Dal Saoőyant gnostico-iranico al culto del Buddha Amitābha e dei Bodhisattva

Un personaggio che lega la fede buddhista ai moduli espressivi dell’antico gnosticismo Γ¨ il Bodhisattva, un Β«essere dell’illuminazioneΒ» o Β«del risveglioΒ», piΓΉ precisamente un Β«aspirante allaΒ bodhiΒ», cioΓ¨ alla saggezza suprema. Un perfetto Buddha che ha rinunciato a entrare nella beatitudine delΒ nirvāṇa, ha rinunciato a diventare unΒ arhat, un essere che si Γ¨ liberato, e questo per condurre altri uomini verso l’illuminazione.

Bodhisattva

I Bodhisattva fanno la loro comparsa nel buddhismo solo attorno al I sec. d. C., quando, sulla spinta delle idee gnostico-iraniche sul SaoΕ‘yant (> pahlavi Sōőyans), letteralmente Β«Colui che farΓ  prosperareΒ», il Salvatore futuro, si ha la formazione d’uno scisma, da cui originano le correnti del Β«Grande VeicoloΒ», il Mahāyāna, propriamente detto, e del Vajrayāna, la Β«Via del Diamante-FolgoreΒ»: cioΓ¨ un buddhismo che elabora figure e cosmologie intricate, configurate in molteplici piani di realtΓ  fra loro intercomunicanti.

Il Bodhisattva Γ¨ considerato come l’erede di una regalitΓ  trascendente alla quale sono assoggettate tutte le cose e tutti gli esseri, umani e divini. Per esprimere questo concetto metafisico ci si rivolge alle regalitΓ  umane, ai segni distintivi dei piccoli potentati locali o ancor meglio all’ideologia regale iranica [1]. Di fatto l’influsso iranico interessa da vicino l’evolversi del pensiero religioso buddhista: forse uno dei traduttori dell’Amitāyur-dhyāna-sΕ«traΒ (Amitāyur-buddhānusmrti-sΕ«tra) dal sanscrito al cinese fu un principe arsacide, noto nelle fonti cinesi col nome di An Shih-kao. A questo si aggiunge la dottrina iranica del Salvatore futuro, il SaoΕ‘yant, giΓ  presente in embrione nel pensiero di Zoroastro e poi sviluppata in altre parti arcaiche dell’Avesta (la raccolta dei libri sacri zoroastriani), che ha la sua significativa elaborazione in testi relativamente tardi. Tali Salvatori furono visti come figli di Zoroastro che si manifestano ciclicamente nel mondo.

Bodhisattva

È ipotizzabile che tale soteriologia, unita alle speculazioni ermetiche sui viaggi nei mondi astrali, abbia influito sulla costruzione del credo buddhista. Concretamente ciΓ² Γ¨ diventato possibile poichΓ© la salvezza da individuale Γ¨ diventata collettiva: ogni individuo possedeva la Β«natura di buddhaΒ»,Β tathāgatagarbha. Si manifestavano quindi dei Bodhisattva illuminati che avevano rinunciato alΒ parinirvāṇa, l’estinzione completa propria dei buddha, scegliendo di rinascere in altri corpi per compassione, per aiutare chi era rimasto immerso nella sofferenza del ciclo trasmigrativo, ilΒ saαΉƒsāra.

Il culto dei Bodhisattva si Γ¨ via via potenziato, sino a diventare persino piΓΉ importante di quello dello stesso Buddha e a ibridarsi con altre forme religiose. Un esempio calzante proviene dalle rive del fiume Indo, in una sperduta valle dell’Himalaya: ad Alchi nel Ladakh (Kashmir, India) un monastero buddhista risalente all’XI secolo ospita, tra le altre, le figurazioni dei regni dei cinque Buddha di Luce. Gli insegnamenti del Mahāyāna hanno infatti sviluppato tutta una serie di idee cosmologiche che il buddhismo delle origini ignorava.

