La vastità e la complessità del pensiero nietzschiano trovano una felice sintesi nei simboli evocativi dell’arciere, dell’arco e della freccia; metafore che il filosofo utilizza spesso nei suoi principali scritti, tanto che nel Prologo dello “Zarathustra”, uno dei suoi primi ammonimenti è: «Guai! Si avvicinano i tempi in cui l’uomo non scaglierà più la freccia anelante al di là dell’uomo, e la corda del suo arco avrà disimparato a vibrare».
«Nessun altro libro di Nietzsche ha alle spalle una preparazione così lunga e faticosa»: così Giorgio Colli introduce il testo più mistico e tormentoso del filosofo tedesco, della cui morte oggi ricorre il 121esimo anniversario.
Lorena Bianconi è l’autrice del volumetto “Alle origini della festa bolognese della Porchetta” (Clueb, 2005), ricorrenza celebrativa del 24 agosto che caratterizzò le estati bolognesi per almeno 500 anni. L’autrice mette in discussione le supposte origini medievali della festa e attraverso una lettura antropologica della sua ritualità, la comparazione con antichi culti precristiani e analizzando l’uso rituale del maiale nel mondo antico, giunge alla conclusione che potrebbe trattarsi del relitto di antiche ritualità precristiane connesse al cambio stagionale.
Per quanto ne dicano alcuni “critici della domenica”, al presunto odio razziale Lovecraft sempre antepose l’orrore visceralmente provato in prima persona nei confronti dell’avvento del mondo moderno, l’impero delle macchine e della spersonalizzazione totale, in cui ogni individuo e le sue visioni più alte sono fagocitate e inserite in un quadro cosmico di tragedia universale, priva di alcuno sbocco superiore. E New York fu, ovviamente, innalzata a immagine della Nuova Babele, che fagocita le antiche tradizioni e le differenziazioni umane in un continuo, abietto rituale di spersonalizzazione, standardizzazione e disumanizzazione collettiva.
La polemica sollevata agli Hugo Awards2020 sul lascito letterario e “ideologico” di H.P. Lovecraft ha riaperto la questione, esplosa ai World Fantasy Awards2011, del presunto razzismo del Sognatore di Providence, che ne farebbe per alcuni un autore problematico. Ma quanto hanno influito davvero le convinzioni “razzialiste” di HPL sulla genesi della sua opera, e in particolar modo sulla stesura di The Horror at Red Hook, il suo racconto più controverso, manifesto della repulsione provata nei confronti della città di New York?
Per l’anniversario dei 45 anni dall’uscita nelle sale del film-cult “La casa dalle finestre che ridono” (16 agosto 1976), riproponiamo anche questa intervista rilasciata da Pupi Avati ad Andrea Scarabelli nell’ottobre 2019, in occasione dell’uscita de “Il signor Diavolo”.
Esattamente 45 anni fa, il 16 agosto del 1976, usciva nelle sale italiane “La casa dalle finestre che ridono”, il cult-movie di Pupi Avati ascrivibile al cosiddetto filone del «Gotico Padano». Nel film sono confluiti l’elemento perturbante della cultura contadina in cui il regista emiliano è cresciuto e suggestioni nere più esotiche, dalle macumbas caraibiche all’autosacrificio condiviso dal mistico e dal folle.
Il weekend prossimo, sabato 21 e domenica 22 agosto, si svolgerà nel Borgo di Montefiore Conca (in provincia di Rimini) il festival “Magicaluna: Arte e Magia nel Borgo”. Domenica sera alle 20:30 interverremo in qualità di relatori con il seminario “Il culto dei fairies nei paesi celtici: una escatologia di morte e rinascita”, basato sul saggio pubblicato qualche mese fa sul numero annuale di “Arthos”.