Il 3 marzo del 1863 nacque Arthur Machen, uno dei piΓΉ grandi scrittori della letteratura del Fantastico della sua epoca nonchΓ©, insieme a W.B. Yeats, uno dei piΓΉ importanti alfieri del cosiddetto Β«Celtic RevivalΒ». Dopo aver giΓ recensito sulle nostre pagine la sua opera prima, Β«The Great God PanΒ», ci occupiamo adesso del suo terzo romanzo, Β«The Hill of DreamsΒ» (1907), forse il suo capolavoro massimo in virtΓΉ dellβunione indissolubile, qui come non mai, tra i due aspetti dicotomici del Sacro nella tradizione gaelica: quello terrifico e quello estatico.
di Marco Maculotti
Tra le operazioni editoriali degli ultimi anni, per noi che seguiamo con interesse la letteratura del Fantastico tra Ottocento e Novecento con particolare interesse per i suoi rimandi al Mito e al folklore delle Γ¨re passate, vi Γ¨ sicuramente da registrare cum gaudio magno la riscoperta di Arthur Machen, autore gallese da annoverarsi senza timore di smentita tra i piΓΉ significativi della sua epoca, forse al pari dei soli H.P. Lovecraft e Montague Rhodes James e, per quanto riguarda il recupero della tradizione celtica, dellβirlandese William Butler Yeats.
GiΓ in passato abbiamo recensito il primo nonchΓ© piΓΉ celebre romanzo di Machen (Il Grande Dio Pan, recentemente ripubblicato da Tre Editori); in questa sede, invece, vogliamo parlare di The Hill of Dreams, originariamente scritto nel 1897 e pubblicato soltanto dieci anni dopo, che ritorna nelle nostre librerie dopo trentβanni grazie allβammirevole lavoro dei tipi de Il PalindromoΒ (collana βI tre sedili desertiβ), con una prefazione di Gianfranco de Turris (βSvelare la realtΓ β) e un appendice di Claudio De Nardi (βIl fascino dellβabissoβ), autore anche della traduzione (la stessa di quella che fu prima edizione italiana, per Reverdito Editore nel 1988).
La stesura di questo terzo romanzoΒ (il secondo fu The Three Impostors, che uscΓ¬ nel 1895)Β segnΓ² per Machen un cambio di rotta rispetto alla precedente produzione. Lβautore stesso scrisse nellβintroduzione alla prima edizione americana [1]:
Β« Stavo per ricominciare da capo, per voltare pagina, sia nelle tematiche che nello stile. Basta con le polveri bianche, con il calix principis inferorum, con i perfidi imbrogli del grande dio Pan e le malignitΓ del Piccolo Popolo o di qualsiasi altra creatura del genere, e soprattutto β questa era la parte piΓΉ difficile β basta con le cadenze misurate e rifinite di Stevenson, di cui ero diventato esperto con gran facilitΓ . Β»
Anche se in fin dei conti, come avremo modo di vedere, il cambio di rotta di Machen sarΓ solo parzialmente effettivo β in quanto anche nella Collina dei sogni il protagonista entrerΓ in qualche modo in contatto con lβAltro Mondo connesso nel folklore celtico al Β«regno delle fateΒ» β, devesi comunque sottolineare una maggiore indagine psichica degli anfratti inconsci del protagonista, Lucian Taylor, ravvisabile in tutto e per tutto come uno degli alter ego piΓΉ riusciti del romanziere gallese stesso. Lo scopo principale di Machen diventa qui quello di Β«scrivere una sorta di Robinson Crusoe dellβanimaΒ» [2]:
Β« Avrei sviluppato il tema della solitudine, dellβisolamento, del distacco dallβumanitΓ ma, anzichΓ© su unβisola deserta, il mio eroe avrebbe vissuto la propria clausura nel cuore di Londra, tra folle di migliaia di individui. Sarebbe stata una solitudine dello spirito, poichΓ© lβoceano che lo circondava, estraniandolo dai propri simili, corrispondeva a un vuoto spirituale. Era una condizione che conoscevo piuttosto bene, avendola sperimentata di persona. Per due anni avevo patito le angosce della solitudine nella mia piccola stanza in Clarendon Road, nei pressi di Notting Hill Gate, quindi sapevo come trattare lβargomento. Β»

Nelle pagine del romanzo si possono dunque intravedere le difficoltΓ e privazioni che segnarono quegli anni di vita di Machen, dalla realizzazione del divario insormontabile esistente tra vita reale e vita ideale β un leitmotiv nellβopera macheniana β alle insidie insite nella stesura del libro: infatti, benchΓ© Β«ebbro di sentimenti e fantasie arcane, desidera[sse] con ardore tradurre ogni emozione in parole scritteΒ», Lucian/Machen si rende conto che Β«[i]l grande mistero del linguaggio, la magia della parola, continuavano a sfuggirgli: le stelle brillano soltanto nellβoscuritΓ della notte e il loro splendore si dilegua alla luce del giornoΒ» [3].
