L’esplorazione altaica di Nicholas Roerich alla ricerca di Belovodye, “la Terra degli Dèi Viventi”

Tra i luoghi visitati da Nicholas Roerich nel corso delle sue spedizioni asiatiche degli anni ’20, una menzione speciale va all’area dei Monti Altai, dove il pittore ed esploratore russo andò alla ricerca della mitica Belovodye, sotterranea “Terra degli Immortali” equivalente alla Shamballah himalayana, dove secondo la leggenda si occultò, in un passato antidiluviano, la misteriosa stirpe dei Chud, e da cui si ritiene giungerà, in un futuro prossimo, il santo Oirot Khan, ultimo discendente di Gengis Khan e “Salvatore del Mondo”.

di Vincenzo Pisciunieri

Tratto da La missione di Roerich in Asia – Shamballah
Copertina: Nicholas Roerich, Le Sacre du Printemps 

I MONTI ALTAI

Parzialmente in territorio sovietico e in parte in Mongolia, la gamma dei monti Altai si estende dal Sud-Est della Siberia occidentale formando il confine settentrionale del Gobi. Il territorio dei Monti Altai è la regione assiale del continente eurasiatico, dove le foreste a sud-ovest della Siberia sono a contatto con le grandi steppe e nei deserti dell’Asia centrale e dove i confini dei quattro maggiori paesi: Russia, Kazakistan, Cina e Mongolia. In termini di geopolitica, la regione è il centro politico, il cuore dell’Eurasia. Dai ghiacciai dei monti Altai nascono quattro grandi fiumi, Irtys, Ob, Yenisei, Hovd, Canas, che forniscono acqua per molti milioni di persone che vivono in Russia, Kazakistan, Cina e Mongolia. La terra ricca e nera, l’aria frizzante di montagna, le fonti di acque incontaminate, le risorse forestali uniche, dove si trovano conifere pregiate, foreste di pini, erbe e frutti di bosco, grandi quantità di argille curative, fanno della regione il polmone dell’Eurasia.

I Monti Altai dovevano essere il luogo della Nuova Russia chiamata Zvenigorod dai Maestri, una nuova nazione in Asia, la Sacra Unione di Oriente. Zvenigorod degli Altai, non quella in Russia, era destinata a essere un luogo per il futuro centro di cultura, per il quale aveva tutto: ricchezza e naturale, terra fertile e una bellezza mai vista prima. Zvenigorod, la Città delle campane, l’utopica città di Roerich che si pone nell’Alta valle Uimon ai piedi del sacro monte Belukha; nei diari di Helena Roerich, Zvenigorod è spesso chiamata “Città della Conoscenza”. L’importanza strategica di questa tappa si arguisce dal fatto che sui monti Altai i membri del gruppo interiore S.G. e M.M. Lichtmann raggiunsero i Roerich per poi ritornare in America.

Nicholas Roerich, Zvenigorod, 1933

La tradizione considera sacre le montagne degli Altai, in particolar modo il Monte Belukha che sorge nel centro del campo di Katun. Roerich dipinse nel 1925 il monte Belukha, come sfondo al Santo Oirot [1], il Messaggero del Burkhan Bianco, raffigurato su un cavallo bianco in una notte di luna piena.

Nel 1904, una ragazza ebbe una visione: le apparve un cavaliere bianco vestito, che cavalcava un cavallo bianco, annunciandogli il ritorno di Oirot Khan, l’ultimo discendente di Gengis Khan, per porre fine all’oppressione zarista e ripristinare l’antico impero dei mongoli. Questa tradizione degli Altai conosciuta come la “fede bianca” — venera una specifica manifestazione del Buddha, noto come il Burkhan, un termine che nel lamaismo mongolo indica “divinità”. Burkhan Bianco, Oirot, “Messaggero”, è il nome dato dalla gente dell’Altai al Salvatore del Mondo. Il Khan Oirot, secondo la leggenda mongola era l’ultimo discendente di Gengis Khan e l’ultimo sovrano del suo impero, fece la promessa di tornare quando il Monte Belukha avesse cambiato forma. Nel 1904, l’anno della visione, il sole ha distrutto un blocco di ghiaccio e i picchi Belukha hanno cambiato forma.

