Considerazioni sulla questione della ierolingua nel Medioevo (II)

Nel suo millenario percorso la filosofia cristiana medievale si ritrova ad affrontare le questioni della creazione dell’universo attraverso la Parola divina, della lingua adamitica e della confusione post-babelica a cui si attribuisce la molteplicitร  delle lingue umane. Nonostante la dogmatica adesione al canone biblico e ai fondamentali riferimenti platonici ed aristotelici, importanti contributi a questo studio verranno da una parte dalla dottrina esoterica del Giudaismo, la Qabbalah, dall’altra dall’opera di Dante Alighieri.

di Jari Padoan

Copertina: Giovanni Di Paolo, Rosa Celeste (La Divina Commedia, Paradiso, Canto LVII), circa 1400; Parte 2 di 2

(segue dalla parte 1)

La Qabbalah

I conti con lโ€™ebraico, comunque, lโ€™Occidente cristiano li avrebbe fatti in epoca umanistica e rinascimentale, e questo avverrร  grazie a ciรฒ che si verifica presso le comunitร  ebraiche europee dal pieno Medioevo in poi. รˆ proprio nei centri del Giudaismo del XII e XIII secolo (soprattutto nella comunitร  sefardita della Spagna arabizzata e in Provenza, ma anche in Renania e in Italia) che fiorisce e si diffonde la dottrina della Qabbalah (o Kabbalah), la corrente eterodossa del misticismo ebraico fondata su specifiche interpretazioni esegetiche e simboliche del testo della Torah, e sullโ€™idea stessa che la Creazione del mondo sia un fenomeno linguistico. Il termine stesso si ricollega allโ€™idea di qualcosa che viene trasmesso attraverso il linguaggio verbale, in quanto qabbalah, come sottolineano tra gli altri Renรฉ Guรฉnon e Gerschom Scholem, significa alla lettera ยซtradizioneยป, ยซconsegnaยป da parte di qualcuno a qualcun altro, e si riferisce specificamente al patrimonio sapienziale che sarebbe stato trasmesso oralmente da Dio a Mosรจ sul Sinai; o meglio ne costituirebbe la parte esoterica, mentre le Tavole della Legge ne rappresentano quella ufficiale e ortodossa.

Di certo la tradizione cabalistica, per come si manifesta nel Giudaismo medievale, denota chiare influenze delle dottrine neoplatoniche, ermetiche e gnostiche profondamente radicate nellโ€™area mediterranea e mediorientale nei primi secoli dellโ€™Era Volgare (e potrebbero rientrare nella questione anche influenze neopitagoriche, ma Renรฉ Guรฉnon ha evidenziato come nella tradizione cabalistica e in quella pitagorica, per quanto si basino entrambe su unโ€™importanza capitale attribuita alla scienza sacra del numero, questโ€™ultima viene presentata e indagata sotto forme radicalmente differenti e caratteristiche).

Paulus Ricius, Portae Lucis, 1516

Le sue prime manifestazioni si avrebbero comunque giร  nel II secolo negli insegnamenti di rabbi Simeon Bar Yochai, mentre piรน tardi, tra III e VII secolo, si hanno varie redazioni del Sepher Yetsirah, uno dei piรน antichi testi del corpus cabalistico, la cui importanza รจ paragonabile a quella dello Zohar, il celebre ยซLibro dello splendoreยป anchโ€™esso probabilmente scritto nei primi secoli, ma diffuso in Europa attorno al 1280. Gli studiosi principali della dottrina cabalistica medievale sono ricordati nelle figure di Moshe de Leรฒn, Eleazar Ben Yudah di Worms e Ezra Ben Salomon di Gerona, al quale viene perfino attribuita la codificazione della Qabbalah in senso stretto. Come molte dottrine tradizionali, la visione cabalistica รจ di una complessitร  e di una profonditร  abissali; si puรฒ dire che il cabalista studia la Torah come se fosse un apparato simbolico, che se debitamente interpretato puรฒ restituire uno schema, anzi infiniti schemi, delle infinite partizioni dellโ€™Essere. 