Il narratore percepisce Β«lβesistenza di cose nascoste e spaventose, fuori e dentro di luiΒ», al punto che Β«il paesaggio del cuore si rifletteva nel mondo circostante e viceversaΒ»: Β«le selvagge colline a cupola e i boschi che si profilavano minacciosi nel buio gli sembravano simboli di qualche tremendo segreto nascosto nelle fibre piΓΉ recondite di quellβestraneo chβera diventato ai suoi stessi occhiΒ» [4]. Come nella migliore tradizione folk-horror britannica, il territorio si trasmuta in un Β«paesaggio che frantuma in modo netto lβego del protagonista [β¦] attraverso il contatto con lβAntico cosΓ¬ come con il surreale e il sovrannaturaleΒ» [5].
Γ evidente, qui come in tutto il romanzo, lβinfluenza esercitata su Machen dal decadentismo francese, da Huysmans a Baudelaire, secondo cui la Natura Γ¨ da vedersi come un Β«tempio viventeΒ», una Β«foresta di simboliΒ» che solo il poeta, grazie alla sua sensibilitΓ e veggenza, puΓ² decifrare [6]; tema, questo, peraltro caro anche al contemporaneo William Butler Yeats [7].

Nonostante Machen si fosse auto-imposto di lasciare da parte Β«i perfidi imbrogli del grande dio Pan e le malignitΓ del Piccolo PopoloΒ», Γ¨ possibile trovare disseminati nella Collina dei sogni indizi riguardanti lβesistenza di queste entitΓ sottili nel mondo onirico cui Lucian, fin dalla tenera etΓ , riesce ad accedere, a partire dalla visione infantile che, esposta nel primo capitolo del romanzo, costituirΓ per il protagonista una sorta di iniziazione allβAltro Mondo.
I passi di Lucian nel mondo di tutti i giorni, infatti, sembrano in qualche modo guidati da intelligenze occulte che decretano la sua appartenenza ad una dimensione altra, un mondo incantato che equivale alla dimora dei Fair Ones nel folklore gaelico [8]. Il disvelamento di questβaltra realtΓ ulteriore, nascosta dietro il Β«mondo di superficieΒ», Γ¨ caratterizzato al tempo stesso da un sentimento di esaltazione e di terrore: il mondo degli dΓ¨i, degli spiriti e dei Fairies in questo senso minaccia costantemente lβesistenza ordinaria e la psiche di Lucian, al punto che questi a un certo punto [9]:
Β« [β¦] sentΓ¬ che la follia avrebbe potuto sopraffarlo da un momento allβaltro [β¦]. La vita, il mondo e il dominio della luce si erano dissolti, il regno dei morti risorgeva e trionfava. Il sangue celtico che gli scorreva nelle vene rispose al richiamo dei boschi, e il Piccolo Popolo, suo lontano antenato, uscΓ¬ da caverne e anfratti nascosti, sibilando arcani incantesimi in un linguaggio inumano; era assediato da pulsioni a lungo sopite, desideri insiti nel patrimonio della sua razza. Β»

Durante questi momenti di consapevolezza allargata, Lucian realizza che la sua esistenza terrena Γ¨ da sempre stata legata allβaltra parte, quella invisibile a cui nella tradizione gaelica solo i file [10] in possesso della cosiddetta Β«seconda vistaΒ» possono accedere: cosΓ¬ che la stessa vita agli occhi del protagonista sembra Β«appartenere a unβinfausta leggenda, narrata in un geroglifico fataleΒ» [11]. Il divario tra mondo visibile e mondo invisibile diventa, con il passare dei capitoli, sempre piΓΉ insostenibile per Lucian, che vede nella stesura del romanzo che sta redigendo una sorta di compito divino a cui deve fare fronte.