Nicholas Roerich, Oirot, Messenger of the White Burkhan, 1924

Roerich dipinse più volte il monte sacro Belukha visto come la controparte, il gemello del Monte Kailash, il più sacro dei picchi dell’Himalaya in Tibet. Altai-Himalaya — due magneti, due pressioni, due pilastri, così scrisse Roerich. Il monte Belukha è chiamato Uch-Syure, Uch-Orion, Syure — dimora degli dei, chiamata Sumer in Mongolia e SuMeru in India. Uch significa tre, Uch-Orion è associato alle tre stelle della cintura di Orione. Le leggende indicano tre specifiche stelle, che hanno inviato la pietra per la pace, Cintamani. Queste sono le stelle della cintura di Orione.

Alcune tradizioni russe parlano di un luogo segreto, dove gli uomini preferiscono vivere da Eremiti, indifferenti allo scorrere del tempo. Essi risiedono in caverne da cui nascono le Acque Bianche, vicino ai monti Altai. Nel mese di agosto 1.926, Nicholas Roerich nel suo libro “Altai-Himalaya” scrisse:

“L’acqua del fiume Ak-Keme è di color bianco latte […] Belovodye […] il fiume Ak-Keme è al cinquantesimo grado di latitudine […] il Belukha le montagne blu. Fiori e il verde dell’erba e dei cedri è rilassante. Chi ha detto che l’Altai è duro e inaccessibile? […] Zvenigorod”

Il monte Belukha, nell’Altai

Perché N. Roerich pone l’accenno sul cinquantesimo grado di latitudine? Perché nell’Altai desiderava fondare la Città della Conoscenza, Zvenigorod. Il riferimento sul sito dove fondare una Comunità spirituale si trova logicamente nel libro “Comunità”. Supponiamo che in un certo luogo si voglia fondare una comunità. Anche se il sito risponde a tutti i requisiti, le condizioni circostanti possono essere temporaneamente molto pericolose. Ci si rivolge allora a un altro luogo, cui si trasferiscono le possibilità del primo. In coscienza non si sono abbandonate le occasioni offerte da quello, e si sperimenta l’effetto della prima decisione ponendo le basi della struttura futura. Che qualcosa abbia da essere sul cinquantesimo parallelo, o venti gradi più a sud, l’essenziale è che resti luminosa l’attività costruttiva.

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Stonehenge, ed esempio è posto al 50° parallelo. Se si considera l’angolo in cui i raggi del sole cadono sulla superficie della terra al solstizio d’estate alla latitudine di 50°? Quest’angolo è di circa 63°26’. La tangente dell’angolo che i raggi solari formano con la superficie vale: tan63°26’= 2,0. Cioè, la lunghezza dell’ombra proiettata da un piolo, a mezzogiorno, è due volte più corta dell’altezza del piolo, che proietta l’ombra. La luce solare costruisce durante il solstizio un rettangolo con altezza doppia rispetto alla base, cioè un rettangolo aureo, l’armonia della proporzione divina. Oltre a l’armonia della luce vi è quella della natura circostante sotto forma di prati alpini di erbe e piante, atmosfera pura, il prana di montagna, con corsi d’acqua provenienti dalle nevi dei monti e dei ghiacciai. Un luogo ricco di polvere meteorica, qui come altrove ci dovrebbe essere un’armonia dello spazio – l’armonia delle sfere. In quel luogo, era realizzata l’armonia più completa fra le correnti della Terra con il Fuoco che giunge dallo spazio.

