La doppia spirale e il duplice movimento di emanazione e riassorbimento del cosmo

di Marco Maculotti
copertina: Phases of the Moon, tratto da “Ars Magna Lucis et Umbrae” di Athanasius Kircher, 1646

Nel primo saggio di questa rubrica sul tema del simbolismo della spirale e della «rinascita cosmica» [cfr. Il simbolismo della Spirale: la Via Lattea, la conchiglia, la “rinascita”] ci siamo soffermati sui significati esoterici del simbolo della spirale e di quelli, strettamente connessi, della Via Lattea e della conchiglia. Ci prefiggiamo in questo secondo appuntamento di analizzare il simbolo della doppia spirale da una prospettiva ancora più ‘cosmica’, con riguardo alle tradizioni che veicolano tale simbolo a concezioni riguardanti la creazione (o meglio, l’emanazione) del cosmo e il suo riassorbimento. Inizieremo il nostro discorso prendendo in esame la tradizione indiana brahminica e confrontandola con quella śivaista tantrica del Kashmir, per poi analizzarne i punti di contatto, in un’ottica di sincretismo religioso, con quella  lontana in termini di tempo e spazio  precolombiana dei popoli nahua-aztechi.

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La Trimurti hindu: Vishnu, Shiva e Brahmā.
Emanazione del cosmo e suo riassorbimento nel brahmanesimo

Vi sono innumerevoli passaggi delle Upanishad nei quali si espone il modo in cui l’universo emerse dalla non-esistenza e come infine verrà riassorbito. Un passo sentenzia con la massima chiarezza: «Brahmā il creatore, sedendo sul loto, apre i suoi occhi ed un mondo inizia a essere. Brahmā chiude i suoi occhi, ed un mondo cessa di essere».

Si confronti questa dottrina orientale con quella, a noi europei forse più familiare, enunciata da Platone nel Politico (269c ss.): la causa della regressione e delle catastrofi cosmiche sarebbe la conseguenza di un duplice movimento dell’universo, che il filosofo greco enuncia in questi termini:

« Talvolta la divinità guida l’insieme della sua risoluzione circolare, talvolta l’abbandona a se stesso, una volta che le rivoluzioni hanno raggiunto in durata la misura che spetta a questo universo; esso ricomincia allora a girare nel senso opposto, di suo proprio movimento… »

Scrive l’orientalista Alain Daniélou [Miti e dèi dell’India, p. 269] riguardo la creazione del cosmo nella concezione brahminica:

« La possibilità di una forma, di una realtà percettibile, dipende dall’esistenza di un luogo dove essa si può manifestare ed espandere, vale a dire di un ambiente orientato che nel nostro universo è lo spazio-tempo e che risulta da un coordinamento tra tendenze opposte, tra un principio centrifugo e un principio centripeto. Questo equilibrio tra concentrazione e dispersione, tra la tendenza verso l’esistenza e quella verso l’annichilimento, tra luce e oscurità, Vishnu e Shiva, si chiama Essere immenso (Brahmā). L’origine del mondo visibile non può quindi essere né Vishnu, né Shiva, né la concentrazione, né la dispersione; essa risulta dalla loro opposizione, dal loro equilibrio, che determina la terza tendenza, quella orbitante, denominata rajas. L’Essere immenso (Brahmā) simboleggia la possibilità di esistenza conseguente al coordinamento degli opposti. »

Questo «Essere immenso» (Brahmā), in qualità di “creatore personificato” e di causa efficiente del cosmo, scaturisce dalla polarizzazione dell’Immensità astratta e impersonale (brahman), a Lui antecedente. Il cosmo (nel senso di continuum spazio-temporale ma anche ellenicamente di «ordine») viene avviato da Brahmā “il Creatore” in quanto prima emanazione del brahman impersonale e dunque sorgente di ogni cosa, mentre le altre due potenze numinose della Trimurti — Vishnu “il Conservatore” e Shiva “il Distruttore” — si configurano rispettivamente come ‘garanti’ delle fasi di dispersione (emanazione – movimento centrifugo – «fuga dal centro» – guṇa sattva) e di concentrazione (riassorbimento – movimento centripeto –  «(ri-)avvicinamento al centro» – gua tamas) dell’Essere nel cosmo.

