Negli spacci esotici di Robert Louis Stevenson riguardanti i viaggi nellβOceano Pacifico del biennio 1888-89 emerge, grazie al suo occhio da antropologo, lβΒ«ossessione thanaticaΒ» delle popolazioni native dei Mari del Sud, nonchΓ© gli scampoli di una tradizione folklorica e mitica che, benchΓ© giΓ quasi del tutto annientata da coloni e missionari, dΓ lβimpressione di non poter essere mai del tutto eradicata.
di Marco Maculotti
copertina: Stevenson (seduto al centro) con la famiglia e alcuni amici a Upolu, Samoa

Una volta G.K. Chesterton osservΓ², a proposito di Robert L. Stevenson, come lβestrema Β«versatilitΓ e destrezza artisticaΒ» fu per lui una sorta di maledizione: Β«non perchΓ© riuscΓ¬ abbastanza bene nei generi piΓΉ diversi, ma perchΓ©, nei generi piΓΉ diversi, riuscΓ¬ troppo bene. Capace di realizzare il proverbiale miracolo dβessere in cinque posti ad un tempo, portΓ² gli altri a ritenere chβegli fosse cinque persone diverseΒ». Forse il solo Edgar Allan Poe, tra gli scrittori del XIX secolo, si applicΓ² con risultati tanto meritevoli ai progetti narrativi piΓΉ disparati, spaziando dal racconto giallo a quello grottesco, dalla letteratura dellβorrore a quella marinaresca.
E lo stesso Stevenson, noto ai piΓΉ per aver scritto Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (1886), si dedicΓ² con successo, fra le altre cose, alle narrazioni oceaniche, compiendo, sotto questo versante, anche piΓΉ dello stesso Poe: se questβultimo si era βlimitatoβ a dedicare alle distese marine alcuni dei suoi piΓΉ grandi capolavori letterari (oltre al romanzo Gordon Pym si devono ricordare i racconti Una discesa nel Maelstrom e Manoscritto trovato in una bottiglia), Stevenson si spinse oltre, consegnandoci i suoi spacci dei viaggi Nei Mari del Sud [ed. it., Tarka, Mulazzo (MS), 2015] del biennio 1888-’89, publicati postumi nel 1896, due anni dopo il suo trapasso. Si tratta di un testo ad oggi indispensabile per comprendere al meglio la psicologia collettiva e lβanima piΓΉ autentica e profonda di quei popoli indigeni dellβarea Pacifica che appaiono, allo sguardo del lettore contemporaneo, sempre piΓΉ lontani non solo cronologicamente e spazialmente ma anche ontologicamente da questo mondo moderno che avanza; un imperdibile concentrato di osservazioni da esploratore ed etnologo, senza tralasciare la possibilitΓ di trarre dei parallelismi tra un mondo che scompare (il loro) e un altro (il nostro) che giΓ agli occhi attenti di Stevenson, piΓΉ di un secolo fa, sembra inevitabilmente destinato, nel giro di pochi decenni, a seguirlo nel baratro della globalizzazione selvaggia.

Β«Una bambina come questa e poi la morte. Tutti i Tanaka muoiono. E allora piΓΉΒ» β Ici pas de Kanaques, confidava in francese a Stevenson una giovane donna delle Isole Marchesi, protendendo la sua bimba in direzione dellβinterlocutore con entrambe le mani.
Β«E in una prospettiva di secoliΒ», rivela lβautore, Β«io vidi la loro sorte simile alla nostra, la morte salire come la marea, e il giorno, di giΓ fissato, in cui non sarebbero piΓΉ esistiti nΓ© Britanni nΓ© altre razze nΓ© opere letterarie nΓ© lettoriΒ».
Se il pensiero ossessivo della morte e della decadenza fu centrale nella letteratura europea dellβOttocento (si pensi, oltre al giΓ menzionato Poe, al decadentismo francese, al Dorian Gray di Oscar Wilde, o ancora alla grande letteratura russa di Tolstoj e Dostoevskij), gli sperduti arcipelaghi dei Mari del Sud non facevano certo eccezione, pur avendoci lasciato le loro personale ossessione tanathica per mezzo delle testimonianze di antropologi ed esploratori, e non tramite epocali romanzi di formazione, perturbanti racconti dellβorrore o caleidoscopici componimenti poetici, come Γ¨ accaduto invece nelle nostre lande europee. Β«Il corallo cresce, la palma sβapre, lβuomo scompareΒ», dice il Marquesano.