Amitābha

Ad Alchi, come in altri monasteri, il Buddha infinito siede su un trono a forma di loto dai mille petali simboleggianti ciascuno uno dei cinque universi. È Amitābha (o Amitāyus), il Buddha che presiede al Paradiso Occidentale, la SukhāvatΔ«, una landa meravigliosa a cui puΓ² accedere solo il puro di cuore; per potervi rinascere bisognava ottenere laΒ bodhiΒ meditando e incoraggiando gli altri a percorrere lo stesso cammino, la missione del Bodhisattva. Nel mondo meraviglioso di SukhāvatΔ« β€’ letteralmente Β«FeliceΒ» β€’ Amitābha vive nel pieno di una goduria eterna, attorniato da tutti gli esseri chiamati a condividere tale beatitudine per i meriti acquisiti. Per rinascere, o per meglio dire trasmigrare in questo luogo di felicitΓ  infinita, non c’è bisogno di compiere imprese prodigiose e neppure di praticare con piΓΉ o meno rigore le virtΓΉ piΓΉ correnti, quelle che il buddhismo antico richiedeva ai propri fedeli laici, ma Γ¨ sufficiente, per questo, aver pensato per una una sola volta, per un breve istante, al Buddha Amitābha, averne pronunciato il nome per caso, anche quando si sia il piΓΉ incallito dei criminali β€’ sostengono i seguaci piΓΉ inclini alle estremizzazioni [2]. Si narra, infatti, che all’inizio della sua lunga vicenda di bodhisattva, colui che sarebbe diventato il Buddha Amitābha avesse fatto voto di ammettere presso di sΓ©, nel suo paradiso endorfinico, tutti coloro che avessero pensato a lui o pronunciato il suo nome, a prescindere da qualsiasi altra condizione. Di fatto la devozione verso Amitābha mutΓ² sostanzialmente la percezione del buddhismo nelle aree della sua diffusione, portando a compimento e spingendo ai limiti piΓΉ estremi l’insegnamento del Mahāyāna. Un insegnamento rivoluzionario e innovativo anche dal punto di vista cosmologico.

Nello spazio infinito sono disseminati, a distanze immense gli uni dagli altri, miriadi di mondi tutti simili e popolati dalle stesse specie di esseri. Ognuno ha la forma di un cilindro, le cui dimensioni superano di gran lunga quelle della nostra terra, sul cui cerchio superiore vivono gli uomini, gli animali, gli spiriti di coloro che ritornano e certe divinitΓ . Negli spazi sotterranei, inferi, caldi o gelidi, i dannati subiscono svariati e spaventosi supplizi e, nei cieli al di sopra della superficie del mondo, risiede la maggior parte degli dΓ¨i. Alcuni di essi sono ancora soggetti all’attrazione sessuale, ancorchΓ© depurata. Altri, il cui corpo etereo risplende per natura, non si nutrono di altro se non della propria gioia e della luce che emanano. Altri ancora, puri spiriti, vivono per milioni di anni in meditazione, sprofondati in un raccoglimento caratterizzato dall’estrema tenuitΓ  del pensiero. Ogni mondo si crea lentamente, da solo, dura per un certo tempo senza grandi cambiamenti, quindi ritorna gradatamente al caos originario, distrutto dal fuoco, dall’acqua o dal vento, prima di rinascere dalle sue stesse ceneri, poi lo stesso ciclo, che si stende su di un arco di miliardi di anni, riprende cosΓ¬, senza nΓ© principio nΓ© fine [3]. Qualcuno avrΓ  riconosciuto, in veste mutata, la dottrina dellaΒ ekpyrosis, l’abbruciamento ciclico del cosmo, a cui allude anche Platone inΒ PoliticoΒ 269 a, quando egli dice che in un tempo passato il Sole e gli astri Β«dove ora si levano allora tramontavano, mentre sorgevano dal punto oppostoΒ».Β Platone si riferisce ad un percorso celeste regolato sull’equiΒ­librio di due poli,Β successivamente alterato dal re degli dΓ¨i e strutturato sull’asse cosmico attuale.