La gurajas si manifesta qui secondo Daniélou «sotto forma di un impulso orbitante, origine dello spazio e del tempo. Senza questo movimento che crea l’apparenza di divisione nel continuum spazio-temporale, il substrato rimane un’Immensità senza coordinate, senza limiti, senza luogo, senza durata, che non presenta alcuna possibilità per l’esistenza».

Si rammenti qui che i guṇa possono essere visti come quelle componenti che a causa del loro incessante combinarsi determinano le fasi e i dettagli dell’evoluzione cosmica. Così la Maitrī Upaniṣad (V, 2), utilizzando questi concetti, espone la creazione del cosmo:

« In verità, in principio, vi era, unica, questa oscurità (tamas). Essa era nel Supremo (Brahmā). Quella, indotta dal Supremo, si mosse verso la diversità (viṣama). Quella formatura, invero, è il rajas. Quel rajas, certamente, stimolato, si mosse verso la diversità. Questa, invero, è la forma-natura del sattva. »

I «giorni e le notti di Brahmā»:
duplice movimento del cosmo e dottrina dei cicli cosmici

Ritorniamo per un attimo all’antica Ellade. Nel De defectu oraculorum (§26, E-F), Plutarco scrisse testuali parole riguardo ai due movimenti del cosmo per come percepibili dalla nostra prospettiva terrestre: «la disgregazione disperde la materia trasportandola dal centro verso l’alto in un movimento circolare, mentre la condensazione, al contrario, la comprime verso il basso indirizzandola al centro» — e a seguire (§28, E) riporta la convinzione secondo cui «la sostanza è organizzata e tenuta insieme dai propri movimenti centripeti e centrifughi». Questo duplice movimento, da una parte di allontanamento dal centro e dall’altra di (ri-)avvicinamento ad esso, è pensato come un una duplice spirale. 

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Da un punto di vista tradizionale e ‘cosmico’, dunque, la doppia spirale è la rappresentazione di un principio dinamico che, a seconda di come lo si consideri, si «s-volge» oppure si «avvolge», in modo che il movimento si allontani dal centro (centrifugo) o se ne avvicini (centripeto). René Guénon afferma che essa rappresenta la manifestazione cosmica nel suo duplice aspetto di «sviluppo» (successione delle ère) e di «avvolgimento» che si verifica nel passaggio crepuscolare da un eone al successivo (pralaya, «Diluvio», ekpyrosis, «Apocalisse») e, in particolare, indicherebbe la continuità esistente tra i vari cicli cosmici, l’«espirazione» e l’«inspirazione» universali, che l’induismo brahminico definisce «i giorni e le notti di Brahmā».

La spirale discendente (movimento centrifugo – dispersione – emanazione del cosmo ad opera di Vishnu), da questo punto di vista, è una rappresentazione geometrica del tempo qualificato dalle dottrine cicliche. Si ricordi qui che Vishnu è il dio che, ‘discendendo’ periodicamente (di yuga in yuga) sotto forma di avatāra, si presenta come ‘garante’ del dharma, l’ordine cosmico della Creazione:

« Così ogni volta che l’ordine (Dharma) viene a mancare e il disordine avanza, io stesso produco me stesso, per proteggere i buoni e distruggere i malvagi, per ristabilire l’ordine, di èra in èra, io nasco. » (Bhagavadgītā IV, 7-8)

Da un punto di vista ancora più macrocosmico, passando dall’ordine di misura degli yuga a quello dei kalpa, la sapienza induista parla di «giorni e notti di Brahmā».  Così riassume l’orientalista Heinrich Zimmer nel suo studio Miti e simboli dell’India [p. 24]:

« Un giorno di Brahma inizia con la creazione o evoluzione, l’emanazione di un universo dalla sostanza divina, trascendente, non manifestata, e termina con la dissoluzione e il riassorbimento (pralaya), la fusione con l’Assoluto. Alla fine di un giorno di Brahma le sfere del mondo scompaiono, insieme a tutti gli esseri che vi sono contenuti, e durante la notte che segue sussistono unicamente come germe latente della necessità di manifestazione. »

Si deve notare a questo punto come, con l’avanzare dei cicli cosmici, si assista gradualmente allo sprofondamento della realtà manifestata nell’ambito della contingenza: il quadro complessivo che ne deriva è quello che Giuseppe Cognetti — nella sua monografia su Guénon [L’età oscura, pp. 141-142] — definisce:

« […] una vorticosa accelerazione della “danza di Śiva”, che opera la definitiva distruzione delle vecchie forme: siamo cioè di fronte ad un processo di “contrazione” della durata al cui limite è il punto d’arresto dove “la ruota cessa di girare” e accade l’istantaneo raddrizzamento che inaugurerà il tempo nuovo di un nuovo ciclo. »

A questo punto, come si è detto sopra, cessa l’espirazione di Brahmā e inizia l’inspirazione: termina la fase centripeta di dispersione (Vishnu) e inizia quella centrifuga di concentrazione (Shiva): tutte le forme precedentemente emanate vengono ora annientate e riassorbite, con un movimento a spirale opposto a quello che aveva costituito la prima fase di emanazioneLa manifestazione cosmica che ha preso forma durante il «giorno di Brahmā» viene ora riassorbita durante l’equivalente «notte». Visivamente questa inspirazione di Brahmā è rappresentata dal simbolo della spirale ascendente: è come se il filo di gomitolo precedentemente dipanato venisse ora riavvolto, per ritornare infine nel punto originario e centrale della spirale, da cui ricomincerà un nuovo «giorno di Brahmā».

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Il duplice movimento nella concezione Śivaista:
la «Danza di Śiva» e Śakti

Nella Scuola Śivaista tantrica del Kashmir troviamo le medesime credenze, con la differenza che anziché di «giorni e notti di Brahmā» si parla di Śiva come «Signore Supremo» e «Coscienza Assoluta», e della sua ‘Danza’ incessante per mezzo della quale Egli dà vita alla manifestazione cosmica, per poi riassorbirla interamente in Sé al termine del ciclo. L’energia della creazione cosmica (o spanda, «vibrazione»), la Potenza di Śiva, viene denominata Śakti ed è la controparte ‘femminile’ del Dio. Così Abhinava invoca Śiva:

« Il Signore Supremo manifesta liberamente il gioco molteplice delle emissioni e degli assorbimenti nel cielo della Sua propria natura. […] Quando la Tua natura si espande, Tu, io e l’intero universo veniamo in essere; quando è contratta, né Tu, né io, né l’universo [esistiamo]. L’universo si sveglia quando Tu ti svegli ed è distrutto quando Tu dormi. Così l’intero universo dell’essere e del non-essere è una cosa sola con Te. »

Dell’argomento propone una trattazione notevole Mark Dyczkowski nel suo libro La dottrina della vibrazione. Egli osserva [p. 119]:

« In questo modo, la coscienza si espande per assumere la forma dell’universo ritirandosi in se stessa. In altre parole, velando la Sua natura indivisa, Śiva si manifesta come il variegato gioco della molteplicità [Śakti, la sua “potenza” o spanda, “vibrazione”, ndr]. Al contrario, quando Śiva rivela la Sua propria natura e ritira il velo che contrae la coscienza, l’universo viene distrutto. »

In questa seconda fase [p. 139]:

« […] la contrazione di Śakti segna il ritirarsi dell’universo e l’espansione della coscienza trascendentale di Śiva. E, al contrario, la contrazione della coscienza di Śiva segna l’espansione di Śakti in quanto cosmo. »

Devesi puntualizzare come questa Scuola sapienziale consideri l’aspetto ‘maschile’ (Šiva) e quello ‘femminile’ (Śakti) del divino legati indissolubilmente da un rapporto di interdipendenza («L’assoluto è sia Śiva che Śakti e allo stesso tempo nessuno dei due»). Essi appaiono come forze cosmiche in ultima analisi inseparabili e insussistenti in mancanza della controparte, proprio come i due movimenti centrifughi e centripeti della doppia spirale. Così Dyczkowski spiega questo ‘mistero’ [p. 98]:

« La coscienza è il ventre fecondo dal quale tutte le cose sono nate e in cui infine si riuniscono per riposare in beatitudine. La Dea è quindi non solo la potenza della coscienza che genera il riflesso cosmico ma anche lo specchio in cui quello appare. […] Pertanto la Dea Spanda è [cit. Abhinava]: “[…] il potere di libertà del Signore [Śiva, ndr] che, seppure indiviso, mostra sullo schermo della sua natura [Śakti, ndr] tutti i cicli di creazione e distruzione. [Essa li riflette dentro di sé] in modo tale che, sebbene siano identici a Lei, ne appaiano distinti, come una città riflessa in uno specchio. […] Quindi l’Essere Supremo è sempre uno con il principio Spanda, e mai altrimenti”. »

Emanazione e riassorbimento a livello micro-cosmico

Ci si può anche spingere oltre. Si deve infatti sottolineare come, soprattutto nella Scuola Šivaista, le meditazioni su questo duplice movimento di emanazione e riassorbimento del macro-cosmo vengono estese, mediante il ‘gioco’ delle corrispondenze, anche al micro-cosmo. Dyczkowski afferma [p. 102] che «l’attività della mente è quella della coscienza stessa [Śiva, ndr] o, per essere più precisi, della sua consapevolezza riflessiva, il potere di Spanda [Śakti, ndr]». Con questa premessa, il passaggio dal livello macro-cosmico a quello micro-cosmico è più che comprensibile [p. 76]:

« La coscienza [Śiva, ndr] è essenzialmente attiva. Piena della vibrazione della sua stessa energia [Śakti, ndr] intenta nell’atto percettivo, manifesta se stessa esternamente in quanto proprio oggetto. Quando l’atto percettivo è terminato, la coscienza riassorbe l’oggetto e si rivolge su se stessa riprendendo la sua intima natura indifferenziata. »

Si può dunque notare come per gli induisti la manifestazione della coscienza segua il duplice movimento della spirale sia a livello macro-cosmico, ovvero nell’ambito dell’emanazione e riassorbimento del Cosmo, che a livello micro-cosmico, cioè con riguardo alla percezione di un oggetto da parte di un soggetto, ad es. umano. In altre parole, la coscienza cosmica governa tutto per mezzo di questo duplice movimento, centripeto e centrifugo, che si manifesta simbolicamente nella rappresentazione della doppia spirale.

La ‘danza’ del cosmo e il pralaya

Da parte sua, lo studioso anglo-cingalese Ananda K. Coomaraswamy definì la danza di Śiva «la manifestazione dell’energia ritmica primordiale» e mise il dio in relazione con l’Eros Protagonos di Luciano quando scriveva:

« Sembrerebbe che la danza sia nata al principio di tutte le cose e sia apparsa insieme a Eros, l’antico, infatti vediamo questa danza primordiale chiaramente esposta nella danza corale delle costellazioni, nei pianeti e nelle stelle fisse, nel loro intrecciarsi e avvicendarsi e nella loro armonia ordinata. »