Lโ€™esegesi esoterica del testo sacro e autorevole mira ad individuare ยซsotto โ€˜l velame de li versi straniยป, attraverso la simbologia delle lettere del testo biblico, dei riferimenti alle cosiddette dieci Sephiroth. Queste, celebrate come le dieci ยซluci splendideยป, le dieci ยซemanazioniยป della Divinitร , possono quindi essere considerate o come manifestazioni del Divino attraverso il processo di emanazione dellโ€™Essere (in una visione per cosรฌ dire, con un termine inesatto e fuorviante, โ€œpanteisticaโ€ ma rigorosamente gerarchica, affine ad esempio a quella delle sfere celesti nelle dottrine neoplatoniche e gnostiche) oppure come degli attributi, degli aspetti interni e caratteristici di Dio medesimo. In entrambi i sensi, le Sephiroth costituiscono dei particolari โ€œgradiniโ€ metafisici del cosmo, attraverso i quali lโ€™anima umana puรฒ compiere il ritorno alla Divinitร . Questa ascesa mistica puรฒ avvenire previa una vasta serie di pratiche ascetiche e mistico-contemplative, correlate ad una faticosa comprensione della (pressochรฉ infinita) simbologia numerologica delle 22 lettere alfabetiche con le quali รจ composto il testo della Torah, che assieme alle dieci Sephiroth costituiscono quindi le cosiddette ยซ32 vieยป verso il Divino.

Un esempio semplice ed indicativo, che interessa la lettura numerologica cabalistica puรฒ essere quello della prima lettera della prima parola del testo ebraico del Genesi, ovvero ยซBereshitยป: la lettera Beth, seconda dellโ€™alfabeto ebraico, รจ posta in apertura del racconto delle Origini perchรฉ rappresenta il concetto di creazione e di dualismo: dualismo poichรฉ ogni minima parte del Creato รจ a sua volta tassello di una infinita pluralitร  (ritorna quindi il concetto di origine unica e perfetta, dalla quale puรฒ derivare tutto ciรฒ che รจ conseguente, ma anche molteplice ed imperfetto). Solo Dio รจ lโ€™assoluta unicitร , ed รจ per questo che la Beth apre la Torah: prima della Creazione, infinita pluralitร , puรฒ esserci solo lโ€™Unico e Assoluto, ciรฒ che รจ rappresentato dalla prima lettera, Aleph.

L’Adam Kadmon (Uomo Universale) iscritto nell’Albero Sephirothico

Lโ€™ebraico perduto di Abulafia

Oltre ai maestri sopra citati, tra i piรน grandi e influenti studiosi medievali della Qabbalah troviamo Abraham Ben Samuel Abulafia, attivo nella seconda metร  del XIII secolo a Barcellona. Abulafia segue una singolare linea di pensiero che si avvicina per certi aspetti tanto ai principi filosofici di Avicenna quanto a quelli di Averroรจ (Cordoba 1126-Marrakech 1198). Pur prendendo le distanze dallโ€™idea, comune a entrambi i grandi autori islamici, dellโ€™eternitร  del mondo (in totale contrasto con lโ€™idea di una creazione volontaria da parte di Dio, e quindi con i dettami della tradizione ebraica, cristiana e islamica) ritroviamo in Abulafia il concetto di Intelletto Attivo, cioรจ quello divino, distinto e superiore rispetto a qualsiasi altro Intelletto Passivo, o potenziale o materiale. Per lo studioso ebreo, la chiave di quellโ€™Intelletto Attivo e divino non puรฒ che essere la Torah: Abulafia infatti sottolinea come nella dottrina della Qabbalah la lingua (ebraica) non sia intesa come un mero significante che rappresenti un significato o referente: se Dio ha creato attraverso la manifestazione di voci linguistiche e segni alfabetici, tali elementi semiotici non sono semplici rappresentazioni, bensรฌ le forme su cui sono stati modellati gli elementi del mondo

