Emergente da ogni angolo del globo, il mitologhema del riso divino nasconde un segreto ancestrale e terribile. Perchรฉ bisogna far ridere gli dei crucciati? Da Demetra ad Amaterasu, la risposta addita ancora una volta al tempo e alla palingenesi cosmica.
di Andrea Casella
Copertina: BPK Bildagentur / Staatliche Museen / Johannes Laurentius / Art Resource, NY
โSenza sorridere, senza bevanda gustare nรฉ cibo,
sedeva; e la struggeva desio della vaga sua figlia:
sinchรฉ la scaltra Giambe, coi tanti suoi lazzi e le beffe,
non ebbe astretta al riso la Dea venerabile e pura,
ed al sorriso, non ebbe tornato il suo cuore, al sereno.โInno omerico a Demetra
Cโรจ una storia, una favola del folklore russo, che parla di una fanciulla di nome Nesmejana, che nulla al mondo poteva muovere al riso; e โNesmejanaโ, in russo, significa proprio โcolei che non rideโ. La storia ha molte varianti, e Vladimir J. Propp ce ne ha riferite molte, ma il canovaccio comune รจ che il re, padre della bella e seriosa principessa, stanco di vederla in simili condizioni, la promette in sposa a colui che la farร ridere. Ciรฒ che distingue le varianti รจ il modo con cui la principessa ritorna a ridere e, dal nostro punto di vista, quello piรน significativo รจ il seguente: il protagonista incaricato dellโimpresa possiede un piffero magico, che adopera per far ballare tre porcellini davanti alle finestre della principessa. La principessa assiste allo spettacolo e ride. Seguono le nozze.
Il folklore rappresenta lโultimo stadio del mito. Nel folklore — ultimo nascondiglio della tradizione lontano dagli occhi indiscreti del Cristianesimo — gli antichi dei si sono trasformati in re, regine, principesse e animali parlanti. ร questo il motivo per cui nella storia di Nesmejana non facciamo fatica a rintracciare i caratteri essenziali di un antico mito: quello del ritorno al riso di Demetra, che per questa condizione era detta แผฮณฮญฮปฮฑฯฯฮฟฯ = โche non rideโ, esattamente come Nesmejana. Diversamente dal Propp, tuttavia, non vogliamo spingerci fino a unโidentificazione, per dir cosรฌ, โpura e sempliceโ: รจ ben possibile, secondo la nostra opinione, che il modello mitologico di Nesmejana possa essere stato una qualche figura della mitologia slava di cui non ci รจ giunta traccia e che rappresentava lโalter-ego della ben piรน nota dea greca. Fortunatamente, altre mitologie hanno conservato ben chiaro questo parallelismo, come vedremo grazie alla comparazione. Ma passiamo dunque a Demetra, di cui i frammenti orfici dicono che, una volta, si chiamava Rea.
Destra: giocattolo per bambini raffigurante Baubรฒ a gambe aperte in groppa a una scrofa.
Il mito di Baubรฒ e il riso di Demetra
Suscita ancora oggi il sorriso del distratto lettore di cose mitologiche, quella storia di sapore boccaccesco secondo la quale Demetra, sconsolata e afflitta per il rapimento dellโamata Persefone, trovรฒ imprevisto conforto in un gesto tanto strano quanto lascivo di una vecchia di nome Baubรฒ. Errante nel primitivo demo di Eleusi, la dea trovรฒ ospitalitร presso Baubรฒ, di cui si dice che fosse dei โnati dalla Terraโ [1], e ad uno con lโospitalitร trovรฒ nella vecchia anche garbo e cortesia; eppure, ogni riguardo non sembrava adatto a molcere la tristezza di unโimmortale. Dinnanzi allโennesimo disdegno — la dea rifiutava anche il ciceone [2] –, pare allora che Baubรฒ non trovasse nulla di meglio che scoprirsi le parti intime e farne mostra alla sua ospite. Quale sorpresa, nel veder tornare il sorriso su quel volto divino! Divertita e sollevata, Demetra accettรฒ di buon grado la bevanda, che da allora in poi fece parte del rituale dei misteri eleusini.
