VIDEO-DIRETTA: “Apollo, Pan, Dioniso” di F.G. Jünger, con Mario Bosincu

Il Logos e la conoscenza di Dio nel Neoplatonismo di Clemente Alessandrino

Negli “Stromateis”, scritti nel III secolo, Clemente Alessandrino istituisce una più profonda analogia tra la verità-Logos, coeterna e coestensiva a Dio, e l’eone cosmico, aiȏn, che raccoglie in sé presente, futuro e passato: alla scansione temporale, espressione tipica della creazione, si connette l’articolazione della parti del cosmo; così «colui che ricomporrà le parti diverse e le riunificherà, contemplerà senza rischio […] il Logos nella sua perfezione, cioè la verità».

Dioniso allo specchio: la maschera, il Daimon e la metafisica dell’«altro-da-sé»

La maschera e la metafisica dell’«altro-da-sé»: le iniziazioni giovanili nell’antica Roma e i simbolismi dionisiaci secondo Károli Kerényi e Walter Otto; l’«archetipicità e paradigmaticità dell’uomo arcaico» che, secondo Mircea Eliade, «si riconosce “veramente se stesso”, soltanto nella misura in cui cessa proprio di esserlo»; il Daimon e la «Maschera antitetica» nella Visione di W.B. Yeats; Dioniso allo specchio, Vishnu che sognando crea gli innumerevoli mondi e il «dio solipsistico del sogno» di Thomas Ligotti.

Sul “duende” di García Lorca e lo “spirito della terra” di Ernst Jünger

Qualche nota sulle corrispondenze fra il duende, «spirito occulto della dolorante Spagna» secondo Federico García Lorca e lo «spirito della terra» jüngeriano, con qualche sprazzo di Octavio Paz. In appendice, un corposo estratto del testo del poeta spagnolo.

J. Evola: «Dioniso e la Via della Mano Sinistra»

Evola considera il Dioniso di Nietzsche in relazione con la cosiddetta «Via della Mano Sinistra», percorso iniziatico che comporta «il coraggio di strappar via i veli e le maschere con cui Apollo nasconde la realtà originaria, di trascendere la forme per mettersi in contatto con l’elementarità di un mondo in cui bene e male, divino e umano, razionale e irrazionale, giusto e ingiusto non hanno più alcun senso».

Amleto, ovvero dell’infinito e dell’azione

Ritratto mitico-antropologico del protagonista di uno dei drammi shakespeariani più paradigmatici: riflessioni sull’Uomo Dionisiaco di fronte al Mælström e al non-senso, sul “confine” dove Amleto regna come “Fool”, sulla dicotomia esistente fra visibile-tangibile e invisibile-intangibile.

Da Ganesha a Dioniso: lo smembramento e la (re)integrazione

Dal mito della decapitazione di Ganesha a quello di Dioniso Zagreo squartato dai Titani, fino a qualche breve accenno sul Salvatore cristiano: morfologia del percorso iniziatico del “Figlio della Madre”, dallo “smembramento rituale” alla (re)integrazione nella non-dualità

I “Ghost Riders”, la “Chasse-Galerie” e il mito della Caccia Selvaggia

Pare che nelle notti che seguono il solstizio d’inverno del 21 dicembre, la cortina che separa il mondo dei vivi da quello dei morti si faccia più impalpabile e che sia così possibile imbattersi in un’orda terribile e rumorosa, che attraversa il cielo con grande fragore: in essa ci sono cani latranti, cavalli lanciati al galoppo, cacciatori macilenti dagli occhi spiritati, intenti a inseguire cervi e selvaggina in una fuga eterna e disperata al tempo stesso. Vedere questo terrificante spettacolo è presagio di catastrofi e sventure.

(immagine: Henri Lievens, “Wild Hunt”)


«Un vecchio cowboy uscì a cavallo in una giornata fosca e ventosa/ si riposò su una cresta mentre andava per la sua strada». Inizia così una delle più belle e famose canzoni country di tutti i tempi:  (Ghost) Riders in the Sky: A Cowboy Legend.

Considerazioni astrologiche sul Vangelo: una soteriologia su base solare

di Andrea Casella
copertina: “La creazione del Sole, della Luna e delle stelle”, ca. 1250-1260


Prosegue il ciclo di articoli dedicati all’astronomia sacra a firma di Andrea Casella. In questo appuntamento e in quello che seguirà, l’autore si concentra sulla soteriologia dei vangeli cristiani individuandovi i rimandi 
 il più delle volte ormai dimenticati e quindi misconosciuti  all’antica tradizione astroteologica. In questa prima parte si analizzerà in special modo la figura di Giovanni il Battista e il suo rapporto con Gesù (soprattutto per quanto riguarda il “battesimo”) e quella di Giuda l’Iscariota, connessa con la costellazione dello Scorpione.