La Β«tediosa modernitΓ Β» del mondo quotidiano diventa cosΓ¬ ai suoi occhi Β«una realtΓ lontanaΒ» [12], e anche se Β«le persone che lo vedevano passare pensavano fosse impazzitoΒ», Lucian si rende conto che Β«la meschinitΓ della gente comune non aveva piΓΉ potere su di luiΒ» [13]. Inorridito dallβariditΓ del mondo moderno, Lucian tramite le sue passeggiate e la stesura del romanzo intende ricreare un mondo ideale, da lui denominato Β«il giardino di AvallauniusΒ», una sorta di locus amoenus da lui sperimentato per la prima volta durante la fugace visione infantile, che assurge dunque a dimensione onirica e superiore a cui accedere per poter sopportare le privazioni e le delusioni del cosiddetto Β«mondo realeΒ».
Le impalcature che reggono la struttura del reale improvvisamente crollano, rivelando un livello sottostante di cui prima non si conosceva lβesistenza: lβAltro Mondo diventa cosΓ¬ lβunica vera realtΓ , mentre il mondo cosiddetto reale degenera in mera rappresentazione teatrale, messa in scena e tenuta insensatamente in piedi da una massa di burattini privi di una visione profonda del reale β tema, questo, che fu caro anche a E.T.A. Hoffmann, i cui romanzi Β«labirinticiΒ» (come Gli elisir del diavolo e I fedeli di San Serapione) hanno con tutta probabilitΓ ispirato la stesura del grande capolavoro Β«circolare» macheniano, The Three Impostors.

Si deve qui sottolineare una forte critica di Machen alla piega presa dal mondo in seguito allβavvento dellβIlluminismo, del razionalismo e dello scientismo β dβaltronde il gallese visse in prima persona lβavvento, nella societΓ vittoriana, della rivoluzione industriale [14]:
Β« LβumanitΓ spendeva le proprie energie in cose inutili; la creativitΓ dellβuomo contemporaneo si era estrinsecata in sciocchezze come locomotive a vapore, cavi elettrici, ponti a sbalzo e altri congegni che permettevano a individui insignificanti di raggiungere i loro simili. Il sapere degli antichi veniva irriso perchΓ© le persone del suo tempo non erano piΓΉ in grado di leggere il significato riposto dei simboli; si fermavano alla loro apparenza. E allora, allo stesso modo di chi banchetta solo per soddisfare una stolta ingordigia, prendendo emetici per continuare a mangiare, lβuomo moderno produceva invenzioni come il telefono o le caldaie ad alta pressione, nella frenesia di una continua innovazione. Piuttosto che coltivare il piacere di vivere degli antichi, si preferiva impegnarsi in futilitΓ come lo studio dei metodi per stampare decorazioni colorate. βSoltanto nel giardino di Avallaunius Γ¨ possibile scoprire la vera e sublime scienzaβ disse Lucian tra sΓ©. Β»
Di contro, secondo Machen/Lucian Β«lβuomo, soltanto che lo volesse, pot[rebbe] diventare signore e padrone delle proprie percezioni e questo, ne era certo, rappresentava uno degli insegnamenti piΓΉ veri celati nellβaffascinante simbolismo alchemicoΒ» [15], che Machen stesso studiΓ² in prima persona, in primo luogo lavorando per anni in una libreria dellβocculto londinese e poi partecipando attivamente alle riunioni della Golden Dawn.