Se la vicenda รจ in grado di strappare al lettore di cose mitologiche un sorriso, apparentandolo a Demetra, si รจ sicuri che il mito ha ancora una volta colto nel segno. Bisogna tuttavia essere desti e tornare a ribadire, casomai ce ne fosse ancora bisogno, che il mito non รจ altro che linguaggio cifrato, e che le sue immagini, talora confuse e financo assurde, sono solo un variopinto sipario calato su una scena teatrale ove si recita una commedia invisibile. Chi รจ dimentico di questa regola non potrร giungere neanche ad avere sentore di qualcosa nascosto. Da pii cristiani, che davano per buono un solo mito, il Cristo (e questo fuso indissolubilmente con la storia), Clemente Alessandrino e Arnobio sbeffeggiavano la strana relazione tra Demetra e Baubรฒ, giudicandola per la sua inverecondia. Erano dei moralisti. Perciรฒ le immagini del mito non hanno per loro altro senso che quello morale.
I due scandalizzati apologisti cristiani hanno se non altro il merito di restituirci la versione orfica del mito [3], e in quanto tale ben piรน antica — e ben piรน nuda e cruda — rispetto a quellโaltra, pure edulcorata dal galateo poetico, di Omero, che traveste il gesto dellโแผฮฝฮฌฯฯ ฯฮผฮฑ con piรน innocenti, e poeticamente accettabili, ฯฮฑฯฮฑฯฮบฯฯฯฮฟฯ ฯฮฑ = “lazzi/beffe”. Dโaltra parte, Omero chiama Baubรฒ con un nome diverso, Iambe; un nome che rimanda a un modo di camminare claudicante e che, come si vedrร di seguito, ha una sua precisa motivazione.

Una lettura cosmologica
Anzitutto, bisogna sgombrare il campo dalla solite, trite interpretazioni che fanno leva sui culti della fertilitร e della vegetazione. Il Propp non esita a dare queste connotazioni al mitologhema, e noi la lasciamo cadere senzโaltro, visto che, da parte nostra, ci basta e avanza Frazer. Tuttavia, Propp accenna a unโinterpretazione, proposta da O.M. Frejdenberg, che secondo noi indica la direzione giusta: โIl sorriso si semanticizza come un nuovo splendore del sole, come la nascita solareโ. Nella versione di Clemente Alessandrino, Demetra porta in grembo il fanciullo Iacco — unโipostasi di Dioniso — il cui nome รจ scopertamente solare: Iao era il nome del Sole secondo lโOracolo di Claros. Il riso, dunque, ad un primo livello, simboleggia la rinascita primaverile del sole. La tristezza di Demetra per la discesa di Persefone/โFaccia di Soleโ [4] (ma un sole terrifico) negli inferi presso il โsole neroโ Ade/Aidoneo, ha termine con il ritorno stabile dellโastro benigno nellโemisfero settentrionale allโequinozio di primavera.
Dโaltra parte, in una tradizione ricordata da G. de Santillana e H. von Dechend, sulla scorta del Cornford, una แผฮณฮญฮปฮฑฯฯฮฟฯ ฯฮญฯฯฮฑ, una โpietra senza risoโ, copriva uno dei ฯฯฮญฮฑฯฮฑ = โpozzi sacriโ, di Eleusi. Sarebbe stata la pietra su cui Demetra si pose a sedere, raccolta nel proprio dolore. Nรฉ le versioni di Clemente e Arnobio, nรฉ quella di Omero — che riferisce di un generico โseggio coperto di un velloโ — la ricordano. Questa โpietra senza risoโ che โcopre lโabissoโ ci ricorda troppo da vicino lo Eben Shetiyyah di Yahwe e il piedistallo di Hobal nella Kaโba preislamica (cosรฌ come certi menhir del nord della Francia) per poterla ignorare. ร la versione ellenica del lapis manalis [5], della pietra dalle virtรน pluvie che ricopre il mundus e le acque dellโApsu/Abisso, laddove poggia le fondamenta lโEccelsa Casa di Enki, il Kronos-Saturno mesopotamico.

