Il dio degli incroci: nessun luogo Γ¨ senza genio

Β«Il dio dei luoghi Γ¨ il riconoscimento che attraverso il carattere invisibile del luogo si possa accedere a contenuti piΓΉ ampi. Che il dio del luogo, cioΓ¨, sia in grado di metterci in relazione con un piano piΓΉ profondo della realtΓ  e della psiche che trascende il singolo sito o individuoΒ». Torniamo a parlare del saggio di Stefano Cascavilla “Il dio degli incroci”, recentemente uscito per Exorma, e giΓ  presentato a giugno sul nostro canale YouTube.

di Marco Maculotti

Copertina: Carl Wilhelm Kolbe, Sacrifice au Dieu Pan, 1811 

Qualche settimana fa abbiamo avuto il piacere di avere ospite sul nostro canale YouTube Stefano Cascavilla, autore del saggio recentemente pubblicato da Exorma Editrice Il dio degli incroci: nessun luogo Γ¨ senza genio. Nell’arco di poco meno di novanta minuti abbiamo avuto modo di esporre le principali tematiche dell’opera, in primo luogo la concezione diffusa della “divinitΓ ” del luogo nelle culture tradizionali e il sua progressiva abiura da parte dell’uomo moderno, soprattutto occidentale. In questa sede sottolineeremo altri spunti di riflessione appuntati da Cascavilla, su cui puntualmente ci ritroviamo in perfetto accordo.

Lo sterminato numero di divinitΓ  protettrici degli incroci di cui si fa menzione dei primi capitoli dell’opera — vale a dire la ricerca iniziale che ha dato il “la” a questo saggio, che nondimeno poi in fase di scrittura si Γ¨ allargato sensibilmente fino ad includere argomenti connessi quali, ad es., la sacralizzazione dei luoghi tramite il rituale e un vastissimo novero di divinitΓ  tutelari di luoghi, naturali come domestici — Γ¨ per l’autore la conferma di una veritΓ  che egli avvertiva irrazionalmente, eppure in maniera definita, ancora prima di dare inizio alla sua “cerca”: vale a dire che per per millenni il Genius Loci Γ¨ stato per l’umanitΓ  una realtΓ  assoluta, quanto il fatto che l’erba dei campi in primavera Γ¨ verde.

Hermes, Hecate, Giano, Eshu, Legba, i Djinn e il boemo Jan Nepomucky sono solo i primi numi riportati dall’autore. Ne seguiranno, come giΓ  anticipato, decine e decine dispersi tra i vari capitoli dell’opera: divinitΓ  degli incroci, delle alture, delle grotte, delle fonti, dei boschi, dei fiumi, del focolare domestico, e via dicendo. Servio Mario Onorato, nei suo Commenti all’Eneide di Virgilio pubblicati nel IV secolo d.C., scrisse che Nullus locus sine genio est! (Β«Nessun luogo Γ¨ senza un GenioΒ»): Cascavilla dopo 16 secoli di cristianesimo, secolarizzazione, illuminismo e razionalismo giunge alla stessa conclusione, prima con l’intuizione e solo in seguito con lo studio del folklore e delle credenze dei popoli precristiani:

Β«Vocatus atque non vocatus, Deus aderitΒ» diceva l’oracolo di Delfi: il dio β€” anche quello degli incroci β€” sarΓ  presente in ogni caso, chiamato o no, che tu lo riconosca o meno.

[p. 20]

Da qui prende spunto una riflessione basata sulla differenza ontologica tra la forma mentis dell’uomo tradizionale e quella dell’uomo moderno nei confronti della natura e piΓΉ in generale dello spazio inteso in senso sacrale, come potenziale luogo di incontro tra l’individuo che sappia “mettersi in ascolto” e intelligenze piΓΉ sottili e sfuggevoli, spesso connaturate a un tipo specifico di luogo se non addirittura a un posto preciso e definito dalla tradizione. L’uomo tradizionale, scrive Cascavilla, «è consapevole che accanto a sΓ© vive un’alteritΓ  che all’uomo non Γ¨ dato vedere con gli occhi ma che Γ¨ vera e reale come i suoi figli o la sua casaΒ» [p. 35]. E ancora:

Riconoscere il genio del luogo vuol dire riconoscere il limite della condizione umana davanti alla sua qualitΓ  divina; la provvisorietΓ  dei propositi umani di fronte alle forze invisibili che vi aleggiano intorno.