Nel culto śivaista, continua Coomaraswamy, Brahmā è confinato totalmente al di fuori dal continuum spazio-temporale cosmico: in altre parole è in tutto e per tutto, per usare un lessico eliadiano, un deus otiosus. È invece Śiva, con la sua duplice danza di creazione e di distruzione, a emanare il mondo e infine a riassorbirlo in se stesso, concedendo «nuovo riposo» (il pralaya intercorrente fra la fine di un ciclo e l’inizio del successivo). In questo senso [La danza di Śiva, p. 123]:

« Nella notte di Brahmā la Natura è inerte e non può danzare finché non lo vuole Śiva: Egli si desta dalla Sua estasi e, danzando, invia attraverso la materia inerte onde pulsanti di un suono che provoca il risveglio; ed ecco che anche la materia danza prendendo la forma di un’aureola intorno a Lui. Danzando, Egli ne tiene vivi i molteplici fenomeni. Nella pienezza del tempo, sempre danzando, Egli distrugge con il fuoco tutte le forme e i nomi e concede nuovo riposo. »

«Questa — conclude Coomaraswamy — è poesia, ma anche scienza».

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Ometeotl, dio duale, ovvero Omecíhuatl e Ometecuhtli che fanno girare il “mulino cosmico”, dando vita a Ollin, movimento causato dall’opposizione di energie contrarie, centripete e centrifughe.
Tradizione nahua-azteca

Vale la pena confrontare queste dottrine indiane con la tradizione precolombiana, o per meglio dire dei popoli di etnia Nahuatl (Toltechi e Aztechi). In poche tradizioni come in quelle dell’antico Messico viene messa in risalto la duplicità del numinoso a ogni livello della manifestazione cosmica.

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Secondo le credenze degli Aztechi il dio supremo Ometeotl, residente nel 13esimo cielo, unico a contenere i semi di qualunque dualità e polarità esistente in potenzialità nel cosmo, si è separato in illo tempore (nel 12esimo cielo, Omeyocán, luogo della dualità originaria) in una parte femminile (Omecíhuatl) e in una maschile (Ometecuhtli). Gli attributi ‘maschili’ e ‘femminili’ si sono suddivisi poi continuamente, livello dopo livello, cielo dopo cielo, dal superiore all’inferiore, creando in questo modo una vasta gamma di dèi con caratteristiche funzionali sempre più definite e opposte [cfr. Una lettura cosmogonica del pantheon della tradizione mexica, in un’ottica di sincretismo religioso].

Consultiamo a questo scopo l’ottimo lavoro del prof. Federico González [I simboli precolombiani, p. 103] il quale, parlando di Ometeotl quale divinità duale residente nella “quinta direzione” (il centro), osserva come in questo punto «si concentra l’energia verticale che discende e ascende fra i due poli di un asse». Aggiunge inoltre che:

« […] ubicato in questo asse immobile, vi è anche Xiuhtecùhtli [conosciuto anche come Huehueteotl, «dio antico»] come dio del fuoco, nel senso che questo rappresenta l’energia centrale e costituisce il principio simbolico originale che — attraverso il suo sdoppiamento e le sue opposizioni interne — genera la ronda alternata degli elementi, la guerra costante delle vibrazioni e le formazioni cosmiche. Questo stesso dio è il patrono dell’anno o del secolo, quello che rappresenta il “fuoco nuovo”, e cioè la nascita del tempo che costantemente si rigenera a se stesso, sempre cangiante però inalterabile nella sua essenza. »

Questa realtà esoterica è descritta con profonda intuizione da Alfredo Lopez Austin [cit. p. 105] che, riferendosi al concetto di «asse del mondo» nella tradizione precolombiana, afferma:

« Questo asse fu concepito come l’opposizione di due bande elicoidali, in perpetuo movimento rotatorio, alla maniera di un grande Malinalli [N.d.C.: graficamente rappresentato mediante due spirali incrociate, una chiara (originata dalle forze celesti) e una scura (originata dalle forze sotterranee). Nel punto in cui le due spirali s’incontrano sarebbe situato l’ombelico del mondo], che univa cielo e ‘inframundo’ passando per l’ombelico della terra. »   

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Simboli di Ollin, il movimento cosmico causato dall’incrocio di energie opposte.