Un confronto con il mito giapponese della dea solare Amaterasu
Tralasciando, per ragioni di spazio, la vicenda di Loki e del suo caprone che fanno ridere lโirata Skaรฐi, รจ dal Giappone che proviene piรน scopertamente la tristezza solare. Nel Nihongi, il libro sacro dello Shintoismo, messo per iscritto nellโVIII secolo, ma il cui nucleo mitico risale a epoca ignota, รจ raccontato il โnascondimento di Amaterasuโ, la dea del Sole, offesa per lโoltraggio perpetratole da Susanowo — il Sansone nipponico –, che aveva gettato la parte posteriore del suo stallone pezzato — un โcavallo pezzato del cieloโ dice il Nihongi [6] –, scorticato contropelo, nella sala della tessitura di Amaterasu. La vicenda di svolge precisamente in autunno. A seguito di questโoltraggio la dea del Sole diventa แผฮณฮญฮปฮฑฯฯฮฟฯ e si rifugia allโinterno di una โgrotta celesteโ, gettando il mondo nelle tenebre:
Indignata, subito entrรฒ nella โroccia-grotta del cieloโ e, dopo aver sprangato la porta di roccia, prese ad abitare lรฌ in isolamento. Allora costante oscuritร avvolse ogni luogo, e l’alternanza della notte e del giorno non fu piรน conosciuta.
A quel punto, gli ottantamila kami (= dรจi) si riuniscono nel โPlacido fiume del cieloโ (= la Via Lattea) per escogitare un modo per far uscire Amaterasu. Chiamano allora Uzume, la โTerribile donna dellโaugusto cieloโ, che inscena una โdanza mimicaโ, antenata della kagura [7], dinnanzi alla porta di roccia di Amaterasu. Udito il trambusto unito a contentezza di Uzume, Amaterasu incuriosita esce fuori dal nascondiglio e ritorna nel mondo. Cโรจ da chiedersi se il Nihongi, giร intessuto dei delicati tratti del Giappone feudale, non avesse romanzato e ammorbidito, al pari di Omero, una danza ben piรน lasciva.

La congiunzione tra la luna e il sole nero
Lazzi e motti di spirito giungono insospettabilmente fino a Medioevo inoltrato, insinuandosi perfino tra le maglie del Cristianesimo, religione ben piรน permeabile ai culti pagani di quanto non si immagini. In tale contesto si inserisce il cosiddetto โriso pasqualeโ, di cui parla lโumanista Giovanni Ecolampadio nel De risu pascuali epistola apologetica (Basilea, 1518). Era usanza che nel giorno di Pasqua il prete pronunciasse dal pulpito scherzi e suscitasse il riso dei parrocchiani. Prosegue il Propp: โMa Ecolampadio, nonchรฉ Erasmo (1535), non raccontano tutto. Di ciรฒ che si faceva al di fuori della chiesa, nellโoscuritร , nei campi, egli tace perchรฉ si tratta di cose โobscenioresโโ. Eppure, neanche lontano nei campi bisogna spingersi, se il gesto dellโแผฮฝฮฌฯฯ ฯฮผฮฑ possiamo vederlo scolpito in bella vista anche sui finimenti di certe cattedrali gotiche. Ci riferiamo alla misteriosa figura della Sheela-na-Gig, una figura grottesca — che si rinviene con maggior frequenza in Inghilterra e in Irlanda — ritratta nel gesto di aprirsi con le mani una vulva sproporzionata.
Che vi sia il Sole di mezzo a tutto questo non รจ revocabile in dubbio. La faccenda, tuttavia, si complica se si riflette sul fatto che di mezzo ci sono del pari deitร chiaramente lunari. Protagoniste dei misteri eleusini sono Demetra, Kore/Persefone ed Ecate, dee chiaramente lunari, per non parlare della stessa Baubรฒ (cui corrisponde Uzume), che Fr. 53 Kern descrive come โuna dea notturna, dalla figura allungata e dalla consistenza di unโombraโ. La Luna รจ del resto sorella-sposa del Sole e la loro relazione รจ allโorigine del calendario. Il mistico ritorno del Sole nellโemisfero settentrionale, corrisponde allora, ad un altro livello, allโapparizione della luna nuova, quando il โsole neroโ, immagine saturnina, la โlascia andareโ dalla sua presa-congiunzione [8]. La luna nuova, poi subito crescente, simboleggia un altro livello di rinnovamento. Nota A. Cattabiani: “Non essendo piรน in congiunzione con lโastro [solare], mostrerร una piccola porzione della faccia lunare che verrร investita dai raggi del Sole: una sottilissima falce che al suo tramonto avrร la curvatura verso il basso, come una cullaโ; diciamo noi: come un sorriso.