Sappiamo che il sogno della fondazione della Città della Conoscenza negli Altai non si è potuto avverare, per l’ottusità dei governanti sovietici che si preparavano ad attuare piani di repressione e che pertanto la Cittadella della Conoscenza fu costruita a Kullu, con l’Istituto Urusvati. Consideriamo ora la posizione dell’Istituto di Urusvati nella valle di Kullu. Si trova a una latitudine di circa 31° 44’. Costruiamo un triangolo formato dai raggi incidenti del sole e l’ombra proiettata da un piolo sulla terra durante l’equinozio, calcoliamo che la tangente vale: tan31°44’= 0,618. Cioè, lunghezza l’ombra proiettata da un piolo nel giorno dell’equinozio, è 0,618 della sua altezza. Il rapporto fra i lati del rettangolo è 0.618 = Φ e questo è il valore della proporzione divina, la Sezione Aurea [2].
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L’Altai ha giocato una parte molto importante nella migrazione dei popoli ed è un tesoro intatto con il monte Belukha, il sovrano, di tutti i fiumi e i campi, pronto di cedere le sue ricchezze. Presso i Monti Altai, N. Roerich apprese che le colline pedemontane himalayane nascondevano accessi che conducevano a camere situate in profondità, dove dalla notte dei tempi erano stati depositati misteriosi manufatti ed esotici tesori. Roerich vide molte grotte contenenti ossa intagliate e iscrizioni. Sprovvisto di una luce per misurare la profondità, Roerich non proseguì oltre ma era certo quelle grotte celano i passaggi segreti stessi utilizzati per raggiungere il Tibet, Kunlun, Altyn-Tag, Turfan, e in altri luoghi. Nei monti dell’Altai, si trovano luoghi di sepoltura contrassegnati da iscrizioni sulle rocce, fatti da popoli dimenticati. Roerich afferma che l’intera area è un magnete potente e sacro per il futuro. Roerich, in Shamballa, la risplendente, scrive di un popolo misterioso, i Chud, che per sfuggire alla tirannia dello Zar Bianco, un giorno preferirono scomparire in un regno sotterraneo, attraverso un ingresso situato sui Monti dell’Altai. Roerich scrisse che le pietre che circondavano il suo ingresso ricordavano quelle enormi di altre tombe che aveva visto riferenti al periodo delle grandi migrazioni in posti come ai piedi del Caucaso settentrionale.

La novella Repubblica degli Altai, nonostante le sue magre finanze ha voluto ordinare un monumento di due tonnellate di marmo degli Urali a N. Roerich, per la sua opera svolta. Il busto di Roerich è stato posto in modo che sullo sfondo si vedano le montagne dell’Altai.


BELOVODYE – LA TERRA DEGLI DÈI VIVENTI

Dal Tibet attraverso il Kunlun, attraverso l’Altyn-Tag e il Turfan; “l’orecchio lungo” conosce i passaggi segreti. Quanta gente è stata in questi cunicoli e spelonche. La tradizione popolare dell’antica Russia descrive un luogo situato nel cuore dell’Asia, denominato in russo Belovodye – Belovodye significa acqua bianca. […] A metà del XIX secolo una straordinaria notizia è stata portata al Vecchio Credente: “Nei paesi lontani, per i Grandi Laghi, di là dalle alte montagne, c’è un luogo sacro dove fiorisce la giustizia. Vi dimora una conoscenza superiore, la forma di più alta saggezza destinata a salvare l’intero futuro dell’umanità. Questo luogo è chiamato Belovodye.”

[3]

Nell’annuale Rivista della Società Geografica Russa del 1903 compare un articolo dal titolo Il viaggio dei Cosacchi degli Urali nel Regno di Belovodye, scritto da un esploratore che risponde al nome di Korolenko. Analogamente, nell’ottobre 1916 la Società Geografica della Siberia Occidentale pubblicò un resoconto dello storico russo Belosliudov, dal titolo La storia di Belovodye. Poiché pubblicati da istituti scientifici, ambedue gli articoli rivestono un notevole interesse, poiché rivelano una forte tradizione che ancora vige presso gli “antichi credenti” della Russia, secondo la quale Belovodye è un segreto luogo esistente da qualche parte nella zona della Siberia sud-occidentale, in pratica sui Monti dell’Altai descritti da Roerich.