In questo senso Xiuhtecùhtli che, immobile al “centro” ma sottoposto all’influenza del duplice movimento cosmico (Ollin, «movimento», «incrocio di energie opposte»), «genera la ronda alternata degli elementi, la guerra costante delle vibrazioni e le formazioni cosmiche», ha le caratteristiche dello Śiva danzante nonché, nel simbolismo vedico, di Agni, il fuoco universale. González aggiunge che, nella tradizione precolombiana [p. 113]:

« Le divinità sono queste energie o attributi dell’unità indissolubile, del dio sconosciuto e invisibile che abita nel più alto dei cieli e che, immobile, inventa perpetuamente se stesso, manifestandosi attraverso emanazioni discendenti che, dopo aver percorso e conformato tutte le cose, ritornano ad ascendere a lui con il ritmo alternato e ciclico dell’energia universale. »

Su questo, induisti e antichi messicani si troverebbero perfettamente d’accordo. La dottrina sacra mesoamericana, d’altronde, presenta peculiari tratti in comune con quella indiana: per i Nàhuatl «nascere sulla terra equivale a scendere dalla dimora celeste originaria per vivere un’esistenza illusoria, il cui vero significato si realizzerà effettivamente, invertendosi, quando culminerà nuovamente in un’ascesa ai cieli, atti entrambi — quello della discesa e quello dell’ascesa — che si compiono attraverso lo stesso asse centrale».

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Questo Ollin [p. 106] «originerebbe la continua successione sulla terra dei giorni e delle notti». Si tratta dello stesso duplice movimento, centrifugo e centripeto, che si manifesta simbolicamente nella rappresentazione della doppia spirale e nella dottrina delle «espirazioni e inspirazioni di Brahmā» e che ha come fine ultimo quell’«uscita dalla storia» di eliadiana memoria, quella «fuga dal divenire» — divenire che gli induisti ritengono, in ultima analisi, illusione, Māyā.

In più, per concludere, si noti come la medesima terminologia induista («espirazioni e inspirazioni di Brahmā») sia conosciuta anche nell’esegesi della tradizione nahua-azteca. Gonzàlez [p. 104] infatti sottolinea come:

« […] tale energia duale, rinnovandosi continuamente, ha la capacità di generare il piano creazionale, mediante l’opporsi e il congiungersi della sua attività e della sua quiete, cioè grazie al ritmo alternato e duale dell’inspirazione e dell’espirazione universale, che si espande fino alle quattro direzioni del mondo […] configurandolo e segnandone i limiti. »

Da qui, le emanazioni divine che si convertono in coppie «simbolizzano e conformano il gioco dialettico del cosmo, le forze centripete e centrifughe e la loro costante realizzazione di stabilità e ordine, per mediazione del binario e della complementarietà degli opposti, che esso esemplifica».


Bibliografia:

  • Giuseppe Cognetti, L’età oscura. Attualità di René Guénon (Mimesis, Milano-Udine, 2014).
  • Ananda K. Coomaraswamy, La danza di Śiva (Adelphi, Milano, 2011).
  • Alain Daniélou, Miti e dèi dell’India. I  mille volti del pantheon induista (BUR, Milano, 2015).
  • Mark S.G. Dyczkowski, La dottrina della vibrazione nello Śivaismo tantrico del Kashmir (Adelphi, Milano, 2013).
  • Federico González, I simboli precolombiani. Mitologia – Cosmogonia – Teogonia (Mediterranee, Roma, 1993).
  • Platone, Politico.
  • Plutarco, Dialoghi delfici (Adeplhi, Milano, 2013).
  • Heinrich Zimmer, Miti e simboli dell’India (Adelphi, Milano, 2012).

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