[p. 17]

Francisco Goya, Sacrificio a Pan, 1771

Va da sΓ©, seguendo questo ragionamento, che la perdizione animica dell’uomo moderno deriva da una parte dall’esserci progressivamente distaccati, in quanto UmanitΓ , da quello che i nativi nordamericani definiscono “il Sacro Cerchio del Cosmo”, l’ordine costituito, visibile e invisibile, che regge i ritmi temporali e le suddivisioni spaziali non solo della natura in senso geologico ma dell’intera manifestazione cosmica, dalle galassie e le supernove al piΓΉ piccolo granello di sabbia; dall’altra — “pecca rituale” strettamente connessa alla prima — di aver posto noi soli, sempre in quanto UmanitΓ , al centro e all’apice della nuova visione del mondo, secolarizzata e al passo con i tempi e le conquiste della scienza e della tecnologia, disconoscendo le potenze trascendentali che sono state alla base della nostra visione del mondo per millenni e, insieme ad esse, la concezione panteistica della divinitΓ  che forse solo i Romantici negli ultimi secoli hanno saputo in minima parte recuperare. Β«La cittΓ  contemporanea si Γ¨ finalmente liberata dalla schiavitΓΉ del centro, dalla camicia di forza dell’identitΓ Β», chiosa Cascavilla citando Koolhaas [p. 76].

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Ma, sottolinea, Β«l’uomo Γ¨ un problema complesso, per vivere in equilibrio non gli Γ¨ sufficiente un’aspirina o le luci della cittΓ , per quanto sfavillanti possano essere. Continuano a servirgli anche le stelle, il silenzio, gli dΓ¨i, il Cosmo. Gli occorre, in definitiva, un β€˜senso’Β» [p. 30]. E aggiunge: Β«Il luogo Γ¨ ciΓ² che sta intorno a noi, in equilibrio tra gli abissi dell’infinitesimo (la terra) e dell’incommensurabile (il cielo). La misura umana Γ¨ la misura di questo equilibrioΒ» [p. 65]. In questo senso il mondo moderno (e ancora di piΓΉ quello post-moderno) appare all’autore alla stregua di una “crociata contro-iniziatica”, piΓΉ o meno consapevole, contro il genio del luogo, e noi non possiamo che essere pienamente d’accordo con lui. Persino l’analisi della moderna urbanistica, soprattutto se confrontata con antiche discipline geomantiche quale ad es. quella cinese del feng shui, ci conduce alla medesima conclusione: le metropoli odierne, come giΓ  avevano compreso tra gli altri H.P. Lovecraft e Tiziano Sclavi, legittimamente assurgono a novelli inferni 2.0.

Edgar Ende, Genius Loci, 1936

Va da sΓ© allora, partendo dall’assioma che Β«la discriminante tra tradizionale e moderno Γ¨ la relazione psichica che l’uomo intesse tra la propria coscienza e il CosmoΒ», che per uscire dall’impasse della modernitΓ  e del “non-senso” non si debba far altro che tentare di Β«recuperare l’uomo tradizionale dentro di noi, nascosto sotto la fragile patina moderna e tornare a vedere ciΓ² che i nostri occhi si rifiutano di vedereΒ» [pp. 26-27]. Un tentativo che l’autore ha provato e prova tuttora a mettere in atto in prima persona, ripercorrendo a piedi i millenari sentieri sacri europei sulle orme del Genius Loci, sperando di poter udire una volta di piΓΉ la sua ineffabile voce, nel fruscio delle foglie o nello scorrere di un ruscello.

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Un’esperienza che Cascavilla definisce, richiamandosi a una terminologia collaudata, partecipation mystique: Β«in tale condizione l’Io non ha confini precisi ma si fonde con la Natura circostante. La psiche non Γ¨ solo nel soggetto: Γ¨ diffusa nella foresta, nel tuono, nelle montagne. La distinzione tra sfera psichica e fisica Γ¨ labile e sfumataΒ» [p. 28]. Risuona quanto affermato da James Hillman — autore non a caso citato in questa opera — in relazione al senso profondo del giardino giapponese: colui che vi cammina, sosteneva, Γ¨ come se passeggiasse nella sua stessa anima: Β«In quel giardino, io ero nella psicheΒ». Da cui la realizzazione che l’Anima, lungi dall’essere limitata dalle barriere fisiche e psichiche della nostra sedicente individualitΓ , giace tutt’intorno a noi esperienti, come un oceano invisibile che ci circonda e nel quale possiamo passeggiare sul far della sera.

L’anima non Γ¨ una sostanza semplice e omogenea: essa Γ¨ un composto e consiste di molti strati. Al di sopra degli strati di cui l’individuo Γ¨ consapevole, esiste uno strato ulteriore, la β€œvera anima”, che Γ¨ incommensurabilmente superiore all’anima quale noi la conosciamo.