Il ciclo solare e il ciclo lunare sulla grande tavola dellโeclittica si combinano per stabilire, come dice Anassimandro, โlโordine del tempoโ, ma anche per rinnovare questo stesso tempo alle sue origini aurorali, al tempo perfetto, quando si immagina che i due cicli – drammaticamente mai allineati – fossero un tuttโuno. Il riso, mosso da un gesto volgare, โsuinoโ, simboleggia il rinnovamento aurorale del tempo nella sua condizione di alba primordiale, quando si immaginava che il Sole, unito con la Luna, ancora percorresse la Via Lattea. Di questa condizione primordiale รจ simbolo il cavallo, sotto le cui sembianze, a Figalia, Demetra era adorata. Prima ancora del cavallo, tuttavia, la scrofa si imponeva come simbolo della Galassia; una scrofa, una โtroiaโ, altro animale sacro a Demetra.

Il sole, come oscuratore delle stelle e occultatore della luna, รจ unโimmagine saturnina, nera.
Il cavallo, la scrofa e l’Etร dell’Oro
Il tempo 0 corrisponde alla cosiddetta Etร dellโOro, quando il coluro equinoziale (da equus? = cavallo) era visibile, corrispondendo alla Via Lattea, con i suoi vertici posti a nord (equinozio di primavera), nella costellazione dei Gemelli, e a sud (equinozio dโautunno) nella costellazione del Sagittario, due segni equini. Secondo la mitologia astrale, i Gemelli simboleggiano Castore e Polluce (le due stelle della costellazione portano ancora oggi i loro nomi), i Dioscuri, figli di Zeus e di Leda (Lat = dea lunare orientale), e fratelli di quella Elena di cui i pitagorici dicevano che fosse Elena-Selene, la luna piena [9]. Taluni, tuttavia, come riferisce Igino (De astronomia, II, 22), identificavano i Gemelli con Trittolemo e Iasione, amati da Demetra. Il Sagittario invece รจ da identificare con il centauro Chirone (ฮงฮตฮฏฯฯฮฝ), figlio di Kronos [10], di cui si dice che fosse stato maestro dei Dioscuri, e il cui nome rimanda a ฯฮญฮนฯ = โmanoโ, con cui si fa di conto, e ฯฯฯฮฝฮฟฯ = โtempoโ. Di lui si diceva che conoscesse il calendario. Osserva J. Richer, a proposito di Gemelli e Sagittario:
Si tratta, in effetti, di due aspetti complementari del simbolismo del cavallo. I Dioscuri, molto simili agli Aลกvin indรน, sono di solito rappresentati come due giovani cavalieri. Come il verbo sanscrito โaลกwasimiโ, messo in relazione con il loro nome, significa โrespirareโ, il terzo segno zodiacale nella nostra tradizione รจ legato al torace e al soffio vitaleโฆ Una tradizione diceva che le spose dei Dioscuri erano Ilaria e Febe, due luminose figlie di Apollo (e due fasi della luna).
Le caratteristiche dei Dioscuri ne fanno lโuno piรน apparentato al sole, lโaltro alla luna, essendo Polluce immortale e Castore mortale. I loro corrispettivi indรน sono gli Aลกvin, dalla โtesta di cavalloโ, figli-fratelli-sposi di Vรฌspala, la bianca cavalla-aurora indรน, simbolo dellโAlba dellโAnno, dellโanno perfetto dei primordi. Il primo mese dellโanno indรน e il plenilunio sono entrambi detti Aลกvina. Come notano E. Chiavarelli e L. Pellini: โLa dea induista Vรฌspala era concepita, nei Veda, come una giumenta che, in corsa, perde una gamba, successivamente risanata o sostituita dai โmedici celestiโ, gli Aลกvinโ. Il tema del risanamento podalico simbolizza la restaurazione cronica alla stagione primaverile โeternaโ e allโaccordo armonico del ciclo solare con quello lunare.
