Le onde del destino: i racconti dei Mari del Nord di Jonas Lie

Grazie alla Dagon Press, sono finalmente disponibili in lingua italiana i racconti perturbanti “Weird Tales from the Northern Seas” (1893) dello scrittore norvegese Jonas Lie, interamente ispirati al folklore nordico: storie incentrate sull’incontro con entità “altre” quali il draug e la sposa sovrannaturale, oltre che sul mare come simbolo del mistero e delle forze invincibili della natura.


di Marco Maculotti
copertina: Theodor Kittelsen, “Nøkken”, 1904

« …quando io suono i cancelli sotto le alte montagne si spalancano e attraverso di essi c’è la strada per i poteri innominabili della natura. » [1]

In un’intervista del 2004 Thomas Ligotti mise in relazione, richiamandosi alle teorie dello storico delle religioni tedesco Rudolf Otto, l’esperienza sacra e la narrativa dell’orrore, sottolineando il modo in cui il perturbante letterario può talvolta sfociare in una vera e propria esperienza spirituale per il lettore che sappia immergervi [2]:

« Nel suo libro “Il sacro”, Rudolf Otto asserisce che i racconti dell’orrore offrono una specie di esperienza spirituale a bassa intensità, la traccia pallida e primitiva di un incontro in piena regola con il divino in quanto forza terrificante e immateriale. »

Non è un caso, dunque, se tanto spesso le credenze religiose si tramandino di generazione in generazione per mezzo di storie terrificanti, raccontate nelle notti d’inverno intorno al focolare, contemplanti l’esistenza di creature altre dall’essere umano, che proprio nell’incontro con queste sperimenta quel mysterium tremendum di cui parlava Otto nel suo celebre saggio menzionato da Ligotti: fate e fairies, entità ibride e parzialmente zoomorfe e revenant.

Da sempre il folklore delle culture di tutto il mondo abbonda di entità di tale schietta, in agguato negli angoli buî del mondo e della coscienza umana, sempre pronte a trascinare le proprie vittime in quelle dimensioni ulteriori e “sottili” in cui non valgono le leggi della fisica né, il più delle volte, i valori che l’umanità considera proprî.

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Con riguardo a quanto detto, ben pochi corpora folklorici reggono il confronto con quello scandinavo, che di creature perturbanti pullula letteralmente, come dimostra splendidamente la raccolta di Racconti macabri dei Mari del Nord di Jonas Lie, recentemente ripescati dalla Dagon Press di Pietro Guarriello — a cui va il nostro più sentito plauso — e pubblicati per la prima volta in traduzione italiana (di Bernardo Cicchetti) con le illustrazioni originali di Laurence Housman.

Originariamente uscito nel 1893, Weird Tales from the Northern Seas è la seconda opera pubblicata in Italia dello scrittore norvegese — tra i grandi esponenti della narrativa del suo paese insieme a Hamsun, Ibsen, Bjornson e Vinje — dopo il romanzo Il Veggente (Den Fremsynte), edito da Serra e Riva nel 1981. Anche in questo caso a farla da padrone è, come scrive Cicchetti nella breve postfazione [3], «la presenza “naturale” di fantasmi e creature malefiche», che «rinviano direttamente al piccolo popolo di Machen e alle leggende nordiche», nonché «il mare come simbolo del mistero e delle forze invincibili della natura», tema che in seguito sarà caro anche a William H. Hodgson e a H.P. Lovecraft.

Essendo racconti ispirati alla tradizione folklorica norvegese, si noterà come il Weird (cioè il perturbante) in cui incappano i protagonisti sia il più delle volte legato a doppio filo — anche semanticamente — al Wyrd [4], che nella tradizione nordica equivale all’ordito della vita, il fato o destino che spetta ad ognuno secondo un disegno imperscrutabile che solo raramente può essere “slegato” per tornare a una condizione di normalità: sovente la sospensione delle leggi naturali e l’incontro con le entità terrifiche avvengono in seguito a qualche “pecca” di cui il protagonista di turno si macchia, ignorando volutamente e colpevolmente le prescrizioni della tradizione popolare.