Lβaccesso sempre piΓΉ costante a questa dimensione altra segna per Lucian un vero e proprio cambio di paradigma: Β«[d]opo essere entrato nel giardino di Avallaunius [β¦] comprese che la sua esistenza, prima di quellβesperienza, era stata come un quadro incantevole avvolto da lerci e squallidi stracciΒ». Il mondo reale, come per lβeffetto di unβinversione magica, diventa cosΓ¬ meno reale di quello immaginale che sta al di sotto di esso, e che solo gli eletti sono in grado di vedere: Β«il mondo materiale era per certuni un velo sottile steso sullβuniverso invisibile [β¦] simile alle dimensioni effimere del sogno in cui si perdevano, a volte, i bambiniΒ» [16].
Come in ogni romanzo iniziatico che si rispetti, anche nella Collina dei sogni il protagonista viene elevato a un mondo piΓΉ perfetto dallβincontro con una figura femminile, simile allβAmata dei Trovatori e alla Valchiria/Fylgja dei miti nordici. Lucian riconoscerΓ il Β«doppio terrestreΒ» di questa figura iniziatrice in Annie, suo amore giovanile, che si concederΓ a lui una sola indimenticabile volta: tanto basta per elevarla a simbolo di unβesistenza piΓΉ sottile ed ontologicamente superiore, e infatti Γ¨ proprio in onore di Annie che Lucian ricreerΓ allβinterno della sua psiche il giardino di Avallaunius [17]:
Β« La cara e dolce Annie lo aveva salvato dagli insondabili abissi della follia. Aveva agito nel modo migliore senza lβintenzione specifica di aiutarlo, ma semplicemente per assecondare le proprie passioni; cosΓ¬ gli aveva consegnato quel segreto inestimabile. Lui, da parte sua, aveva invertito questo processo; facendo di sΓ© unβofferta splendida nel nome dellβamore, aveva spezzato le catene che lo avvincevano a un mondo illusorio, scoprendo la veritΓ , preziosa e durevole. Β»

Sublimando lβamata in dea, a Lucian in realtΓ non interessa la Annie Β«terrenaΒ», al punto che, una volta scoperto che questa si Γ¨ sposata con un contadino del suo paese natio, nulla cambia in fin dei conti per lui: Β«Lucian non pensava alla vera Annie come alla giovane sposa di un contadino, similmente non scorgeva nei cespugli assediati dal gelo lβessenza delle reali roseΒ» [18].
La Annie oggetto dellβamore ardente di Lucian Γ¨ una creatura ultraterrena e ambigua, simile alla Regina delle Fate o alle Ninfe delle tradizioni arcaiche, che, fedelmente al topos della Β«sposa celesteΒ», lega a sΓ© il protagonista Β«in una rete inesorabileΒ», al punto che Β«il desiderio di lei lo faceva impazzire, come se ella tirasse le fila dei suoi nervi, trascinandolo a sΓ©, al suo mistico mondo, ai roseti dove ogni fiore era una fiammaΒ» [19]. E questa unione mistica, vero e proprio hieros gamos sacro, avviene verso la conclusione del romanzo, quando Lucian finalmente, nel giardino di Avallaunius, incontra la sua sposa celeste. Unione mistica che, nella migliore tradizione folk-horror, presenta al tempo stesso i caratteri del Sublime e del Terrifico [20]:
Β« Lucian lottΓ² contro lβincubo e le allucinazioni che lo devastavano. Tutta la sua vita, pensΓ², era stata un brutto sogno. Per fuggire dal mondo reale lo aveva rivestito di un velo purpureo che ardeva nei suoi occhi: realtΓ e fantasia sβerano intrecciate inestricabilmente, tanto che non riusciva piΓΉ a distinguere lβuna dallβaltra. Aveva lasciato che Annie suggesse la sua anima, quella notte, sotto la collina illuminata dal fuoco della luna, ma di certo non lβaveva mai vista ebbra tra le fiamme, splendida Regina del Sabba. [β¦] Si ritrovΓ² sul sentiero immerso nella semioscuritΓ , e Annie gli venne incontro fluttuando; sembrava discendere dalla luna dietro la collina. ChinΓ² il capo sul suo seno, e poi si accorse che era di fiamma; abbassΓ² lo sguardo e vide che tutte le sue carni stavano ardendo e seppe che quel fuoco non si sarebbe mai spento. Β»

Ne La collina dei sogni, dunque, il mondo ferico viene esemplificato soprattutto nella figura della Β«sposa sovrannaturaleΒ», un topos ricorrente nella tradizione europea e prima ancora sciamanica eurasiatica (e non solo). La versione mitica piΓΉ celebre Γ¨ forse quella medievale di Melusina [21]. Nel folklore gallese solitamente sono le Gwragged Annw (fate dei laghi e dei fiumi o Β«dame biancheΒ») a concedersi in matrimonio ai mortali, dando loro dei figli (e spesso delle mandrie) per poi ritornare nel loro mondo non appena il marito trasgredisce un tabΓΉ che era stato imposto dalla sposa come clausola coniugale (nel caso di Melusina, vederla fare il bagno di sabato, giorno in cui si tramuta in rettile; nel caso delle Gwragged Annw, colpirle tre volte) [22].