Come in India, ritroviamo il risanamento podalico di una giumenta nella festa del Curtus equus, celebrata il 21 aprile in onore della oscura Pale, identificata con la dea dellโaurora Matuta-Leucotea, e corrispondente evidentemente alla Vรฌspala indรน [11]. Questi riti sono tutti celebrati in un tempo in cui lo sfasamento equinoziale รจ giร avvenuto, con la perdita della condizione aurea-aurorale. La zoppia della giumenta ridotta su tre zampe รจ da ricollegarsi a quella della vecchia Iambe, che simboleggia al corrispondente livello una luna anziana, sottile, lโultimo quarto, la terza fase, espressione di un tempo imperfetto, ormai esaurito.
Cโรจ, del resto, nella versione orfica di Iambe, Baubรฒ, qualcosa di ancor piรน primordiale, arcaico, che si riassume nella figura della scrofa, della โtroiaโ, perchรฉ questa cavalla che viaggia in corsa sulla Via Lattea era, ancor prima, una scrofa. Cosรฌ viene raffigurata Nut, come una scrofa da cui allattano i porcellini (le stelle); รจ una scrofa punteggiata di stelle una statuetta fittile ritrovata tra le rovine di Troia e sono ancora i suini quelli che ancora emergono nel folklore: tre porcellini sono in grado di far ridere Nesmejana, รจ ancora la โscrofetta dalla setole dโoroโ la protagonista di certe fiabe. Nelle ere astrologiche successive alla โcaduta di Fetonteโ [12], con la deviazione del Sole-Luna dalla Galassia e lo sfasamento del ciclo lunare rispetto a quello solare, il cavallo nasconde ormai sempre qualcosa di terrifico e infernale/invernale, รจ un animale ctonio, protagonista delle โcacce selvaggeโ condotte, a seconda dei casi, da Hellequin o da Helle/Hรถlle/Holda, corrispettivo della Rea-Era-Demetra ellenica.

Conclusioni
Il riso degli dei si pone dunque come simbolo del ritorno del tempo allโantica condizione di perfezione aurorale, allโalba dellโAnno Perfetto, quando Sole e Luna erano immaginati in accordo entro la โcasaโ dei Gemelli. Ciรฒ che sorprende รจ la resistenza a livello inconscio del mitologhema, che si trasmette pressochรฉ immutato anche nel folklore, conservando caratteri precisi e riconoscibili, a testimonianza del fatto che il โsentimento del tempoโ รจ ciรฒ che costituisce lโuomo e non accenna a scemare neanche davanti al tramontare degli antichi culti.
Come riconosce Propp a proposito del riso di Sarah, moglie di Abramo, abbiamo anche qui โun riflesso del riso magico che ancora una volta non รจ compreso del tutto, in quanto รจ mutato lโambiente storico, per cui la magia del riso diventa ormai incomprensibileโ. La Bibbia (Genesi, XVIII, 12) attribuisce a Sarah un riso — interpretato come sarcastico — nellโudire che avrebbe partorito un figlio, pur ormai cosรฌ avanti negli anni. Eppure, il nome di Isacco, Ishak, significherebbe proprio โil ridenteโ, da ricollegarsi allโespressione Ishakel = โdio rideโ. Isacco, in quanto capostipite e genitore, nonchรฉ ideale rinnovatore cosmogonico, รจ โcolui che rideโ.
In un inno in esametri di un autore neoplatonico dedicato a Helios si dice: โRidendo, hai dato al mondo il sacro genere umanoโ. Il cosmo si rinnova in un riso.
Note:
[1] Insieme a Baubรฒ figuravano anche Disaule, Trittolemo, Eumolpo ed Eubuleo (Fr. 52 Kern).
[2] Clemente Alessandrino e Arnobio in Fr. 52 [1] e 52 [2] Kern.
[3] Ciceone: bevanda dโorzo forse mischiato a segale cornuta, e quindi allucinogena.
[4] Perse era il titano che rappresentava il primordiale sole greco, un sole per ciรฒ stesso infero, terrifico. Perseo (Pterseus = โil distruttoreโ), che taglia la testa di Medusa (Med-/Men- รจ prefisso che identifica sempre la misura, e quindi la luna, al pari di Medea e Menerua, lโarcaica Minerva latina) รจ il Sole che occulta la Luna (luna nuova), restituendoci unโimmagine saturnina, quando i due cicli, solare e lunare, sembrano combaciare. Perseo รจ infatti anche nome imparentato con parลกu, la โmisuraโ akkadica, analoga ai me sumerici, alla maat egizia, alla ma indรน. Dante attribuisce il colore โpersoโ, che รจ un colore rosso cupo, quasi viola, allโacqua dello Stige (Inferno, VII, 103).