Il Buddha ermetico Γ¨ un’evidenza, moduli non solo espressivi, ma efficacemente ermetici; la storia delle religioni diventa un’antropologia dell’immaginario. Divenire Γ¨ qualcosa di molto razionale, pure troppo. Il destino delle nostre vite non Γ¨ deciso da un qualche giudizio divino, ma dal proprio karma, che siano azioni passate o impugnate all’ultimo momento. Mentre, se io prometto la vita o la gloria eterna, non Γ¨ una promessa, neanche una scommessa, perchΓ© non basterebbe un milione di anni per verificare. Basta invece per motivare un agire eremitico e vivere Β«come seΒ» quel fine si realizzasse. L’europeo vetero-moderno crede che bisogna vivere di postulati come i maghi dell’alta finanza. Gli orientali sono, al contrario, a-religiosi. Non inseguono la speranza paolina. Purificarsi significa ieri come oggi bruciare il fuoco dell’ignoranza.

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Una causa ha sempre una causa, una metempsicosi in fieri. È una cosa logica, ma da non confondere con la ragione ontica delle cose. Le cause producono infatti mutamenti continui, il che equivale a dire: diventa quel che divieni, perchΓ© sei condannato a scegliere o ad esistere (assurditΓ  comprese). I cattolici coltivano il pentimento, raramente il perdono, che Γ¨ poi un correggere e annullare quanto Γ¨ stato (senza bisogno di tanta metempsicosi). Per questo coltiviamo personalitΓ  scisse, divise tra peccato e redenzione. Del resto, appena dico Io, subito mi separo da me stesso. La presunta identitΓ  della persona Γ¨ giΓ  da sempre abitata dalla differenza, dall’Ur-teilΒ del giudizio; come non c’è mai un primo momento, solo una seconda battuta e il ricordo di qualcosa che l’ha preceduta.

Facciamo esperienza, immaginando, alterando, ripetendo sempre gli stessi errori. PerchΓ© senza la memoria e le sue anticipazioni il tempo non accadrebbe. E laddove c’è il tempo, Γ¨ la realtΓ  a non accadere. In questo trasmigrare continuo, si capisce, non avviene nulla di veramente nuovo. La metempsicosi passiva diventa allora quel divenire molteplice gettato nel mondo delle chiacchiere, ovvero il suo necessario oblio. Solo chi vede l’inazione nell’azione, e viceversa, Γ¨ uno che compie interamente un’azione (BhagavadgΔ«tā 4, 16-19). Ci vuole reciprocitΓ , come nella meditazione Yoga. Non Γ¨ dunque il ripetersi del tempo la chiave di tutto, quella concordanza dell’agire con la ruota del Dharma, priva di fatto di qualsiasi movimento, in cui niente ci permette di afferrare l’origine e neanche di dare continuitΓ  a quel che mai Γ¨ stato: che noia! Semmai Γ¨ la simultaneitΓ , cioΓ¨ la scambievole produzione di effetti di tutto su tutto ad afferrare il molteplice nel medesimo tempo. Un’andata e ritorno che vede il prima e il poi non in successione, ma coincidenti e in attrazione reciproca. La reversibilitΓ  e il tempo irreversibile sono la stessa relazione e quel che vediamo in successione Γ¨ solo una parte di un piΓΉ ampio vedere. L’universo Γ¨ una rete di relazioni causali interconnesse, che rigetta la prioritΓ  delle cause sugli effetti. Questo Γ¨ anche Leibniz. Che conosceva la storia del monaco che dopo la morte dichiara di andare all’inferno. Se non ci andasse chi ci salverebbe dall’inferno stesso?

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[1]Β M. Bussagli, Β«L’influsso classico ed iranico sull’arte dell’Asia centrale. Ricerche preliminari per uno studio sulla pittura e la scultura centro-asiaticheΒ», inΒ Rivista dell’Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’Arte, N.S. 2 (1953), pp. 171-266Β (= Indica et Serindica. Scritti di storia dell’arte dell’India e dell’Asia centraleΒ [UniversitΓ  di Roma Β«La SapienzaΒ» – Β«Studi OrientaliΒ», XI], Bardi, Roma 1992, pp. 167-259).

[2] A. Bareau, Β«Il buddhismo indianoΒ», inΒ H.-Ch. PuechΒ (cur.),Β Storia del Buddismo, trad. M. Novella Pierini, Laterza, Roma-Bari 1984 (ed. or. Paris 1970-1976), pp. 68-69.

[3] Bareau, Β«Il buddhismo indianoΒ», pp. 51-52.

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