Β«Il pensiero della morte Γ¨ dominante nella mente dei MarquesaniΒ», scrive Stevenson. Β«A vederla nessuna razza sembra piΓΉ vitale; e intanto la morte la falcia a piene maniΒ». Le razze e le culture morenti del Pacifico appaiono cosΓ¬ a Stevenson come avanguardia del mondo che verrΓ , per le popolazioni indigene dei piΓΉ recenti possedimenti dellβImpero Britannico cosΓ¬ come per noi stessi, popolo nativo europeo. CosΓ¬ lβautore, vagando da isola a isola, da arcipelago ad arcipelago, testimonia gli ultimi vagiti della cultura tradizionale dei Mari del Sud, passando con disinvoltura dalla descrizione degli apparati socio-politici tradizionali, che man mano con il passare degli anni si sfaldano sempre di piΓΉ a favore dellβinfluenza britannica, al collazionamento di leggende e credenze Β«superstizioseΒ», che parlano di demoni, spiriti irrisolti ed entitΓ misteriose dimoranti in dimensioni ignote che, secondo gli indigeni, in caso di mancato rispetto dei tabΓΉ e delle prescrizioni rituali, sarebbero in grado di accedere al nostro mondo, portando il caos e la disgrazia.
Ma la questione della morte e della decadenza della cultura nativa va ben oltre la mera considerazione della stessa come superstizione o ingenua credenza β aspetto, questo, che Stevenson, similmente a Rudyard Kipling con riguardo allβIndia e al Brasile, ebbe il merito di comprendere con lo sguardo dellβantropologo, prestandosi a riportare i racconti tradizionali riguardanti le piΓΉ disparate deitΓ e i fantasmi anche laddove questi siano stati raccontati da individui estremamente eccentrici, che fanno quasi venire in mente, per il modo in cui lβautore li descrive, i giullari delle corti regali dellβEuropa medievale. Come inquadrare, si chiede Stevenson, la tragica questione della disintegrazione quasi istantanea, in seguito allβarrivo dei coloni europei e dei missionari, delle tradizioni locali?
Β«Dove cβΓ¨ stato minor numero di cambiamenti importanti o non importanti, salutari o dannosi, ivi la razza sopravviveΒ», chiosa. Β«Dove ce ne sono stati molti [β¦], la razza perisce. Ogni cambiamento, anche se di poca importanza, aumenta la somma delle nuove condizioni alle quali la razza deve abituarsi. [β¦] Il cambiamento di abitudini Γ¨ piΓΉ sanguinoso di un bombardamentoΒ».

CiΓ² nondimeno, persino quando il sistema tradizionale sembra prossimo a implodere su se stesso, ormai in procinto di scomparire definitivamente dinanzi allβinderogabile avanzare del cosiddetto βprogressoβ, le antiche credenze piΓΉ o meno superstiziose non scompaiono del tutto: e, tra queste, quella che maggiormente occupa la mente dei popoli nativi dei Mari del Sud Γ¨, come detto, quella della morte, e quindi dei fantasmi e delle entitΓ spiritiche che a questa riescono in qualche modo a sopravvivere, portando il terrore tra i loro discendenti clanici. Se infatti le mummie dei bambini morti prematuramente vengono conservate allβinterno delle case stesse dove avevano trascorso la breve esistenza, Β«conservate gelosamente e portate da atollo ad atollo nelle peregrinazioni della famigliaΒ», i cadaveri delle persone adulte passate da poco a miglior vita devono essere vegliati per notti e notti al fine di evitare che nottetempo ritornino a cibarsi dellβanima di quelli che sono a loro sopravvissuti; credenza, questa, che trova il suo corrispettivo nella tradizione europea nella figura del vampiro. Β«Una razza cannibale puΓ² avere dei fantasmi cannibaliΒ», scrive Stevenson nel suo diario di viaggio.
Infatti, nonostante la conversione superficiale di questi gruppi etnici al cristianesimo portato dai missionari europei, Β«su tutta la distesa dei Mari del Sud non cβΓ¨ nessuno che possa biasimare il vicino. Meticci e purosangue, cristiani e miscredenti, intelligenti e stupidi, tutti credono negli spiriti, tutti combinano con il loro recente Cristianesimo la paura delle vecchie divinitΓ isolaneΒ». Gli spiriti appaiono soprattutto, similmente ai fairies della tradizione europea, nelle zone boschive delle varie isole, e in particolar modo laddove si trovano i resti megalitici degli antichi templi sacrificali o delle pietre tombali dei clan, le marae e i paepae, luoghi tabΓΉ per i vivi, che se ne tengono avvedutamente a debita distanza, in quanto tali luoghi Β«sono divenuti gli avamposti del regno dei mortiΒ». In altri tempi presso questi alti-luoghi si svolgevano le cerimonie sacre e i sacerdoti indigeni, in determinate notti prestabilite dal calendario rituale, avevano il diritto di dormirvi; ma ad oggi essi sono abbandonati, e la vegetazione tropicale cresce copiosa sulla loro superficie rocciosa, che un tempo veniva mantenuta lucida con applicazioni periodiche dβolio.