[5] Cfr. il nostro studio sulla โPietra poggiante sullโabissoโ, in A. Casella, Alle radici dellโalbero cosmico. Saggio sulla cosmo-teologia arcaica, I, IX.
[6] In nota allโedizione di riferimento si precisa che i โCavalli pezzati del cieloโ sono le stelle.
[7] Nel folklore si conserva lโimmagine del marito-orco che tiene segregata la moglie di turno e infine lโammazza tagliandole la testa perchรฉ ha osato sbirciare in uno stanzino segreto. Si tratta del simbolo dellโoccultamento della luna da parte del sole che avviene nella terribile โtredicesima casaโ, quando la Luna, inseguita in circolo dal Sole lungo lโeclittica, viene infine โraggiunta e uccisaโ: occultata. Questo schema si conserva benissimo nella famosa fiaba di Barbablรน. La fiaba si conclude con la luna nuova, ormai diventata crescente, che viene salvata dal sopraggiungere dei fratelli di lei, due cavalieri — uno dragone, lโaltro moschettiere –, che si gettano su Barbablรน e lo uccidono.
[8] Il ratto di Elena simboleggia il rapimento della luna piena-aurora nella โtruiaโ = โlabirintoโ (cosรฌ come risulta raffigurato sulla famosa Oinochรฒe di Tragliatella, del VII secolo a.C.), simbolo della Galassia, da parte di un Paride (โpairidaeza/pardesโ = โparadisoโ), Sole primevo che si incarica di portarla a unirsi a lui. Ma lโunione Luna-Sole, per il suo anacronismo e la sua temporaneitร , รจ sempre drammatica, cruenta, saturnina: Troia viene conquistata dal Cavallo ingannatore e lโidillio ritrovato si disfa nelle fiamme e nella morte.
[9] Resta una tradizione secondo cui Kronos in forma di stallone si unรฌ a sua moglie Rea in forma di giumenta.
[10] I Siculi, appartenenti al ramo indoeuropeo latino-falisco, conoscevano anche loro i propri gemelli sacri primordiali, che chiamavano Palici.
[11] Lo spostamento del coluro equinoziale trova la sua nuova sede nelle nuove costellazioni โequineโ di Auriga a nord, detta anche Fetonte, e di Eridano a sud, il fiume ove Fetonte cadde folgorato e la cui foce รจ Canopo, che tra gli Arabi, secondo Tolomeo (Geografia, I, 7, 6), era chiamata ฮฏฯฯฮฟฯ, โcavalloโ.
Bibliografia:
G. DE SANTILLANA โ H. VON DECHEND, Il mulino di Amleto, Adelphi, 2011
V. J. PROPP, Edipo alla luce del folclore. Quattro studi di etnografia storico-strutturale, Einaudi, 1975
E. CHIAVARELLI – L. PELLINI, Dee e cavalli nei riti misterici del calendario, Edizioni della Vita Nova di Giovanni Perez, 2019
O. KERN, Orfici, Bompiani, 2011
G. SERMONTI, Misteri lunari, Lindau, 2014
A. CATTABIANI, Planetario, Mondadori, 2015
J. RICHER, Geografia sacra del mondo greco, Rusconi, 1989
R. GRAVES, I miti greci, Longanesi, 1963
IGINO, De astronomia, Adelphi, 2009
G. DEVOTO, Gli antichi Italici, Ar, 2019
W. G. ASTON (translated by), Holy Nihongi, Kegan, Paul, Trench, Trรผbner, London, 1896, with notes by Richard Hooker
A. CASELLA, Alle radici dellโalbero cosmico. Saggio sulla cosmo–teologia arcaica, Lulu, 2018



Non ci sono riferimenti anche alla risata cosmica indicata da Terence McKenna?
Bellissimo articolo.
Articolo magistrale e stile difficilmente pareggiabile;