Γ importante che ne La collina dei sogni il protagonista faccia menzione dellβesistenza, in un tempo antico, di un Β«tempio di DianaΒ» nei pressi del locus amoenus in cui ebbe, da bambino, la visione dellβAltro Mondo: questo perchΓ©, oltre a essere considerata la Β«Dea delle StregheΒ» e la Β«Regina delle FateΒ», Diana esibisce una Β«sovrapposizione semantica sia con la Danu indΓΉ che con la Dana celticaΒ» [23], nonchΓ© con la DaΓͺna indoiranica, Β«una sorta di proiezione spirituale che accoglie il morto come splendida giovinetta o laida vecchia a seconda del comportamento tenuto in vitaΒ» [24], ciΓ² mettendo in luce lβantica dottrina del Β«matrimonio mistico con lβAnimaΒ» (o Daimon) che il neofita e lβeroe devono portare a compimento per raggiungere una dimensione ontologica piΓΉ elevata, tematica-chiave, questa, dello stesso romanzo macheniano. Omologia mistica tra Anima, Amata e Daimon che, peraltro, venne teorizzata anche dal giΓ menzionato Yeats.
Nelle pagine di The Hill of Dreams, infatti, in cui la sposa misticaΒ [25] si manifesta a Lucian nelle visioni dellβAltro Mondo come Β«Regina del SabbaΒ» e nel nostro piano di realtΓ con le sembianze esteriori di Annie, Γ¨ proprio lei a richiamare lβanima del protagonista al mondo che gli compete, vale a dire quello delle entitΓ disincarnate, attirandolo a sΓ© come un ragno fa con la sua preda,Β ciΓ² esprimendo al meglio Β«lβessenza del destino come Diana, motivo confermato dallβidentitΓ di questa con NemesiΒ» [26].