Gli spiriti dei morti, che talvolta si confondono similmente a quanto accade nella tradizione delle isole britanniche con le entitΓ feriche, si mostrano spesso e volentieri ai viventi, sia in forma umana che zoomorfa, e persino in altre forme piΓΉ bizzarre: come ad esempio Β«una forma luminosa, la testa rotonda e verdastra, il corpo lungo, rosso, con nel mezzo un fuoco piΓΉ brillanteΒ», simile a una meteora sovrannaturale o al Will-oβ-the-Wisp della tradizione inglese. Quando compaiono nelle loro fattezze umane, gli spiriti evitano di voltarsi, mantenendosi sempre di spalle, di modo che i viventi non si possano accorgere del principio di decomposizione che solca i loro volti e affligge le loro membra. Il piΓΉ delle volte essi si manifestano con un suono sibilante, una sorta di Β«fischio aureoΒ»; particolare, anche questo, che trova il suo corrispettivo fedele nella tradizione scoro-irlandese e nella letteratura fantastica ad essa ispirata, come per esempio nei racconti del gallese Arthur Machen, che di Stevenson fu tra lβaltro, come ammise egli stesso, un grande ammiratore.
Altri spiriti della tradizione isolana, tuttavia, si distinguono sensibilmente dalle anime dei morti, con le quali non si possono confondere: Γ¨ il caso, per esempio, di Mahinui, deitΓ oceanica delle popolazioni native di Samoa che si configura Β«come un Proteo, dotato di trasformazioni illimitateΒ», e che si riteneva capace di trasportare i sacerdoti indigeni Β«da isola a isola attraverso lβarcipelagoΒ», con una sorta di volo magico. Altre divinitΓ acquatiche ricordano invece da molto vicino le varie Ninfe, Ondine, Nereidi e Silkies e Nixies della tradizione occidentale: donne bellissime che dimorano Β«nei vari stagni salmastri e nelle goreΒ», Β«con lunghi capelli rossiΒ», che appaiono di tanto in tanto intente a farsi il bagno; ma, timidissime, Β«al minimo rumore di passi sul corallo si rituffano di nuovo per sempreΒ». Egualmente ai fairies della tradizione britannica esse Β«sono conosciute come un popolo vivente [β¦] che abita un regno sotterraneoΒ». Simili al popolo nascosto delle leggende europee sono anche i Vahinehae, Β«spiriti affamati dei morti, che [β¦] stanno nascosti ovunque, invisibili [e] vanno a danzare, la notte, attorno al paepae della loro vecchia famigliaΒ».

Nondimeno, a fine Ottocento lβossessione delle popolazioni native delle isole del Pacifico per la morte non interessava solo il folklore e le credenze mitiche, ma diede vita anche, similmente a quanto accaduto nelle Americhe, a veri e propri culti millenaristici, come la Ghost Dance nordamericana e le escatologie sudamericane della Β«Terra-Senza-MaleΒ». Γ il caso della confraternita tahitiana di Oro, divinitΓ che Stevenson associΓ² in unβottica comparatistica Β«al Bacco degli antichiΒ». I suoi seguaci Β«navigavano di baia in baia e dβisola in isolaΒ», venendo Β«ovunque ricevuti con festiniΒ», Β«cantavano, danzavano, davano rappresentazioni e spettacoli di destrezza e di forza, ed erano gli artisti, gli acrobati, i poeti ed i lenoni dellβarcipelago. La loro vita era pubblica ed epicurea, la loro iniziazione un misteroΒ».
E tuttavia, a dispetto di questa attitudine estremamente vitale, se non altro agli occhi dei profani, la loro setta prevedeva lβuccisione di tutti i figli che fossero concepiti allβinterno della confraternita, con lβunica eccezione di uno dei figli della coppia chiamata per diritto di successione ad assumerne il comando, per garantire il proseguimento del culto:
Β«Una libera massoneria, una setta di agnosticiΒ», commenta Stevenson, Β«una compagnia di artisti di cui tutti i membri erano sotto il giuramento di non mantenersi casti e tutti con lβinterdizione di lasciare una discendenza [β¦]. La fame minacciava le isole ed il rimedio che faceva orrore veniva proposto allβanima indigena sotto quelle apparenze di mistero, di piacere e di parataΒ».


2 commenti su “Robert Louis Stevenson “nei Mari del Sud””