La psicosi nella visione sciamanica degli Algonchini: Il Windigo

di Marco Maculotti

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Le popolazioni aborigene del Canada, spesso stanziate nelle riserve limitrofe al confine con gli Stati Uniti, sono oggi divise in tribù che portano nomi diversi (Algonchini, Cree, Ojibwa), sebbene continuino perlopiù a condividere una visione molto simile dell’uomo e del suo rapporto con la natura e con gli spiriti – e, come è facile immaginare, una medesima mitologia. Nell’universo magico-sciamanico che fonda la visione di queste popolazioni – oggigiorno l’ultimo baluardo della sapienza che contraddistinse per secoli l’intera popolazione nativa dell’America settentrionale – gli spiriti con cui l’uomo può entrare in comunicazione sono chiamati generalmente manitu – lo stesso vocabolo che, con la maiuscola, identifica l’Essere divino universale, l’energia sacra che tutto permea.

Tuttavia, sebbene il rapporto dei nativi con i manitu con i quali entrano in contatto abbia connotazioni generalmente positive – si entra in contatto con essi per guarire i malati (in senso sia fisico che psichico, dal momento che queste popolazioni ritengono che non vi sia una vera differenza tra le due eventualità), per favorire la caccia o l’agricoltura e per ricevere consigli su come amministrare la giustizia – nondimeno è presente un particolare manitu nella mitologia Algochina (ma anche Cree, Ojibwa, etc) caratterizzato per la sua negatività: il Windigo (Wendigo, Wetiko, Weetiko et similia). Si ritiene che questi sia uno spirito maligno, unanimamente associato all’inverno e al gelo: ha grandi artigli, corpo scheletrico e denti aguzzi e sporgenti. È di grandi dimensioni e in molte mitologie di queste tribù è ricoperto da peli. E’ però connesso anche alla fame – che d’altronde nella psicologia collettiva di popolazioni tribali fondate sulla caccia appare cosa naturale – e al cannibalismo: si dice infatti che colui che venga posseduto dal Windigo manifesti, dopo aver perso il sonno e la fame vero ogni altra pietanza, il desiderio irrefrenabile di nutrirsi di carne umana.

Questi racconti, nell’universo degli Algonchini, non sono puramente mitologici ne tantomeno considerati assurdi: numerosi antropologi che hanno studiato le popolazioni di questa regione (Ruth Landes su tutti) hanno in effetti documentato, oltre alle credenze sul Windigo, numerosi casi in cui i nativi intervistati hanno raccontato di persone veramente possedute dallo spirito maligno. Questa sorta di psicosi demoniaca – paragonabile in Occidente con i miti sulla licantropia e sul vampirismo – impedisce all’individuo di espletare i normali compiti tribali e addirittura lo porta al punto di non poter neppure più vivere all’interno della società tribale stessa, al punto che spesso è lui stesso a chiedere di esserne estromesso o immolato.

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Ma il più delle volte è il consiglio degli Elders (anziani) a decretare la sua condanna, dopo averne riscontrato i più atroci delitti – tra i quali immancabilmente compare il cannibalismo, spesso verso persone molto vicine al soggetto, quali ad es. la figlia o la moglie. Landes sottolinea anche che è raro – sebbene non impossibile – che il Windigo prenda possesso dell’anima di una donna o di un bambino: tuttavia ci sono anche casi del genere documentati. Perlopiù comunque a diventare windigo sono gli uomini, e ciò si può facilmente spiegare col fatto che in tali popolazioni sono soprattutto questi ultimi a interagire con gli spiriti e a scegliere la via sciamanica. Tuttavia, non tutti i posseduti sono stati condannati a morte: per quanto possibile, si cerca di recuperarne l’anima, con riti sciamanici in cui si invoca l’aiuto di spiriti benevoli che possono restituire l’anima al soggetto posseduto dopo aver cacciato il Windigo. A volte essi danno consigli su come risolvere la questione – ci sono stati casi in cui al soggetto posseduto è stato detto di bere una pozione bollente: in seguito egli vomita un pezzo di ghiaccio la cui emissione coincide con l’abbandono dello spirito Windigo dall’anima del malcapitato.

E’ curioso notare come questi fatti si connettano in maniera assai precisa con la mitologia degli Algonchini, per i quali il Windigo “ha un cuore di ghiaccio” – e di conseguenza, anche le sue prede sviluppano dentro di sè il medesimo organo. D’altra parte, il termine “cuore di ghiaccio” rappresenta a meraviglia il senso della psicosi windigo – che, cannibalismo a parte, può essere letta come ciò che noi chiamiamo “depressione”: l’individuo colpito appare infatti assente alla vita del gruppo, apatico verso i bisogni e i sentimenti dei suoi fratelli, incapace di dormire e di nutrirsi regolarmente. La condizione psicologica “windigo”, dunque, è in primo luogo una malattia psichica che colpisce il soggetto e che, se non curata adeguatamente con canti, invocazioni e cerimonie propizie, sfocia nella psicosi e nel limite estremo addirittura nel cannibalismo: a questo punto non rimane altro da fare che sopprimere il soggetto, ormai completamente posseduto dal Windigo e quindi irrecuperabile.

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È meraviglioso constatare come in certe popolazioni si sia mantenuta una visione della vita che abbraccia il visibile come l’invisibile, il razionale come l’irrazionale: “windigo” si può si intendere come disturbo psichico, depressivo e psicotico, epperò sta anche ad indicare il soggetto che ne viene colpito, e nondimeno l’entità che causa tale disturbo. “Windigo” è dunque al tempo stesso sia il soggetto che l’oggetto – sia la causa, che l’effetto. I disturbi del soggetto possono facilmente – ai nostri occhi di occidentali disillusi – portare alla mente le nostre crisi depressive o schizofreniche, epperò nelle storie di questi popoli troviamo dei fatti che dimostrano come la questione non si possa affrontare solo su un livello puramente razionale (il cuore di ghiaccio di cui abbiamo parlato sopra). Pare piuttosto che la condizione psicologica del soggetto colpito sia più che altro il fertile terreno su cui il Windigo si può manifestare: per questo si cerca di ricondurre il malato alla socialità con delle cerimonie propizie. In queste si invocano come detto i manitu benefici, che se concedono il loro aiuto al soggetto ne causano istantaneamente la guarigione.

Notiamo dunque come il pensiero occidentale prettamente razionale non riesce a comprendere né tantomeno a spiegare la vera natura di questi fenomeni, limitandosi perlopiù a metterlo in connessione con il periodo invernale, il gelo e la fame sofferta da queste tribù per la mancanza di selvaggina: ciò porterebbe, secondo il loro punto di vita, a perdere a poco a poco il senno fino a giungere a cibarsi dei propri cari. Eppure nella casistica “windigo”, vi sono anche numerosi casi verificatisi in stagioni più miti, e altri in cui i soggetti colpiti godevano di cibo in abbondanza.

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Proprio per questo la nostra mentalità non riesce a spiegarsi correttamente il fenomeno – Depressione? Psicosi? Possessione? – più attenta alle categorizzazioni scientifiche che non al fenomeno preso interamente nel suo insieme. Nella visione del mondo degli Algonchini, invece, tutto questo è così semplice da potersi tradurre con una sola parola: Windigo – senza distinzione tra soggetto ed atto, ragione e mythos, uomo e demone, visibile ed invisibile, scientifico e soprannaturale.


Bibliografia:

  • Enrico Comba, Riti e misteri degli Indiani d’America (Utet, 2003)
  • Emanuela Monaco, Manitu e Windigo: visione e antropofagia tra gli Algonchini (Bulzoni, 1990)

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