Se da una parte questa predestinazione viene vissuta con trasporto ed entusiasmo, alla stregua di qualcosa di speciale e di sublime (la stessa tradizione gaelica pullula di racconti di eroi che si elevano alla gloria glorificando la propria Β«sposa fatataΒ») [27], dallβaltra la presa di coscienza dellβappartenenza a questo piano di realtΓ altro rispetto a quello comunemente esperito getta il protagonista nel terrore piΓΉ assoluto, come se tale predestinazione avesse il crisma di una maledizione eterna [28]:
Β« Lo colse una nube di follia, di confusione, di sogni incompiuti senza significato ma pregni dβun orrore indicibile ed empio. Si era addormentato osservando i fantastici intrecci dei rami sopra di lui; al risveglio aveva provato vergogna ed era scappato via, terrorizzato al pensiero che βloroβ lo seguissero. Non sapeva di preciso chi o che cosa fossero, tuttavia aveva avuto lβimpressione che un volto di donna lo spiasse dalla boscaglia, e che questa avesse evocato al suo seguito un corteo di compagni che non erano mai invecchiati con il trascorrere dei secoli. Il suo viso sorrideva, chino su di lui, mentre sedeva nella tetra e fresca cucina della vecchia fattoria, e si chiedeva come mai la dolcezza di quelle labbra rosse e la bontΓ di quello sguardo si confondessero con lβincubo avuto al forte, con lβorribile Sabba immaginato mentre dormiva sul prato. Β»
Ma, come sβΓ¨ detto, se in altre opere macheniane per lo piΓΉ precedenti a questa Γ¨ lβaspetto terrifico a predominare, ne La collina dei sogni esso Γ¨ sapientemente bilanciato da un sentimento opposto, di natura estatica e visionaria, che lascia intravedere la speranza del protagonista in una connessione con il divino. Ancora piΓΉ eccezionale Γ¨ constatare come tra i due registri differenti di sensazioni non vi sia soluzione di continuitΓ , quasi a sottolineare lβimpressione del protagonista di sentirsi come sballottato tra gli estremi dellβorrore piΓΉ agghiacciante e dellβestasi piΓΉ indicibile.
Tale ambiguitΓ infernale-paradisiaca insita nella dimensione dei Fairies Γ¨, dβaltronde, ben nota nella tradizione celtica, in cui il Β«regno sotterraneoΒ» variamente denominato Fairyland, Elfame o Annwn viene sovente descritto come il mondo in cui dimorano le anime disincarnate dei morti, insieme con gli dΓ¨i e con quegli spiriti cristianamente ritenuti Β«demoniΒ». A riguardo, Walter Evans-Wentz nel suoΒ The Fairy Faith in Celtic Countries (1911) fece notare che [29]:
Β« Tutti gli elementi che abbiamo portano dritti ad una conclusione: che il culto dei Fairies sia da considerarsi come una βdottrina delle animeβ; vale a dire, che Fairyland Γ¨ uno stato o una condizione, un reame o un luogo molto simile, se non proprio uguale, a quello in cui le culture antiche β civilizzate o primitive β collocavano gli spiriti dei morti, in compagnia di altre entitΓ invisibili come dΓ¨i, demoni ed ogni sorta di buoni e cattivi spiriti. Non solo i veggenti, istruiti o analfabeti che siano, descrivono in questo modo Fairyland, ma si spingono oltre, affermando che Fairyland esiste davvero come un mondo invisibile allβinterno di cui il mondo visibile Γ¨ immerso, come unβisola allβinterno di un oceano inesplorato, e che Γ¨ abitata da un numero di specie di esseri viventi maggiore di quelli che popolano il nostro mondo, perchΓ© incomparabilmente piΓΉ vasto e vario nelle sue possibilitΓ . Β»

Note:
[1] MACHEN, Arthur, La collina dei sogni, introduzione, p. 14
[2] Ivi, pp. 15-6
[3] MACHEN, Arthur, La collina dei sogni, p. 60
[4] Ibidem
[5] SCOVELL, Adam, Folk Horror. Hours Dreadful and Things Strange (traduzione dello scrivente)
[6] BAUDELAIRE, Charles, βCorrispondenzeβ, ne I fiori del male
[7] Cfr. GALLESI, Luca, Esoterismo e folklore in William Butler Yeats
[8] CosΓ¬, passeggiando nella natura circostante il suo villaggio nativo, Lucian si rende conto che Β«[f]ievoli e misteriose [β¦] voci [β¦] giungevano sino alla collina [β¦] come se una razza straniera abitasse le rovine romane e si esprimesse in un idioma oscuro, parlando di cose terribili e segreteΒ» [MACHEN, Arthur, La collina dei sogni, p. 76], fino a realizzare che Β«nascosti nelle tenebre, due esseri misteriosi stavano parlando di lui, facendo un bilancio della sua vita e decidendone il destinoΒ» [Ivi, p. 79]