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Nel 1893 in un manoscritto presso l’eremo di Vyshenski-Uspenski, nei dintorni di Shatsk, Provincia di Tambov fu ritrovata una testimonianza risalente al millennio precedente: “La Saga di Belovodye”. Il racconto apparve nell’edizione del 4 aprile 1949 di Novaya Zarya (“Nuova Alba”), quotidiano russo di San Francisco. Riporta il resoconto di un giovane monaco slavo, tale Sergius, il quale trascorse vari anni in un monastero sul Monte Athos, nella Grecia settentrionale, presso il Mare Egeo. Il cattivo stato di salute del padre lo costrinse a fare ritorno a Kiev e qualche tempo dopo il suo arrivo Sergius, allora quasi trentenne, ottenne udienza dal Principe Vladimir il Grande (956-1015). Aveva intenzione di riferire al principe quello che aveva appreso nella biblioteca del monastero a proposito di una misteriosa “terra d’Oriente in cui regnavano virtù e giustizia” (“La Saga di Belovodye”, Novaya Zarya, ibid.). Il principe rimase talmente affascinato dalla storia della leggendaria contrada che nel 987 nominò Sergius a capo di un consistente corpo di spedizione, che equipaggiò e inviò alla ricerca della meravigliosa terra asiatica. I consiglieri del principe stimarono che il viaggio di 6.000 miglia (9.660 chilometri) avrebbe richiesto complessivamente tre anni, tuttavia ne trascorsero parecchi senza che si avessero notizie della spedizione. A Kiev si ritenne che tutti i suoi componenti fossero periti; tuttavia, nel 1043 giunse in città un uomo il quale dichiarava di essere il monaco Sergius, inviato circa 56 anni prima dal Principe Vladimir il Grande alla ricerca della Valle degli Immortali.

Ilya Gennadievich Borisov, Flores Belovodye 

La sostanza del suo resoconto fu puntualmente annotata e preservata presso i mistici di un monastero russo; si tratta del documento reperito nel 1893. Padre Sergius riferì che al termine del secondo anno del loro arduo viaggio molti uomini e animali del corpo di spedizione erano morti, a causa delle condizioni climatiche estreme o dell’attacco di lupi e orsi. In un territorio desolato il gruppo, s’imbatté in una catasta di scheletri di esseri umani, cavalli, cammelli e asini, rimanendone talmente terrorizzato da rifiutarsi di procedere oltre. Solo due componenti della spedizione accettarono di proseguire assieme a Sergius, per poi essere lasciati in un villaggio alla fine del terzo anno, a causa delle loro pessime condizioni di salute. Lo stesso Padre Sergius aveva raggiunto il limite della sopportazione, tuttavia era determinato a completare il viaggio o perire. Dalle popolazioni delle varie regioni attraversate aveva colto voci indicanti che la favolosa contrada di Shambhala esisteva davvero e che egli procedeva nella giusta direzione. Assunse un’altra guida, la quale gli assicurò che lo avrebbe condotto vicino al Regno Sacro, che la popolazione locale chiamava “la Terra Proibita […] la Terra degli Dèi Viventi e la Terra delle Meraviglie” (“La Saga di Belovodye”, ibid.).