Il “Fuoco celeste”: Kronos, Fetonte, Prometeo

di Andrea Casella
copertina: Jean Delville, Prometheus, 1907)

[Segue da Il significato astronomico dell’Età dell’Oro: Astrea e la “caduta” di Fetonte]

In una preghiera nuziale mongola si afferma che: “Nacque il Fuoco, quando Cielo e Terra si separarono”: dunque, prima che l’equatore celeste (padre Cielo) e l’eclittica (madre Terra) si allontanassero (ossia fosse registrato l’angolo di inclinazione di 23° circa dell’eclittica rispetto all’equatore), il “Fuoco” non esisteva. All’inizio, la Via Lattea univa cielo, terra e mondo dei morti: la parte meridionale della Galassia, in corrispondenza di Scorpione e Sagittario, è, per numerose tradizioni, il luogo deputato alla raccolta delle anime in attesa di reincarnarsi.

Il tempo ciclico e il suo significato mitologico: la precessione degli equinozi e il tetramorfo

di Andrea Casella

Non sarà sicuramente passato inosservato, a chi è avvezzo almeno un poco alla scienza sacra, un simbolo cristiano che da sempre campeggia sulle facciate delle chiese, adorna manoscritti e si trova persino su una lama dei tarocchi: il tetramorfo. Tale simbolo trae la sua origine dalla celebre visione di Ezechiele (Ez. 1, 4-28) che S. Giovanni riversò in seguito nella sua Apocalisse. Si tratta di quattro figure che contornano il trono di Dio: il primo ha l’aspetto di leone, il secondo di toro, il terzo d’uomo e il quarto d’aquila in volo (Ap. 4, 7). Tradizionalmente, si attribuisce a queste strane figure (che l’Apocalisse chiama i “Viventi”), una valenza letteraria: si tratterebbe, infatti, dei quattro evangelisti, Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Tali figure, tuttavia, come accennato, si possono trovare (ancor più stranamente, verrebbe da dire) anche su una lama dei tarocchi, e precisamente la numero XXI, che designa il Mondo.

Da Pan al Diavolo: la ‘demonizzazione’ e la rimozione degli antichi culti europei

di Marco Maculotti
copertina: Arnold Böcklin, “Pan, the Syrinx-Blowing”, 1827

Abbiamo già avuto precedentemente modo di vedere che, nei primi secoli della nostra èra e persino durante l’epoca medievale il cd. «paganesimo rurale» mantenne inalterata la propria diffusione, soprattutto nelle zone più distanti dai grandi centri abitati. San Massimo ebbe modo di notare che “nel IV secolo (…) i primi missionari passavano di città in città e diffondevano rapidamente il Vangelo in un’area molto vasta, ma non sfioravano neppure la campagna circostante”, aggiungendo poi che “perfino nei secoli V e VI, quando la maggior parte di loro era stata convertita da un pezzo, in Gallia e in Spagna la Chiesa, come risulta dai ripetuti Canoni dei Concili del tempo, incontrava grande difficoltà nel sopprimere gli antichi riti con cui i contadini da tempo immemorabile scongiuravano le pestilenze e incrementavano la fertilità delle greggi e dei campi” [A.A. Barb, cit. in Centini, p.101].

Divinità del Mondo Infero, dell’Aldilà e dei Misteri

di Marco Maculotti


Continuiamo il discorso precedentemente sviluppato, riprendendolo dalla connessione che abbiamo visto sussistere, nelle tradizioni antiche, tra il periodo della «crisi solstiziale»  e la credenza nel ritorno delle anime dei morti tra i vivi. La connessione con il mondo infero/sotterraneo e con il Regno dei Morti sembra, come abbiamo visto, ricorrente per queste divinità che abbiamo definito ‘del Sole Invernale’ [cfr. Cernunno, Odino e altre divinità del ‘Sole Invernale’], al tempo stesso numi della fecondità epperò anche legati al mondo infero e, quindi, ai trapassati.

Abbiamo già visto che il celtico Cernunno, oltre a essere dio della natura e del tempo, è anche considerato una divinità infera, in particolar modo per quanto riguarda la sua funzione psicopompa, di accompagnatore dei defunti nell’aldilà: un aspetto mercuriale che nella tradizione nordica si ritrova pure, come abbiamo avuto modo di vedere, in Odino/Wodan, da cui deriva infatti il giorno della settimana che latinamente spetta a Mercurio (wednesday=“Wodan’s day”). Ugualmente, in molteplici tradizioni di ogni parte del mondo si trovano figure numinose connesse sia con la fertilità che con il Mondo Infero e l’Oltretomba, a partire dal mediterraneo Signore dell’Ade Plutone, tra i cui simboli vi è la cornucopia (*krn), veicolante abbondanza, fecondità, ricchezza.