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Per quanto, storicamente, lโ€™origine dellโ€™alfabeto ebraico va ricercata nellโ€™antichissimo alfabeto protocananita (diffuso nella regione del Sinai attorno al 1500 a.C.), il cui ramo fenicio, nel corso del primo millennio ante lโ€™Era Volgare, permise lo sviluppo tanto dellโ€™alfabeto greco che di quello aramaico, paleoebraico ed ebraico classico, per la Qabbalah e per uno studioso come Abulafia le lettere divine sono i mattoni dellโ€™Essere: con esse รจ scritta la Torah, e la Torah, in unโ€™ottica che appare la stessa del celeberrimo motto ermetico ยซcome in alto, cosรฌ in bassoยป, รจ uno schema del suddetto Essere. Da qui Abulafia, allontanandosi dalla concezione arbitraria e convenzionale del linguaggio tipicamente aristotelica (che condurrร , in ambito scolastico, alla corrente del cosiddetto nominalismo estremo di Roscellino e al nominalismo moderato di Enrico di Auxerre e di Guglielmo da Ockam, nonchรฉ ripresa dal grande filosofo e medico ebreo Mosรจ Maimonide) afferma che conoscere le leggi combinatorie delle lettere significa avere accesso alla chiave della formazione di ogni linguaggio.

Abraham Abulafia

Per la tradizione cabalistica, se le suddette leggi riguardano le lettere dellโ€™alfabeto, sono naturalmente leggi magiche e divinatorie: si tratta delle tecniche della ghematria, che assegna un valore numerico ad ogni lettera, della themura, basata sulla permutazione delle lettere che formano parole o frasi, e del notariqon, la tecnica degli acrostici sacri, del quale lโ€™esempio piรน celebre viene dal Cristianesimo primitivo ed รจ la nota sigla YCHTHIOS (Iesus Christos Theou Uios Soter). Ma, dato tuttโ€™altro che trascurabile, Abulafia lamenta anche il fatto che il suo popolo, nel corso dellโ€™esilio successivo alla seconda distruzione del Tempio (anno 70 dellโ€™era volgare), ha dimenticato e perduto quella lingua; e il cabalista รจ colui che studia e lavora per il ritrovamento del vero ebraico primigenio, ovvero della matrice di ogni lingua.

Particolarmente affascinante, per quanto tenda a rendere ulteriormente complessa la questione, รจ la teoria sostenuta da un discepolo della โ€œcerchiaโ€ di Abulafia. Questa asserirebbe che la prima lingua parlata da Adamo sarebbe stata tanto divina quanto umana, poichรฉ nata da un patto sancito tra il Signore e lโ€™uomo; il Progenitore avrebbe in seguito ideato una lingua naturale utilizzata tra lui, Eva e i propri figli. La confusione babelica, essendo di molto successiva, coinvolse questo idioma โ€œufficialeโ€ ed essoterico, per quanto antico; ma la ierolingua originaria di Adamo, in realtร , sarebbe stata custodita da uno solo dei suoi lontani discendenti, ovvero da Seth, enigmatica figura della stirpe noachita.

Non รจ dato sapere se Abraham Ben Samuel Abulafia riuscรฌ nella sua personale ricerca, quella di ricostruire la lingua divina con cui avvenne la Creazione, con la quale Dio parlรฒ con Adamo, che fu tramandata a Seth e che rimane perennemente muta e celata tra i segni della Torah. Ma รจ invece probabile che, attraverso la diffusione delle sue teorie presso gli ebrei italiani, e in particolare con certi intellettuali in contatto con lโ€™รฉlite culturale attiva allโ€™Universitร  di Bologna, le suddette teorie sarebbero state tenute in considerazione da un certo giovane poeta fiorentino.

Bronzino, Ritratto allegorico di Dante Alighieri

Dante

Dante Alighieri, che con ogni probabilitร  soggiornรฒ a Bologna alla fine degli anni Ottanta del Duecento frequentando piรน le scuole di retorica che quelle di diritto, in un periodo che va dal 1304 al 1307 รจ esule politico da Firenze, condannato al rogo in contumacia. In questi anni il Poeta attraversa il Nord Italia in continue peregrinazioni (a Brescia alla corte di Corrado da Palazzo, a Treviso presso i Da Camino, poi di nuovo a Bologna dallโ€™amico, anchโ€™egli esule, Cino da Pistoiaโ€ฆ), ed รจ in questo periodo che inizia la stesura dellโ€™opera che lo consacrerร  sommo poeta.