Tre mesi più tardi, Padre Sergius raggiunse i confini di Shambhala. A un certo punto l’unica guida rimasta si rifiutò di procedere oltre, terrorizzata dagli invisibili guardiani delle montagne innevate. Sergius era ancora indifferente alla morte e assai fiducioso nell’esistenza della comunità di uomini santi che si era proposta di trovare; inoltre, era troppo esausto per tornare indietro. Dopo alcuni altri giorni di cammino, all’improvviso fu avvicinato da due stranieri, i quali riuscivano a farsi intendere nonostante parlassero una lingua ignota. Quindi Sergius fu condotto a un villaggio dove, dopo essersi rimesso in forze, gli fu affidato il compito di collazionare manoscritti presso un ambiente di tipo monastico. In seguito fu trasferito in una caverna sotterranea, rischiarata da una peculiare luce che suscitò il suo stupore, che “illuminava ogni cosa, dissipando le tenebre e le ombre, cosicché tutto appariva uniforme e delicato” (“La Saga di Belovodye”, ibid.). Poi fu trasferito in un luogo nelle vicinanze, dove fu accolto come un fratello.

Col trascorrere dei mesi e degli anni, il monaco slavo acquisì grandi conoscenze di ordine spirituale; era fortemente appagato per aver infine trovato individui tolleranti, compassionevoli, onniveggenti e saggi i quali lavoravano per il bene dell’umanità. Apprese che, invisibilmente, costoro osservavano tutto quel che accadeva nel mondo esterno, allarmati dalle forze del male in crescita sulla Terra. Padre Sergius apprese inoltre che numerosi individui di vari paesi avevano tentato, senza successo, di accedere a questo territorio. Gli abitanti osservavano una rigida legge in virtù della quale solo sette persone ogni secolo avevano facoltà di far visita alla loro dimora. Sei di costoro avrebbero fatto ritorno al mondo esterno provvisti di un sapere segreto, mentre uno sarebbe rimasto a vivere a Shambhala senza invecchiare, poiché il tempo del suo orologio genetico si sarebbe fermato. Prima di tornare a Kiev, Padre Sergius trascorse i suoi ultimi anni insegnando la saggezza in una rete di caverne, successivamente elaborata nel Monastero delle Caverne. [4]

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Nicholas Roerich, Ruska Shambala

Nel XVIII secolo, tra i Vecchi Credenti fu scritta a mano la descrizione del viaggio di un monaco. Il testo inizia con una precisa descrizione del modo agli Urali, per poi indicare il viaggio attraverso la Siberia, attraverso il deserto del Gobi e la Cina verso l’oceano, verso Belovodye. Quel paese, come un paradiso, è la patria di cristiani ortodossi, e non vi è persecuzione per la fede, dove non ci può essere l’Anticristo, è anche un luogo dove i veri cristiani vivono e dove ci sono fino a quaranta chiese russe. Questa leggenda, suggerisce la tradizione della diffusione del cristianesimo in Asia centrale, Cina, India, Ceylon e in Mongolia dal III secolo dovuta ai Manichei e un più tardi, nel V secolo, ai Nestoriani. Queste leggende fiorirono in un paese, dove c’è una vera chiesa ortodossa, finché lo stato moscovita iniziò la persecuzione dei Vecchi Credenti. Negli Altai, racconta Roerich, nonostante tutte le difficoltà, le persecuzioni e le difficoltà, i Vecchi Credenti hanno conservato un’Icona e un Libro che era passato di mano in mano, di generazione in generazione, nascosto da occhi indiscreti. I vecchi Credenti nutrivano una venerazione speciale per l’icona. La casa del Vecchio Credente dove Roerich visse, ora porta una targa in onore della permanenza dell’artista.

I Vecchi Credenti, incontrati da Roerich negli Altai, gli raccontarono di persone che compirono il leggendario viaggio verso Belovodye. Quelli che tra loro erano più preparati nel campo spirituale, furono invitati a soggiornare in quel luogo sacro, agli altri fu proibito, e tornarono alle loro case.

Nicholas Roerich, Pilgrim of the Radiant City, 1933

N. Roerich in un dipinto del 1933 raffigura un Pellegrino che si avvia verso un luogo mistico: un uomo con un bastone e un sacco sulle spalle, che si avvia nella direzione di un gruppo di chiese russe ortodosse, situate sul bordo di un mare o di lago. È lui uno dei pochi che ha trovato la città illuminata e che ora è tornato a raccontare le sue meraviglie? Roerich scrisse che i Vecchi Credenti fuggiti nell’Altai provenienti da diverse regioni della Russia, portarono con loro anche le leggende della loro vecchia patria riguardo ai Chud.

