondo occidentale che, analizzata in questa sede nelle sue contraddizioni e nei suoi scopi reali, si rivela essere uno specchietto per le allodole.

Più interessante è comprendere perché i governi e le agenzie governative consentano (e talvolta addirittura partecipino al-) la diffusione di droghe come la cocaina e l’eroina, demonizzando perlopiù le droghe vegetali ed enteogene e persino le applicazioni mediche e psichiatriche che di queste possono essere fatte; sta di fatto che, per fare un solo esempio, «una dose doppia di TV-terapia e cocaina fu prescritta agli hippy andati fuori strada, e questi, rapidamente guariti, si trasformarono in yuppie dediti al consumo» [p. 285].

McKenna peraltro osserva come la mente occidentale sia stata plasmata non solo dalla preferenza concessa a questo tipo di droghe illegali, ma anche dall’uso spasmodico, a partire dal XV secolo, dei quattro grandi stimolanti su cui si fonda il nostro stile di vita: zucchero, tè, caffè e cioccolato — a cui va aggiunto ovviamente anche il tabacco che, importato dall’America dove veniva adoperato ritualmente nelle cerimonie, subì una volta giunto nel Vecchio Mondo un processo immediato di descralizzazione. E tuttavia «le nostre assuefazioni nel corso delle epoche –», scrive, «dallo zucchero alla cocaina alla televisione — rappresentano la storia dell’irrequieta ricerca di ciò che è stato strappato dalle nostre mani nel paradiso» [p. 340].

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Si rende quindi, in prima battuta, necessario «ricostruire la nostra immagine di sé e del mondo», in quanto «non conoscere la propria vera identità significa essere resi folli — dei golem. E in verità», commenta il Nostro [pp. 340-1]:

« quest’immagine orwelliana e nauseante si potrebbe applicare alla gran massa degli esseri umani che oggi vivono nelle democrazie industriali ad alta tecnologia. La loro autenticità consiste nella capacità di aderire e obbedire ai cambiamenti di stile massificati veicolati e promossi dai media […] condannati a vite tossiche, affatto consapevoli […] sono come morti viventi, estraneati da tutto tranne che dall’atto di consumare. »

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Terence McKenna

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Dare qualche orientamento per invertire la rotta è l’obiettivo del quarto e ultimo capitolo del libro, intitolato “Paradiso riconquistato?”. In ultima analisi, e tenendo conto di quanto già detto, a parere di McKenna [p. 330]:

« Non c’è soluzione al “problema della droga”, né al problema della distruzione dell’ambiente, né a quello degli stock di armi nucleari fino a quando, e nella misura in cui, la nostra immagine di noi stessi come specie non sarà riconnessa alla Terra. […] Una volta compresa la centralità della simbiosi tra umani e piante mediata dagli allucinogeni nello scenario delle nostre origini, saremo in grado di comprendere il nostro attuale stato di nevrosi. »

La proposta di McKenna alla brutta piega che la storia dell’umanità ha preso è nota a tutti e contempla, prima di ogni altra cosa, un cambiamento interiore ed ontologico, che si concreta nel ricongiungimento con quella da lui definita «Mente Vegetale», vale a dire il Logos cosmico che permea ogni cosa e su cui ogni cosa è inanellata come le perle-mondi di Vishnu nel mito orientale. Detto in altre parole, una volta che ci siamo resi conto che «il tradimento nei confronti della relazione simbiotica con gli allucinogeni vegetali ci ha resi vittime di un rapporto sempre più nevrotico con il mondo che ci circonda e gli uni con gli altri» [p. 349], non ci resta che andare con la mente all’antichità, e comprendere che [p. 324]:

« È nel Rinascimento Arcaico che risiede la nostra possibilità di trascendere il dilemma storico. » 

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Heinrich Schlitt

8 commenti su “Terence McKenna e il “cibo degli dèi”

  1. Buongiorno, all’interno del testo vengono citati “gli studi di Benozzo e Alinei dedicati alla concezione primordiale di «sciamano-poeta-sognatore-cantore-guaritore»”. Avrei piacere di sapere a quale testo (o testi) dei due studiosi lo scrittore dell’articolo fa riferimento. Grazie, un caro saluto.

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