Proprio la Divina Commedia, nella sua incommensurabile varietร  e profonditร  culturale di opera universale per definizione, oltre ai palesi e arcinoti riferimenti agli illustri modelli omerici, virgiliani, ovidiani e quantโ€™altro, denoterebbe delle ispirazioni di matrice islamica (come sottolineรฒ Miguel Asรญn Palacios e soprattutto Renรฉ Guรฉnon nel suo Lโ€™รฉsotรฉrisme de Dante, 1925). Questo รจ stato sostenuto alla luce di certe similitudini, che avvicinerebbero il percorso oltremondano immaginato da Dante con quello che Muhammad avrebbe intrapreso nella cosiddetta Notte del Destino in cui ebbe la Rivelazione divina (ricordata nelle sure XVII e LIII del Corano); inoltre, le ricerche di Guรฉnon e, in tempi piรน recenti, di Maria Corti e Sandra Debenedetti Stow hanno evidenziato come emergerebbero, soprattutto nel Paradiso, riferimenti alla simbologia cabalistica. 

In questo periodo nella prima decade del Trecento, Dante si dedica alla scrittura di altri due lavori di importanza capitale: il De Vulgari Eloquentia e il Convivio. Se nel caso del Convivio siamo di fronte al primo trattato filosofico scritto in volgare fiorentino dopo secoli di latinoe greco (casi paragonabili si hanno soltanto con le opere in volgare catalano di Raimondo Lullo e con il Trรฉsor del celebre โ€œmaestroโ€ dello stesso Dante, Brunetto Latini), con il De Vulgari Eloquentia si ha il primo testo in cui il Medioevo cristiano affronta un progetto organico di ricerca di una lingua perfetta. Testo che si apre con la ovvia constatazione che allโ€™effettiva pluralitร  di lingue volgari parlate in Italia e in Europa si contrappone la nobile e autorevole fissitร  del latino, il modello indiscusso di grammatica universale e, nellโ€™ottica del tempo, artificiale (poichรฉ si credeva ideata e strutturata appositamente dai dotti romani). Il Dante poeta si esprime in fiorentino, la sua amata lingua madre; ma come pensatore nutrito di cultura latina e teologia scolastica (nonchรฉ uomo politico che vagheggia il ritorno di un Impero tradizionale e sovranazionale, si veda il Monarchia e il quarto trattato del Convivio) scrive naturalmente nella lingua della filosofia, della politica, della Chiesa e del diritto internazionale: ecco perchรฉ il D.V.E., apologo del volgare votato alla ricerca di una lingua ยซillustreยป sul solco del latino, รจ redatto proprio nel suddetto latino. 

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Dimostrando le eccezionali nozioni di linguistica comparata del suo autore, il D.V.E. espone come le varie lingue nate e sviluppatesi dalla confusione babelica si sarebbero moltiplicate ternariamente, seguendo dapprima una vasta diffusione in varie zone del mondo (conosciuto, che allโ€™epoca coincideva sostanzialmente con il Vecchio continente e lโ€™Africa settentrionale) per poi concentrarsi in unโ€™area approssimativa dellโ€™Europa occidentale che oggi si potrebbe definire romanza, distinguendosi in lingua dโ€™oc, dโ€™oรฏl e di sรฌ, tra le quali รจ chiaramente avvertibile un certo grado di parentela. Ed รจ in questo punto, analizzando lโ€™idea di un evidente legame genetico piรน o meno lontano tra varie lingue cosiddette storico-naturali (un dato giร  intuito e affrontato dagli autori del Genesi), che Dante si avvicina notevolmente alle teorie della moderna linguistica storica e in particolare al concetto di differenziazione in gruppi linguistici appartenenti alle medesime famiglie, a loro volta provenienti da quegli insiemi che rappresentano il grado piรน vasto di parentela linguistica, le cosiddette superfamiglie.