Sui monti Altai, nella bella valle di Uimon, sulle alte terre, un venerabile Vecchio Credente (Starover) mi disse: “Vi proverò che la storia dei Chud, il popolo che vive all’interno della Terra, non è solo frutto dell’immaginazione! Vi condurrò all’ingresso di questo regno sotterraneo” […] Ci avvicinammo a una piccola collina pietrosa e, orgoglioso, egli m’indicò, “Eccoci: qui c’è l’ingresso del grande regno sotterraneo. Quando i Chud penetrarono dai passaggi sotterranei, chiusero l’entrata con le pietre. In questo momento siamo proprio accanto alla sacra entrata.”

Nicholas Roerich, Chud Has Gone under the Ground, 1913

Attratto e affascinato dalla maestà e bellezza delle montagne, Roerich era anche incuriosito dalla serie di tunnel sotterranei e caverne. Infatti, nel linguaggio simbolico dei suoi dipinti la sapienza esoterica si rivela più spesso in una di queste due sedi: molto sopra la terra, sulle cime delle alte montagne, o in profondità sotto la terra, in camere sotterranee nascoste e lontano dalla vista dell’uomo. Una delle leggende che l’Altai aveva più interessato Roerich era la storia di un vasto groviglio di tunnel a nido d’ape e i regni sotterranei sotto le montagne. Scrive Roerich: “…con passaggi attraverso splendide grotte di ghiaccio sotto la terra, poche meritevoli persone anche in questa vita hanno raggiunto il luogo santo”. Nei monti dell’Altai vi è dunque un ingresso per il regno sotterraneo e per giungere alla mitica Shamballa.

Csoma de Kòròs, un filologo ungherese [5], fornì i rilevamenti geografici per giungere a Shamballa in 45-50 gradi latitudine nord. Anche il generale ed esploratore russo Nikolaj M. Prjevalsky, in base ad antico documento monastico, da lui consultato fornì la longitudine per Shambhala a 88 gradi [6]. Queste due coordinate situano il territorio di Shambhala leggermente a est dei Monti Altai, e precisamente, dove le spedizioni di Roerich si avventurarono in numerose occasioni. L’Altai è come il vestibolo, il cancello di Shambhala verso l’Himalaya, il luogo che la tradizione chiama Belovodye. Il viaggio verso Belovodye è così descritto: “Da qui, si va verso Irtys e Argon. Dopo un viaggio difficile fra fiumi, se non si perde la strada, si arriva ai laghi di sale”. Questo percorso è molto pericoloso! Molte persone sono già morte, ma se si sceglie il momento giusto, sarete in grado di attraversare questi luoghi pericolosi. Poi si arriva alla montagna Bogogorsh. Da qui, inizia un percorso ancora più pericoloso per Kokushi. Dopo, si prende il sentiero sulla stessa Ergor e si segue fino alla terra di neve. Qui, nel più alto dei monti, vi è una valle sacra. Questo è Belovodye”. Roerich precisa che quella particolare strada conduce al Tibet.

Nicholas Roerich, Underground Chud, 1928

Note:

[1] Nel periodo zarista l’Altai era noto come Oirot, Oirat

[2] http://www.roerich.kz/pakt.htm

[3] cit. N. Roerich, Cuore dell’Asia

[4] cit. E. Siragusa, Viaggio nel Regno Sacro

[5] Csoma de Kòròs, ebbe tutte le sue informazioni dai lama dei berretti rossi dopo aver trascorso con loro quattro anni
in un monastero tibetano, egli però non frequentò mai i Gelupka, i berretti gialli

[6] N. M. Prjevalsky, Mongolia, Londra 1876, p. 63

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