[9] MACHEN, Arthur, La collina dei sogni, p. 82
[10] Termine gaelico per indicare i veggenti in possesso della Β«seconda vistaΒ», locuzione utilizzata nella tradizione scoto-irlandese in riferimento alla capacitΓ detenuta da alcune persone di vedere le entitΓ fatate e relazionarsi con esse [cfr. KIRK, Robert, Il regno segreto]
[11] MACHEN, Arthur, La collina dei sogni, p. 103
[12] Secondo De Nardi [DE NARDI, Claudio, βGli orrori decadenti di Machenβ, prefazione a MACHEN, Arthur, I tre impostori, p. 32], Γ¨ Β«il rifiuto del proprio tempo e della storia, della stessa realtΓ Β» a far germogliare in Machen lβanelito alla ricostituzione di un Β«passato mitico e fiabescoΒ», che si innesta nei suoi stessi natali, e che rappresenta simbolicamente la vera realtΓ oggettiva delle cose, nascosta dietro il velo delle manifestazioni grossolane e superficiali. Coerentemente con questi presupposti, la rivolta contro il mondo moderno del gallese non puΓ² che sfociare nellβorrore, Β«che gli sembra lβunico mezzo, il disperato appiglio cui ricorrere per βdifendersiβ dal materialismo e dallo squallore della propria epocaΒ». Β«In sostanza, la βreteβ [β¦] profonda che organizza il suo universo Γ¨ lo scontro tra positivismo e naturalismo da un lato, e fantastico nelle sue varie forme dallβaltro, o se si vuole, tra societΓ ed eroe, tra realtΓ e sogno, tra Ottocento e NovecentoΒ» [Ivi, p. 33]
[13] MACHEN, Arthur, La collina dei sogni, p. 132
[14] Ivi, p. 135
[15] Ivi, p. 140
Β«Qualche anno prima aveva letto diversi libri dβalchimia tardo-medievale; sospettava che la trasmutazione del piombo in oro sottintendesse in realtΓ qualcosa di diverso. La lettura del Lumen de Lumine di Vaughan, fratello del Silurista, aveva confermato questa sua impressione, e a lungo si era tormentato nel tentativo di trovare unβinterpretazione corretta dei misteri ermetici, della βpolvere rossa, scintillante e gloriosa come il soleβ. Infine la soluzione gli baluginΓ² in mente, chiara e stupefacente, mentre giaceva immobile nel giardino di Avallaunius. CapΓ¬ di aver risolto lβenigma, di possedere giΓ la polvere di proiezione, la pietra filosofale che trasformava in oro i metalli vili: lβoro delle percezioni piΓΉ raffinate. Il simbolismo alchemico gli appariva piΓΉ chiaro: il crogiolo, il forno, il βDrago Verdeβ e βil Bambino Nostro Benedetto Figlio del Fuocoβ gli schiudevano significati nuovi. Comprendeva anche perchΓ© quegli antichi testi mettessero in guardia i non iniziati; avrebbero dovuto affrontare il terrore, il pericolo. E non si stupiva affatto della veemenza con cui gli adepti rifiutavano ogni ricchezza materiale. Il saggio non trascorreva la sua vita vegliando instancabilmente sullβatanΓ²r per competere con gli uomini dβaffari, comprare un battello a vapore, possedere una personale riserva di caccia o uno stuolo di servitori. No, lβalchimista non perseguiva gli agi e i lussi di questo mondo. Lucian ripeteva a se stesso: βSoltanto nel giardino di Avallaunius si trova la vera sapienza e la perfetta conoscenzaβΒ» [Ivi, p. 140-1]
[16] Ivi, p. 145
[17] Ivi, p. 157
[18]Β Ivi, p. 159
[19] MACHEN, Arthur, La collina dei sogni, p. 204
[20] Ivi, p. 250
[21] MARKALE, Jean, Prodigi e segreti nel Medioevo, pp. 99-105
[22] SIKES, Wirt, Elfi, Fate e Pooka, p. 42
[23] Signora dei Tuatha DΓ© Danann che, secondo la traduzione piΓΉ in voga β sebbene criticata da alcuni filologi β starebbe proprio per Β«TribΓΉ della Dea DanaΒ»
[24] CHIAVARELLI, Emanuela, Intarsi, pp. 132-133
[25] Β«Il professor G.L. Kittredge considera lβamante fatata come una donna immortale, ubicata in una terra di eterna giovinezza [β¦]. Lβeroe puΓ² rimanere con la fata βper sempreβ, ma talvolta ritorna alla sua dimensione di esistenza mortaleΒ» [SPENCE, Lewis, British Fairy Origins, p. 31 (traduzione dello scrivente)]. Spence ricollega questo topos al ricordo, nella tradizione irlandese, del matrimonio rituale (hieros gamos) tra il Re e la Dea della Terra [Ivi, p. 34], vale a dire Tea, venerata soprattutto presso la collina sacra di Tara.