Allโ€™inizio del XX secolo, i linguisti Alfredo Trombetti e Holger Pedersen ipotizzarono lโ€™esistenza di una antichissima superfamiglia linguistica, detta ยซnostraticoยป, da cui sarebbero in seguito derivate famiglie linguistiche estremamente lontane tra loro come lโ€™indoeuropea, lโ€™afroasiatica e lโ€™altaica (e secondo alcuni, come Joseph Greenberg, avrebbero origine dal nostratico anche molte lingue della vasta famiglia amerinda). In base a queste teorie, le lingue nostratiche sarebbero state parlate in una vasta area del continente eurasiatico in unโ€™epoca compresa tra il 15000 e il 12000 avanti Cristo, verso la fine dellโ€™ultima glaciazione di Wรผrm. Le ricostruzioni della linguistica storica indicano questo periodo del Paleolitico inferiore come il momento โ€œbabelicoโ€ in cui una o piรน comunitร  di parlanti condividevano degli idiomi morfologicamente molto vicini tra loro, differenziatesi a livelli molto profondi nel corso dei vari millenni successivi (e relativi modelli di diffusione). 

Domenico Di Michelino, Dante, Duomo di Firenze

Entrando in merito alle questioni babelica e adamitica, e anzi prima ancora affrontando notevoli problemi di filosofia del linguaggio, il De Vulgari Eloquentia sottolinea (aristotelicamente) che la facoltร  di parlare รจ una caratteristica facoltร  umana (D.V.E., I, II, 2), intesa come capacitร  di estrinsecare pensieri e concetti dalla propria mente pronunciando parole. Una forma di comunicazione quindi differente da quella degli animali, dei demoni e degli angeli, argomenta Dante; e anche lui sostiene chiaramente, appellandosi alla tradizione esegetica dominante, che Adamo avrebbe parlato in ebraico. Una volta creato, lโ€™uomo non poteva che esprimersi con la parola El, ยซvel per modum interrogationis vel per modum responsionisยป (D.V.E., I, IV, 4), perchรฉ come dopo il peccato originale ogni uomo nasce piangendo per il dolore, il Protoplasto poteva soltanto manifestare la sua gioia, e la gioia piรน alta รจ in Dio, a cui egli si rivolse chiamandolo per nome.

Quel nome che Dante, che non risulta conoscesse lโ€™ebraico, avrebbe tratto ovviamente dai Vangeli (si ha infatti ยซEli lamma sabacthaniยป in Matteo XXVII, 46 e ยซEloi lamma sabacthaniยป in Marco XV, 34) nonchรฉ, con ogni probabilitร , dalle Etymologiae di Isidoro (VII, 1), che scrive, basandosi sullโ€™auctoritas di Girolamo: ยซPrimum apud haebreos dei nomen El dicitur, secundum nomen Eloi estยป. Ma poco oltre, in D.V.E. I, VI, 4, il Vate approfondisce la questione: indica con lโ€™espressione ยซforma locutionisยป quella tipologia di linguaggio che era stata concreata da Dio assieme alla prima anima umana. Quella forma locutionis originaria รจ quindi ciรฒ che oggi si definirebbe grammatica universale: quelle regole soggiacenti e indispensabili alla formazione di ogni lingua storico-naturale.

Temi come la grammatica universale e gli universali linguistici erano familiari alla filosofia del linguaggio in seno alla Scolastica, e se ne occuparono studiosi come il grande francescano inglese Ruggero Bacone e Boezio di Dacia. Boezio di Dacia, che avrebbe rappresentato una fonte importante per le riflessioni linguistiche che Dante espone nel De Vulgari, era un monaco danese autore del trattato De Modis e figura di spicco del cosiddetto averrosimo latino (o aristotelismo radicale, branca della tradizione aristotelica medievale piรน fedele allo studio letterale delle opere dello Stagirita e quindi ben poco conciliabile con la dottrina cristiana), che assieme al celebre Sigieri di Brabante, lโ€™averroista per definizione, venne condannato per eresia dal vescovo di Parigi nel 1277.

Proprio la figura di Sigieri, anzi la sua ยซluce etterna / che, leggendo nel vico degli strami / sillogizzรฒ invidiosi veriยป (Paradiso, X, 136-138) ci ricollega idealmente alla terza cantica della Commedia. In una scelta autoriale tra le piรน discusse in seno alla critica del pensiero dantesco, lโ€™Alighieri colloca infatti la figura del monaco e studioso nel quarto Cielo (e decisamente in buona compagnia: Re Salomone, Santโ€™Agostino, Santโ€™Alberto, San Tommaso, San Bonaventura, Isidoro di Siviglia, Riccardo e Ugo da San Vittore, Pietro Lombardoโ€ฆ), sede del Sole e degli spiriti sapienti, in cui il giudizio divino permette una concordia oppositorum di personalitร  cristiane lontanissime tra loro (ad esempio, il rivoluzionario francescano Gioacchino da Fiore, Sigieri di Brabante e i nomi citati pocโ€™anzi).