[cit. Plutarco, p. 147]

Cascavilla trova difficoltΓ  a tradurre questa esperienza con un termine italiano, e quindi dopo uno francese eccone uno tedesca che possa aiutare il lettore a comprendere meglio sotto quale luce intendere, in un’ottica valida ancora oggi, il genio del luogo: Stimmung, vale a dire Β«lo stato d’animo, l’umore, la voce del luogo che parla e si presentaΒ» [p. 60].

È quindi al tempo stesso una potenza connaturata al luogo stesso, e che tuttavia non Γ¨ meramente contenuta in esso, in quanto Β«non sono le singole caratteristiche a fare l’essenza di un luogo, bensΓ¬ qualcosa di diverso, di immateriale, di unitario che non si ottiene dalla somma delle parti ma dal percepirle tutte insieme, come totalitΓ Β» [p. 59]. Ma, contemporaneamente, questa potenza invisibile Γ¨ solita manifestarsi alla coscienza umana di punto in bianco, in un istante ben definito, quell’istante preciso e non un altro precedente o successivo: Β«Il luogo si manifesta in un dettaglio […] un punto diverso, una discontinuitΓ . Tu stesso che sei lΓ¬, lo capisci solo all’improvviso, come per un dono, all’apparire inatteso di quel β€˜qualcosa’» [p. 62]

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Ricordate Picnic a Hanging Rock, romanzo di Joan Lindsay da cui Peter Weir trasse il suo film-capolavoro? Β«C’è un tempo e un luogo giusto perchΓ© qualsiasi cosa abbia principio e fineΒ», dice a un certo punto la protagonista Miranda in tono “misterico”, per non dire “iniziatico”. Di questo abbiamo parlato vastamente nella dovuta sede e vi indirizziamo chiunque sia interessato ad approfondire: qui la citazione era doverosa perchΓ© questa intuizione di Cascavilla, come tante altre in questo testo, ci sembra perfettamente coerente non solo con i dati tradizionali, ma persino con certi prodotti “superiori” di arte moderna come il predetto film di Weir, quasi ad avvalorare la possibilitΓ  dell’apprendimento di una conoscenza sacra mediante la sola ispirazione artistica (fenomeno peraltro ben conosciuto e assai diffuso nell’intero alveo della concezione tradizionale di arte, sebbene ovviamente con le dovute differenze).

Il dio dei luoghi […] Γ¨ il riconoscimento che attraverso il carattere invisibile del luogo si possa accedere a contenuti piΓΉ ampi. Che il dio del luogo, cioΓ¨, sia in grado di metterci in relazione con un piano piΓΉ profondo della realtΓ  e della psiche che trascende il singolo sito o individuo.

[p. 117]

Francisco Goya, Sacrificio a Vesta, 1771

[…] lo spazio sacralizzato non Γ¨ semplicemente diverso dallo spazio profano: esso ha, per chi lo riconosce, una qualitΓ  ontologicamente superiore che lo pone su un altro livello rispetto a quello del mondo materiale. È un gancio, un varco, un contatto con un nuovo piano della realtΓ . Un piano percepito come di gran lunga piΓΉ importante di quello visibile, perchΓ© Γ¨ l’unico in grado di dare senso.

[p. 73]

Gli studi di Mircea Eliade, comprensibilmente, hanno largamente condotto Cascavilla nell’analisi del rapporto millenario che l’essere umano, sia come comunitΓ  che come individuo, ha intrecciato durante l’intera storia con il genio del luogo: importantissime soprattutto le nozioni di “spazio sacro” e “diversificato” (speculari a quelle riguardanti il tempo nell’opera eliadiana, in opposizione allo spazio/tempo profano, non adatto ai riti e alle esperienze sacre), e quella di “Centro”.

Se l’uomo tradizionale per millenni ha trovato il proprio centro piΓΉ profondo solo e unicamente “connettendosi” con lo spirito del luogo, quello moderno si Γ¨ eretto lui stesso, e per di piΓΉ nei suoi aspetti piΓΉ sterili e grossolani, al centro del proprio piedistallo, declassando il luogo (e con esso il genio che lo abita) a mero panorama da cartolina, buono da guardare — potremmo dire parafrasando LΓ©vi-Strauss — ma non altrettanto buono per relazionarsi con esso con la maturitΓ , ormai perduta, che aveva l’uomo quando era giovane.

2 commenti su “Il dio degli incroci: nessun luogo Γ¨ senza genio

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