La Murray, da parte sua, riduce tutto al piano meramente materiale e razionale, sebbene si riferisca al Piccolo Popolo con la locuzione magical beings: Β«Lβalto numero di matrimoni β come risulta dai documenti β tra βmortaliβ ed esseri magici Γ¨ unβaltra prova che fate ed elfi avevano le stesse caratteristiche somatiche della gente comune ed erano esseri umani. Antenati tra questo popolo di esseri magici li ebbero i Re Plantageneti; la seconda moglie di Conn, Re di Tara, era una fata; Bertrand du Guescin sposΓ² una fata, ed era una fata anche la moglie di quel Sieur de Bourlemont che possedeva quellβAlbero delle Fate intorno a cui da ragazza danzΓ² Giovanna dβArcoΒ» [MURRAY, Margaret, Il Dio delle streghe, p. 47]. Da quanto detto, la Murray trasse le sue (discutevolissime) conclusioni, affermando addirittura che ciΓ² dimostrerebbe Β«che lβincrocio tra esseri βmortaliβ e βmagiciβ era anche meno appariscente di quello tra bianchi e gente di coloreΒ» [Ibidem]!
[26] CHIAVARELLI, Emanuela, op. cit., p. 133
[27] SPENCE, Lewis, op. cit., p. 12
[28] MACHEN, Arthur, La collina dei sogni, p. 221
[29] EVANS-WENTZ, Walter, The Fairy Faith in Celtic Countries, p. 18 (traduzione dello scrivente)
La definizione di Β«dottrina delle animeΒ» attribuita al culto dei Fairies ricorda da molto vicino lβΒ«ecologia delle animeΒ» teorizzata nella seconda metΓ del XX secolo da Terence McKenna, con riguardo agli incontri da lui esperiti con le entitΓ sottili del mondo invisibile (da lui denominato Iperspazio)

Bibliografia:
CHIAVARELLI, Emanuela: Intarsi: Momenti di antropologia, Bulzoni, Roma 2009
EVANS-WENTZ, Walter: The Fairy Faith in Celtic Countries, Carol P.G.E., New York 1966 [1911]
GALLESI, Luca, Esoterismo e folklore in William Butler Yeats, Nuovi Orizzonti, Milano 1990
KIRK, Robert: Il regno segreto, Adelphi, Milano 1993 [s. 1692, p. 1815]
MACHEN, Arthur: La collina dei sogni, il Palindromo, Palermo 2017 [1907]
MARKALE, Jean: Prodigi e segreti nel Medioevo, Arkeios, Roma 2013 [2008]
MURRAY, Margaret: Il dio delle streghe, Astrolabio/Ubaldini, Roma 1972 [1933]
De NARDI, Claudio: βGli orrori decadenti di Machenβ, prefazione a MACHEN, Arthur: I tre impostori, Fanucci, Roma 1977
SCOVELL, Adam, Folk Horror. Hours Dreadful and Things Strange, Auteur 2017
SIKES, Wirt: Elfi, Fate e Pooka. Folklore, mitologia, leggende e tradizioni fatate del Galles, Om Edizioni, Quarto Inferiore (BO), 2016 [1880]
SPENCE, Lewis: British Fairy Origins, Watts &Co., London 1946
20 commenti su βIl Terrore e lβEstasi: βLa collina dei sogniβ di Arthur Machenβ