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H.P. Hansen, ritratto di Jonas Lie

È il caso, per esempio, del racconto che apre questa raccolta, Il pescatore e il draug, in cui il malcapitato Elias infilza con una lunga punta uncinata una foca, realizzando solo in seguito come essa fosse solo il “travestimento” più classico per un draug, vale a dire il “non-morto” della mitologia norrena, che nei racconti “neri” di Lie, similmente ai tritoni della tradizione ellenica, dimora con i suoi simili nelle profondità marine e talvolta si aggira sui bianchi flutti su una barca fantasma, mostrandosi alle sue vittime finché non riesca ad ottenere l’agognata vendetta.

È, questa, una figura mitica che ha un perfetto corrispettivo nel suo omologo dei Mari del Sud, cioè del Pacifico: come rilevò, tra gli altri, Robert L. Stevenson nei suoi spacci di viaggio [5], allo stesso modo del draug scandinavo, si ritiene che questa entità navighi sempre dando le spalle ai pescatori in cui si imbatte, per evitare che questi ultimi, vedendolo in volto, realizzino la sua natura altra e avulsa dal mondo dei vivi. Il draug si presenta invero come il reale protagonista di questa raccolta di racconti di Lie, comparendo in svariati episodi, come Tiro alla fune o Isak e il parroco di Brönö, dove si lascia intendere il fatto che a diventare draug sono immancabilmente i morti in mare, privati della pia sepoltura nella terra natia — particolare poi confermato anche in Sangue finnico.

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Theodor Kittelsen, “Draugen”, 1895

Il confine tra il draug e altre creature mitiche del folklore oceanico norvegese, d’altra parte, è spesso molto labile: ne L’hulder-pesce, il protagonista Nona viene trascinato, mentre sta navigando su un lago del quale si diceva avesse un «doppio fondo» — un tema classico anche della tradizione popolare celtica —, in un maelstrøm infernale, fino a scivolare «in una specie di crepuscolo lungo un fiume sotterraneo», dove avvista giganteschi serpenti marini come il lindorm e il ligorm, «orribili mostri informi, con criniera in fiamme» e sciami di «creature umanoidi» simili a quelle che «gli abitanti di terraferma vedono davanti ai tumuli degli elfi» [6], per poi ritornare miracolosamente, terminata la perturbante sciarada infera, in superficie, a riveder le stelle.

O, ancora, nel già citato Sangue finnico un ragazzo di nome Eilert, per aver sfregato le reti da pesca con la polvere dei morti e per aver sparato a un edredone (una specie di uccello marino), viene trascinato nel mondo subacqueo da una coetanea finnica con cui era solito giocare da bambino, e che aveva poi offeso e allontanato dopo essere cresciuto, dando credito alle dicerie sul «sangue maledetto» dei finnici e sui presunti rapporti di questi ultimi con la stregoneria:

« Oh, migliaia di volte abbiam giocato sulla riva,
E catturato piccoli pesci — più non lo ricordi?
Abbiam corso con la risacca che ai nostri piedi rotolava,
E il vecchio tritone in agguato abbiam sempre gabbato.

Sì, molto alla mia ninna nanna penserai
Mentre i flutti ondeggiano e sospirano le brezze.
Chi siede adesso e sulle tue guance piange? È lei
Che la sua anima ti ha dato e che ha vissuto in te.

Ma una volta, come edredone, qui venni
Sotto una roccia giacevi, e col fucile hai mirato;
Mi colpisti nel petto; ed ora il sangue vedi
È il tuo marchio che porto, oh! mio amato. » [7]

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Ilya Repin, “Sadko”, 1876

In questo racconto le entità subacque appartenenti al “mondo di sotto” non sono altro che gli antichi abitanti finnici della regione, passati a condurre un’esistenza sottile al di sotto del mare dopo aver lasciato il dominio sul proprio antico territorio agli scandinavi di ceppo indoeuropeo. Tra tutti, spiccano soprattutto gli arcaici sovrani, in perfetta coerenza con gli antichi mitologhemi che tramandano il passaggio degli antichi re, dopo aver perso la signoria sul proprio regno, a una dimensione occulta, sotterranea (o, in questo caso, subacquea) e “sottile”, donde in futuro ritorneranno per impossessarsi nuovamente delle terre che gli spettano. Si pensi per esempio ad Artù, «Rex Quondam Rexque Futurus», a Federico Barbarossa, o ancora, con riguardo al mondo subacqueo e passando all’alveo della narrativa fantastica, al Cthulhu lovecraftiano:

« Ora Eilert percepiva di trovarsi sott’acqua, ma, nonostante tutto, non c’era alcuna traccia di umidità. Era su un fondo di sabbia bianca, coperto di conchiglie bianche, rosse, blu e argentee. Vide prati di alghe, montagne coperte di boschi di alghe cespugliose e relitti, e i pesci sfrecciavano da ogni parte proprio come i volatili che volteggiano tra gli scogli infestati dagli uccelli marini. […]
Vicino ai relitti vagavano forme umane che sembravano costituite da nient’altro che fumo blu. La sua guida gli spiegò che questi erano gli spiriti degli uomini annegati che non avevano avuto sepoltura cristiana […].
Poi proseguirono oltre, lungo una valle profonda e oscura. Nelle pareti rocciose sopra di lui vide una fila di porte bianche quadrangolari, da cui una sorta di bagliore, come di aurora boreale, si propagava nell’oscurità […] e dietro le porte bianche dimoravano i vecchi re finnici che erano morti in mare. Poi andò ad aprire la più vicina di queste porte: qui, in fondo all’oceano salato, c’era l’ultimo dei re, che era naufragato nella tempesta che lui stesso aveva evocato, ma poi non era riuscito a sedare. » [8]

Ritornando alla superstizione concernente il «marchio infamante» dei Finni, vi è da notare come anche storicamente essi da sempre siano stati considerati dai successivi coloni Norreni come una stirpe dannata, in commercio con demoni e creature ultraterrene in virtù delle pratiche sciamaniche da loro mai abbandonate, nemmeno in epoca cristiana. Questa tematica ritorna anche in altri racconti di Jonas Lie, come il più lungo di questa raccolta, Jo di Sjöholm e il gan, laddove gan è la denominazione affibbiata nella tradizione norvegese a stregoni e maghi malefici:

« Poi prese una pozione del sonno e cominciò a danzare e a girare e rigirare fin quasi a perdere il fiato, e crollò a terra con un gemito. Tutto ciò che rimase di lui furono le sue pellicce. Il suo spirito se n’era andato… dritto fino a Jokmok.
I maghi erano seduti tutti insieme nella fitta nebbia marina sotto il riparo dell’alta montagna, e bisbigliavano ogni sorta di cose segrete e occulte, e instillavano entusiasmo nei novizi delle arti oscure. » [9]

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Theodor Kittelsen, “Huldra”, 1892

La figura della ragazza finnica nei racconti di Lie è spesso ambigua, poiché al tempo stesso spaventa e seduce il protagonista di turno con la sua bellezza quasi ultraterrena, che si allontana dai canoni classici fino al punto di instillare al tempo stesso desiderio e terrore con il suo solo profondissimo sguardo; e lo stesso capita con altre fanciulle, che sebbene inizialmente possano sembrare umane si rivelano in ultima analisi entità dell’altro mondo. È il caso, per esempio, de I cormorani di Andvaer, uno dei racconti meglio riusciti qui contenuti:

« “Il giorno di Mezza Estate è magnifico,” disse lei, “e io sono giovane e tu sei il mio sposo, e ora andremo sul nostro letto nuziale.”
E lei era così bella che egli non riusciva a contenere l’amore che provava. Ma quando la notte si avvicinò e il sole iniziò a danzare nel mare, lei lo baciò e pianse.
“Magnifico è il giorno d’estate,” disse, “e ancora più bella è la sera d’estate, ma ora arriva il tramonto.”
E all’improvviso gli sembrò come se lei stesse diventando sempre più vecchia, e cominciasse a svanire.
Quando il sole scese sotto l’orlo del mare, davanti a lui c’era un mucchio di stoffa e null’altro.
Il mare era calmo, e nella limpida notte di Mezza Estate volarono dodici cormorani sul mare. » [10]