Il Paradiso รจ scritto da Dante qualche anno dopo il De Vulgari Eloquentia, del quale, nel celebre canto XXVI, riprende alcuni motivi topici. Nello svolgimento di questa operazione letteraria e meta-letteraria, il Poeta attua perรฒ una ritrattazione di non poco conto. Nel corso del grande viaggio, Dante รจ giunto allโ€™ottavo cielo, la sede delle Stelle Fisse a cui sono assegnati gli Spiriti Trionfanti. Dopo il severo esame sulle tre Virtรน Teologali a cui viene sottoposto da San Pietro, San Giacomo e San Giovanni, ecco il colloquio con lโ€™ยซanima primaยป, alla quale Dante rivolge quattro quesiti che Adamo ha giร  previsto (grazie alla miracolosa โ€œinterconnessioneโ€ tra le varie menti, umane e angeliche, che alle maggiori altitudini del Paradiso sono permesse dalla Potenza divina). Dette domande riguardano lโ€™effettiva essenza di Dio come Sommo Bene, la concordanza tra ragione e autoritร , la Creazione come atto dโ€™amore, e naturalmente la lingua edenica, ยซlโ€™idioma chโ€™usai e chโ€™io feiยป, nelle sue parole riportate al verso 114.

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Sir Joseph Noel Paton, Dante’s Dream

Oltre a leggere in questo verso unโ€™asserzione che ricorda le teorie di Abulafia e discepoli (la prima lingua di Adamo concreata da Dio con lโ€™uomo stesso, e utilizzata solo nella comunicazione tra loro; la seconda lingua come ideazione linguistica naturale di Adamo e condivisa dallโ€™umanitร  successiva), lโ€™anima del primo uomo testimonia che quella sola e unica lingua primordiale

fu tutta spenta / innanzi che allโ€™ovra inconsummabile / fosse la gente di Nembrรฒt attentaยป come Dante gli fa cantare nei versi 124-126. E piรน avanti: ยซPria chโ€™i scendessi allโ€™infernale ambascia / I sโ€™appellava in terra il somme bene / onde vien la letizia che mi fascia; / e El si chiamรฒ poi, e ciรฒ convene / che lโ€™uso deโ€™ mortali รจ come fronda / In ramo che sen va e altra vene. (vv. 133-138).

Ed ecco come Dante rettifichi la sua stessa affermazione emessa nel De Vulgari: la mutevolezza delle lingue umane avrebbe riguardato anche lโ€™antichissimo, primordiale idioma dellโ€™uomo, con cui Adamo si rivolgeva al suo Creatore chiamandolo con il suo primo nome, ยซIยป. Nessun commentatore della Commedia ha mai spiegato in modo convincente questa originale idea di Dante, che notoriamente, di polisemia dei testi se ne intendeva (basti pensare a Convivio II, 1 in cui troviamo lโ€™esposizione dei quattro sensi del testo letterario e del testo sacro, ossia litterale, allegorico, morale, anagogico). Palese sarebbe la deduzione che la lettera indichi per definizione lโ€™idea di assoluta unicitร , e si ricollegherebbe peraltro alle idee cabalistiche di Abulafia: lo studioso sottolineava come gli elementi atomici del testo sacro, ovvero le lettere, avrebbero significato, valore e potenza di per sรฉ stesse, al punto che ogni lettera del nome divino รจ giร  in sรฉ un nome divino. Tale sarebbe quindi la sola yod, la prima semiconsonante che apre il Tetragramma; traslitterando la yod come I si avrebbe quindi una possibile fonte del โ€œvoltafacciaโ€ dantesco sullโ€™analisi della questione, dal De Vulgari Elquentia alla Commedia