Cernunno, Odino, Dioniso e altre divinità del ‘Sole invernale’

Sembrerebbe, invero, che tutte queste potenze numinose, oltre che a un certo aspetto ctonio-tellurico e caotico-selvaggio della natura, siano connesse simbolicamente anche al Sole Invernale, o per meglio dire al «Sole morente» nei giorni finali dell’Anno coincidenti con la «crisi solstiziale», durante la quale l’astro eliaco raggiunge il suo nadir annuale .

di Marco Maculotti
copertina: Hermann Hendrich, “Wotan”, 1913

[segue da: Cicli cosmici e rigenerazione del tempo: riti di immolazione del ‘Re dell’Anno Vecchio’].


Nella pubblicazione precedente abbiamo avuto modo di analizzare il complesso rituale, ravvisabile ovunque presso le antiche popolazioni indoeuropee, incentrato sull’immolazione (reale o simbolica) del «Re dell’Anno Vecchio» (ad es. Saturnali romani), come rappresentazione simbolica dell’«Anno Morente» che deve essere sacrificato per far sì che il Cosmo (=l’ordine delle cose), rinvigorito da tale azione cerimoniale, conceda la rigenerazione del Tempo e del ‘Mondo’ (nell’accezione pitagorica di Kosmos come unità interconnessa) nel nuovo anno a venire; anno che, in tal senso, assurge a micro-rappresentazione dell’Eone e, quindi, dell’intera ciclicità del Cosmo. Procediamo ora all’analisi di alcune divinità intimamente collegate con la «crisi solstiziale», al punto di assurgere a rappresentanti mitici del «Sole Invernale» e, per esteso, del «Re dell’Anno Calante»: Cernunno, il ‘dio cornuto’ per antonomasia, per quanto riguarda l’àmbito celtico; Odino e la ‘caccia selvaggia’ per quello scandinavo e Dioniso per quanto riguarda l’area mediterranea.

I benandanti friulani e gli antichi culti europei della fertilità

di Marco Maculotti
copertina: Luis Ricardo Falero, “Witches going to their Sabbath“, 1878).


Carlo Ginzburg (nato 1939), rinomato studioso del folklore religioso e delle credenze popolari medievali, pubblicò nel 1966 come opera prima I Benandanti, una ricerca sulla società contadina friulana del Cinquecento. L’autore, grazie ad un notevole lavoro su un cospicuo materiale documentario relativo ai processi dei tribunali dell’Inquisizione, ricostruì il complesso sistema di credenze diffuse fino ad un’epoca relativamente recente nel mondo contadino dell’Italia settentrionale e di altri paesi, di area germanica, dell’Europa centrale.

Secondo Ginzburg, le credenze riguardanti la compagnia dei benandanti e le loro battaglie rituali contro le streghe e gli stregoni nei giovedì notte delle quattro tempora (Samain, Imbolc, Beltaine, Lughnasad), erano da interpretare come un’evoluzione naturale, avvenuta lontano dai centri cittadini e dall’influenza delle varie Chiese cristiane, di un antico culto agrario con caratteristiche sciamaniche, diffuso in tutta Europa fin dall’età arcaica, prima della diffusione della religione giudaico-cristiana. Di notevole interesse è anche l’analisi di Ginzburg sull’interpretazione proposta ai tempi dagli inquisitori, i quali, sovente spiazzati da quanto sentivano in sede di interrogatorio dagli imputati benandanti, si limitarono per lo più ad equiparare la complessa esperienza di questi ultimi alle  nefande pratiche della stregoneria. Anche se con il passare dei secoli i racconti dei benandanti si fecero sempre più simili a quelli riguardanti il sabba stregonesco, l’autore notò che questa concordanza non era assoluta:

« Se, infatti, le streghe e gli stregoni che si danno convegno la notte del giovedì per darsi a «salti», «spassi», «nozze» e banchetti, evocano immediatamente l’immagine del sabba—quel sabba che i demonologi avevano minuziosamente descritto e codificato, e gli inquisitori perseguitato almeno dalla metà del ‘400—nondimeno esistono, tra i raduni descritti dai benandanti e l’immagine tradizionale, vulgata del sabba diabolico, differenze evidenti. In questi convegni, a quanto sembra, non viene reso omaggio al diavolo (alla cui presenza, anzi, non si accenna neppure), non si abiura la fede, non si conculca la croce, non si fa vituperio dei sacramenti. Al centro di essi vi è un rito oscuro: streghe e stregoni armati di canne di sorgo che giostrano e combattono con benandanti provvisti di rami di finocchio. Chi sono questi benandanti? Da un lato, essi affermano di opporsi a streghe e stregoni, di ostacolarne i disegni malefici, di curare le vittime delle loro fatture; dall’altro, non diversamente dai presunti avversari, asseriscono di recarsi a misteriosi raduni notturni, di cui non possono far parola sotto pena di essere bastonati, cavalcando lepri, gatti e altri animali. »

—Carlo Ginzburg, «benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento», pp. 7-8