E, ancora, a questo riguardo possiamo menzionare La tenuta a ovest delle montagne blu, dove il figlio di un contadino, per il desiderio di conquistare le fanciulle delle vallate nascoste suonando il suo tamburo, si ritrova prigioniero di quattro giovani ragazze e del loro vecchio padre, in un mondo segreto dove tutto quanto «è solo lucentezza e seduzione» [11]:

« “A casa mia,” disse lei, “tu ascolterai un Langeljk come nessuno l’ha mai ascoltato. Io suonerò per te e ascolterai cose sconosciute agli altri. Sentirai tutto ciò che canta, e ride e grida nelle radici degli alberi, nelle montagne e in tutte le cose che crescono, cosicché nient’altro al mondo ti tormenterà.” » [12]

Ma è anche il caso di La terra attira, un’altra delle perle di questa raccolta, che vede il giovane commesso di un negozio sedotto e attirato, ogni vigilia di Yule, da un’entità ultraterrena al tempo stesso mostruosa e attraente che dimora con i suoi simili all’interno di una parete rocciosa a precipizio sul mare.

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Theodor Kittelsen, “Sjøtroll”, 1887

Infine, altri due racconti — Lo gnomo del vento e Sono io — riguardano un’altra sinistra creatura del folklore scandinavo, l’orchessa o la gigantessa, figlia o moglie di uno degli gnomi così ben conosciuti da tutte le tradizioni popolari dell’intera Europa, soprattutto nordica e germanica.

Anche in questo caso l’operato dell’entità è duplice, in bilico tra buona sorte e abbondanza da una parte e illusione e dannazione dall’altra: il protagonista del primo dei due racconti, dopo aver accumulato una ricchezza senza pari, lascia la vita terrena virando con la sua nave «dritto nel sole» [13], similmente al Jo del racconto già citato in precedenza: dopo essere fuggito con la sua amata fanciulla finnica di nome Seimke, il narratore ci dice che

« continuarono a navigare fino al calar della notte; continuarono a navigare finché non videro più promontori, né isole, né uccelli marini, né scogli » [14]

lasciando intendere al lettore che, dopo aver abbandonato il nostro mondo, accederanno misteriosamente a una dimensione altra, non più definibile secondo le forme e i concetti su cui si basa l’esistenza nel nostro mondo materiale.

E tuttavia, in questo specifico caso, a differenza della maggioranza degli altri episodi contenuti nelle Weird Tales from the Northern Seas, l’abbandono della vita terrena e del mondo comunemente detto non appare alla stregua di una maledizione: l’accesso all’altro mondo, al contrario — similmente a quanto accade ne La collina dei sogni di Arthur Machen —, consente in questo caso al protagonista di liberarsi una volta per tutte dai vincoli materiali dell’esistenza terrena e delle sue ristrettezze, per spiccare alfine il volo verso l’onirico regno fatato che giace dall’altra parte del cielo — o meglio, in questo caso, dall’altra parte dell’oceano.

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Jonas Lie (1833 – 1908)

Note:

[1] J. Lie, Racconti macabri dei Mari del Nord, Dagon Press, Teramo 2020, p. 160

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[2] T. Ligotti, Nato nella paura, il Saggiatore, Milano 2019, p. 115

[3] B. Cicchetti, postfazione a J. Lie, op. cit., pp. 185-186

[4] N. Pennick, Pagan Magic of the Northern Tradition, Destiny Books, Rochester 2015, pp. 11-12

[5] R.L. Stevenson, Nei Mari del Sud, Tarka, Mulazzo 2015, p. 198

[6] J. Lie, op. cit., pp. 119-122

[7] Ivi, pp. 143-144

[8] Ivi, pp. 136-137

[9] Ivi, p. 35

[10] Ivi, p. 89

[11] Ivi, p. 162

[12] Ivi, p. 154

[13] Ivi, p. 115

[14] Ivi, p. 58


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