Oltre a ciรฒ, nel monologo di Adamo ritroviamo quindi: la lingua primigenia estinta prima di Babele, in cui forse si puรฒ leggere una ripresa dantesca delle teorie storiche e magico-linguistiche di Abulafia; il linguaggio verbale come attributo e disposizione naturale dellโ€™essere umano (ยซOpera natural รจ chโ€™uom favella / ma cosรฌ o cosรฌ natura lascia / poi fare a voi secondo che vโ€™abbellaยป, 130-132), come giร  ribadito nel De Vulgari Eloquentia e nel Convivio (II, 8); e la riflessione sul mutamento temporale e spontaneo delle lingue naturali che si sviluppano e mutano per iniziativa umana. Estremamente importante รจ la modalitร  con cui, nella narrazione, lโ€™autore giunge alla effettiva e diretta conoscenza della veritร  a proposito della lingua adamitica (nonchรฉ del primo nome di Dio), di cui si tratta al centro del canto: Dante affronta la questione dialogando con Adamo nel cielo delle Stelle Fisse, e lassรน il Poeta vi รจ giunto nel corso del viaggio che รจ stato chiamato a fare gratia dei. Dante, da cattolico medievale immerso nella Scolastica (e quindi anche nel platonismo) in questo modo afferma che lโ€™uomo puรฒ giungere alla Veritร  soltanto per ispirazione divina e non tramite la capacitร , meramente umana, della speculazione razionale.

รˆ quindi davvero notevole e affascinante come Dante, nella finzione poetica (di unโ€™opera che segna una vetta insuperabile della letteratura mondiale), si arroghi il privilegio di risolvere definitivamente, a colloquio in prima persona con lโ€™unico diretto interessato che puรฒ chiarire la questione cioรจ Adamo, uno dei piรน grandi misteri della storia umana: quello della lingua che originรฒ tutte le lingue umane, della parola prima di ogni parola.

William Blake, Dante

Bibliografia:

  • La sacra Bibbia, a cura della Conferenza Episcopale Italiana, C.E.I. , Roma 2001
  • AA.VV., Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti, Milano 1988 AA.VV. Enciclopedia delle religioni, Garzanti, Milano 1989
  • AA.VV., L’idea deforme. interpretazioni esoteriche di Dante, a cura di Maria Pia Pozzato, Bompiani, Milano 1989
  • Nicola Abbagnano, Giovanni Fornero, Protagonisti e testi della filosofia, volume A tomi 1-2, Paravia/Bruno Mondadori, Milano 2000
  • Sant’Agostino, La cittร  di Dio, a cura di Domenico Marafioti, Mondadori, Milano 2015
  • Dante Alighieri, Divina Commedia, a cura di Daniele Mattalia, Rizzoli, Milano 1960
  • Dante Alighieri, De Vulgari Eloquentia, a cura di Giorgio Inglese, Rizzoli, Milano 1998
  • Giandomenico Casalino, Il nome segreto di Roma. Metafisica della Romanitร , Edizioni Mediterranee, Roma 2003
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  • Sandra Debenedetti Stow, Dante e la mistica ebraica, Giuntina, Firenze 2004
  • Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta nella Cultura Europea, Laterza, Bari 1993
  • Renรฉ Guรฉnon, L’esoterismo di Dante, Adelphi, Milano 2001
  • Renรฉ Guรฉnon, Simboli della scienza sacra, Edizioni Mediterranee, Roma 1975
  • Isidoro di Siviglia, Etimologie o origini, a cura di Angelo Valastro Canale, Utet, Torino 2006
  • Marco Mancini, Il rifiuto della diversitร  linguistica, in Giuseppe Longobardi, a cura di, Le lingue del mondo. Le scienze quaderni n.108 del giugno 1999, Le scienze s.p.a., Milano 1999
  • Gabriele Mandel Khan, Alfabeto Ebraico, Mondadori-Electa, Milano 2012
  • Gianni Pilo, Sebastiano Fusco, Il simbolismo kabbalistico del Golem, in Gustav Meyrink, Il Golem e altri racconti, Newton & Compton, Roma 1994
  • Gershom Scholem, La Kabbalah e il suo simbolismo, Torino, Einaudi 1980

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